Il Cairo non vuole più le sue case galleggianti sul Nilo
Il governo locale ne ha ordinato la rimozione per far spazio a bar e negozi, con molte critiche da parte dei residenti
In questi giorni il governo locale del Cairo, la capitale dell’Egitto, sta facendo spostare o demolire decine di chiatte usate come case ormeggiate su una porzione del fiume Nilo, per procedere con un progetto di riqualificazione dell’area. Queste “case galleggianti” sono estremamente riconoscibili e apprezzate da chi vive nella capitale, e sono anche state raccontate in vari film e libri egiziani, tra cui Chiacchiere sul Nilo del romanziere Nagib Mahfuz, premio Nobel per la Letteratura nel 1988. Le persone che ci abitano, spesso da decenni, dicono che da tempo le autorità locali facevano pressioni per demolirle.
In Egitto questo tipo di abitazione è chiamato “awamat”, come la parola araba che significa appunto “galleggiante”, e generalmente indica edifici di due piani appoggiati su piattaforme. Imbarcazioni simili erano usate già all’epoca dell’Antico Egitto per lunghi viaggi lungo il Nilo e come seconde residenze di lusso dei pascià ai tempi dell’Impero Ottomano, dal Cinquecento in avanti.
Come ha spiegato al Financial Times Mohamed Elshahed, storico e autore di un libro sull’architettura del Cairo, nella capitale le awamat cominciarono a essere molto popolari soprattutto a metà Ottocento: un secolo dopo sulle rive del Nilo in città se ne potevano trovare centinaia.
Con il tempo molte di queste case galleggianti cominciarono a essere dismesse e dagli anni Sessanta tutte quelle che c’erano furono fatte spostare nell’area conosciuta come “Kit Kat”, una porzione di fiume lunga circa un chilometro che si trova tra il ricco quartiere di Zamalek e quello popolare di Imbaba. Della trentina di awamat che esistono ancora oggi, alcune sono abitate da persone povere, mentre altre sono state ristrutturate; altre ancora sono state trasformate in ristoranti o uffici.
La settimana scorsa le autorità locali avevano ordinato ai residenti di spostare le loro case galleggianti entro il 4 luglio, sostenendo che le abitazioni fossero state costruite senza il permesso del governo locale e che fossero ormeggiate in violazione delle norme statali.
In un’intervista data alla televisione egiziana MBC, il responsabile dell’ente che si occupa dell’amministrazione e della protezione del Nilo, Ayman Anwar, ha detto che la decisione di rimuovere le case galleggianti era stata presa già nel 2020. Ha poi aggiunto che non solo i residenti non hanno diritto ad alcuna compensazione, ma anzi dovranno pagare allo stato gli oneri arretrati per l’ormeggio.
Lunedì quattro case galleggianti sono state rimosse dalla polizia che pattuglia il fiume, mentre un’altra è stata fatta spostare martedì. Almeno una è stata demolita.
Vari proprietari delle case galleggianti che hanno parlato sia coi giornali locali che con la stampa internazionale hanno detto di essere stati informati della decisione solo la settimana scorsa.
Robert Hamilton, un regista britannico-egiziano che vive in una casa galleggiante con la sua famiglia, ha detto che negli ultimi tempi le autorità cittadine si erano rifiutate di rinnovare le licenze e che anzi avevano aumentato di molto gli oneri per l’ormeggio. Sembra che il governo stia offrendo agli abitanti apposite licenze per trasformare le proprie case in bar o altre attività commerciali, ma diversi lamentano una generale confusione che rallenta o impedisce a molti di prendere decisioni definitive.
In generale, secondo molti residenti del Cairo intervistati dai giornali, rimuovere le tipiche case galleggianti della città col pretesto della modernizzazione del paese significherà anche eliminare uno dei simboli della zona. È un po’ quello che sta succedendo alla “Città dei morti”, il cimitero più antico del Cairo, buona parte della quale è in corso di demolizione per permettere la costruzione di un’autostrada che collegherà il centro della città alla nuova capitale amministrativa dell’Egitto.
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