Cosa fu la caldissima estate del 2003
C'è chi confronta i record di temperature dell'ultimo periodo con l'ondata di calore eccezionale di quell'anno, ma non tutti i paragoni sono pertinenti
La siccità e le alte temperature registrate nelle ultime settimane sono state paragonate a quello che successe nell’estate del 2003, quando l’Europa intera fu colpita da una grande e memorabile ondata di calore. Fu eccezionale per la sua intensità, ma soprattutto per la sua durata e per il numero di morti causato dalle conseguenze del caldo. Iniziò a maggio, continuò fino a settembre, e secondo uno studio dell’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (INSERM) francese causò più di 70mila morti in 16 paesi europei, di cui circa 20mila in Italia e altrettanti in Francia, il paese che risentì di più delle alte temperature.
Il periodo peggiore furono le prime due settimane di agosto, quando nel sud del Portogallo fu registrata la temperatura di 47,3 °C. Per quanto riguarda l’Italia le zone più colpite furono il Nord, le zone costiere affacciate sul mar Tirreno e la Sardegna. Nell’intera estate la dimensione dei ghiacciai delle Alpi si ridusse del 10 per cento, un tasso di scioglimento senza precedenti, che contribuì a causare frane. Anche gli incendi furono favoriti: tra il 2000 e il 2020, il 2003 fu il secondo anno col maggior numero di incendi, sebbene in media furono contenuti per dimensione, e bruciarono aree più ristrette rispetto ad altri anni.
L’estate del 2003 era stata preceduta da una primavera siccitosa e per questo anche le produzioni agricole furono molto danneggiate («decimate» secondo un’espressione di Coldiretti). Tra le altre cose, si produssero meno mangimi e gli allevatori dovettero far fronte a un aumento dei costi. E anche in quel contesto ci furono ripercussioni sul mercato energetico, perché a causa della scarsità d’acqua divenne più difficile far funzionare le centrali nucleari francesi (ancora di più di quelle a gas hanno bisogno di acqua di raffreddamento) che quindi sospesero temporaneamente la produzione di energia.
Le grosse conseguenze di salute per la popolazione anziana invece spinsero i governi e le autorità sanitarie a rivedere i loro piani per le emergenze meteorologiche negli anni successivi.
L’attuale ondata di calore condivide con quella del 2003 due aspetti: è stata anticipata da una prolungata siccità e ha portato al raggiungimento di temperature da record. Il 27 giugno in molte località italiane, specialmente nelle regioni centrali, sono state misurate temperature che non erano mai state raggiunte a giugno: a Firenze ad esempio 41 °C, due in più rispetto al precedente massimo di giugno; a Latina e a Perugia 39 °C, con precedenti record pari a 37,8 e 37,5 °C. A Viterbo è stata raggiunta la temperatura massima da quando vengono registrate: 40,3 °C.
Sotto altri punti di vista però la situazione è diversa. Giulio Betti, meteorologo del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dell’AMPRO, l’associazione dei meteorologi professionisti, spiega: «Come nel 2003, quest’anno il caldo è iniziato molto presto, a maggio, e probabilmente questo mese di giugno risulterà il secondo più caldo di sempre. Tuttavia l’ondata di calore attuale non ha l’ampiezza di quella di allora: nel 2003 interessò tutta l’Europa, fino alla Finlandia e alla Polonia. Questa è una prima differenza».
Una seconda differenza, almeno per il momento, è la durata: non si può ancora sapere se le temperature continueranno a essere sopra le medie fino alla fine di agosto. Sia l’ondata di calore del 2003 che quella attuale sono state causate da un blocco della circolazione atmosferica, che diciannove anni fa fu particolarmente persistente: l’anticiclone sub tropicale (un’ampia area di alta pressione) rimase per molto tempo sopra all’Europa occidentale e meridionale, impedendo le precipitazioni, e nel contempo l’arrivo di aria calda dall’Africa favoriva le alte temperature.
La configurazione attuale è legata a fenomeni atmosferici diversi (in generale nella meteorologia entrano in gioco tantissimi fattori) e anche se il blocco che stiamo attraversando ne ricorda di peggiori non è detto che durerà altrettanto.
«Negli ultimi anni si sono raggiunti picchi di temperatura molto più alti rispetto a quelli del 2003», continua Betti, «e molti record assoluti sono stati registrati più di recente. Ma allora furono le temperature medie mensili a essere altissime, l’ondata di calore durò per tre mesi e mezzo. Anche nel 1983 in Italia ci fu un’ondata di calore terribile, ma durò solo tre o quattro giorni e quindi causò meno problemi».
Tra chi ha fatto paragoni tra l’estate del 2003 e gli ultimi giorni c’è anche il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), che sta studiando l’ondata di calore marino in corso. Si parla di “ondate di calore marino” quando le temperature oceaniche superano una soglia estrema per il relativo periodo dell’anno per più di 5 giorni consecutivi e nell’ultimo mese queste condizioni sono state osservate intorno all’Italia: nel mar Ligure per due volte tra maggio e giugno, e nel primo caso per una durata di tre settimane; nel golfo di Taranto più tardi, ma con maggiore intensità, perché sulla superficie sono stati misurati 5 °C in più rispetto alla media.
Nel 2003 si erano verificate condizioni simili, come spiega Ronan McAdam, ricercatore del CMCC: «All’epoca non c’era stata un’unica ondata, ma una serie. Cominciarono a maggio, con durate di una o due settimane, e proseguirono a luglio e agosto, in corrispondenza delle temperature atmosferiche più alte, con durate più lunghe. Temiamo che nel corso di questi due mesi capiti di nuovo qualcosa di simile». Le ondate di calore marino sono un problema per gli ecosistemi: «Possono causare morie di animali, nel 2003 era successo. E non solo di animali selvatici, ma anche di allevamento: ad esempio potrebbero causare grossi danni alle acquacolture di cozze del golfo di Taranto. Nel mar Ligure potrebbero danneggiare la particolare biodiversità dell’ambiente marino». Inoltre in caso di ondate di calore marino prolungate potrebbero essere favorite specie aliene, ad esempio provenienti dal mar Rosso, a scapito di quelle autoctone.