Il governo scozzese vuole tenere un secondo referendum sull’indipendenza
Lo ha annunciato oggi la prima ministra Nicola Sturgeon: si terrebbe nell'ottobre del 2023, ma il governo britannico ha già detto che non vuole saperne
Con un discorso al Parlamento la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato che il suo governo intende tenere un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito dopo quello fallito del 2014. Il formato sarà identico a quello del 2014: sarà un referendum consultivo – che però dovrà essere preventivamente approvato dal governo britannico – e chiederà agli scozzesi se preferiscono che la Scozia rimanga nel Regno Unito oppure diventi un paese indipendente. Il governo proporrà come data il 19 ottobre 2023, fra poco più di un anno.
Sturgeon ha detto che in questi anni la Scozia ha «pagato un prezzo» per non essere diventato un paese indipendente dopo il 2014, e che «l’indipendenza dal Regno Unito ci aiuterà a costruire un paese più ricco e sostenibile».
La decisione non è particolarmente sorprendente: già dopo la sua rielezione nel 2021 Sturgeon aveva promesso che avrebbe promosso un nuovo referendum una volta conclusa la pandemia da coronavirus. Nelle ultime settimane poi Sturgeon aveva mandato diversi altri segnali di un annuncio imminente su un nuovo referendum: a metà giugno per esempio aveva diffuso i risultati di uno studio governativo secondo cui la Scozia migliorerebbe la propria condizione economica e sociale se uscisse dal Regno Unito.
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Sturgeon ha aggiunto che intende tenere un referendum in maniera legale, quindi lasciando intendere di non volere seguire l’esempio del governo catalano, ma non è chiaro come possa riuscirci. Il governo britannico guidato da Boris Johnson e sostenuto dai Conservatori ha già detto più volte di essere contrario a un nuovo referendum, citando peraltro le parole dei principali leader scozzesi durante la campagna elettorale del 2014, secondo cui quel voto era un’occasione «unica» per uscire dal Regno Unito.
Nel suo discorso al Parlamento, Sturgeon ha detto che farà richiesta al governo britannico per attivare la clausola prevista dall’articolo 30 dello Scotland Act del 1998 – la legge con cui venne creato un governo regionale scozzese – che prevede una temporanea cessione di sovranità dal parlamento britannico a quello scozzese. È la stessa clausola che venne attivata per permettere il referendum del 2014. Nel caso il governo britannico si rifiutasse di farlo, Sturgeon ha detto che il governo avvierebbe una battaglia legale che quasi certamente sarà decisa dalla Corte Suprema del Regno Unito.
Il governo scozzese gode di una discreta autonomia ma per la legge britannica non può indire un referendum sull’indipendenza senza il consenso del governo centrale. Il voto del 2014 era arrivato dopo intensi negoziati e uno storico accordo tra il governo britannico, allora guidato da David Cameron, e Alex Salmond, il predecessore di Sturgeon. Allora il No all’indipendenza vinse con il 55,3 per cento dei voti.
Da tempo Sturgeon sostiene che un altro voto sia necessario perché nel frattempo il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea e perché alle ultime elezioni politiche il Partito Nazionale Scozzese, di cui è leader, ha stravinto e quindi ricevuto un mandato politico per ottenere l’indipendenza.
In realtà a guardare i sondaggi la situazione non è così chiara. Secondo l’aggregatore di sondaggi di Politico nel corso del 2020 i pareri favorevoli a un’eventuale indipendenza della Scozia avevano superato quelli contrari, ma la situazione si è ribaltata nel 2021, e al momento i No sono dati al 47 per cento contro il 44 per cento dei Sì, con una piccola percentuale di elettori ancora indecisi.