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  • Martedì 28 giugno 2022

La cravatta non si porta più nemmeno nelle occasioni più incravattate

Al G7 i leader si sono fatti fotografare senza, ma sono anni che viene considerata obsoleta: eppure è ricomparsa nelle sfilate

I leader del G7 in corso in Germania, senza cravatta. (AP Photo/Martin Meissner)
I leader del G7 in corso in Germania, senza cravatta. (AP Photo/Martin Meissner)

Domenica pomeriggio i sette leader che rappresentano i paesi membri del G7 sono stati fotografati alla fine di tre sessioni di incontri del summit che si sta tenendo in questi giorni in Germania. Oltre a Mario Draghi, Justin Trudeau, Olaf Scholz, Emmanuel Macron, Joe Biden, Boris Johnson e Fumio Kishida c’era solo una donna, Ursula von der Leyen, in rappresentanza dell’Unione Europea, ma c’è stato anche un altro dettaglio notato dai commentatori più attenti allo stile: i leader erano sì in abito, ma le loro camicie bianche avevano il colletto sbottonato, senza cravatta.

AP Photo/Matthias Schrader

Su Twitter il giornalista esperto di abbigliamento maschile Derek Guy ha commentato la foto con un breve post introdotto da una frase lapidaria: «La cravatta è morta». Il sottotesto è che le cravatte stanno scomparendo persino in occasioni ufficiali come il G7, ma Guy usa questa constatazione per un ammonimento stilistico: «Certi outfit hanno qualcosa che non va senza cravatta […] appaiono vuoti, come una notte senza stelle. Se scartate la cravatta, fatelo con intenzione, con un abito dal taglio più moderno, o togliete anche la classica camicia bianca sostituendola con una polo o un dolcevita».

La foto del G7 non va considerata in assoluto il segnale che la cravatta sia diventato un accessorio obsoleto. Tutti i leader sono arrivati alla sede della riunione, tra le Alpi bavaresi, indossando una cravatta che poi si sono tolti dopo la prima sessione di incontri. Non è chiaro il motivo, ma probabilmente si sono messi d’accordo per il gran caldo che sta facendo in questi giorni da quelle parti. Inoltre, tra le varie riunioni di capi di stato esistenti, il G7 è una delle meno formali, in parte perché vi partecipa un gruppo ristretto di leader e in parte perché le riunioni sono strutturate in modo meno rigido e ingessato rispetto a quelle per esempio del G20 o dei Consigli europei, cosa che di conseguenza si riflette anche sull’abbigliamento dei leader che vi partecipano.

Una foto del G8 del 2004 con Romano Prodi (allora presidente della Commissione europea), Berlusconi, Putin, George W. Bush e Tony Blair, tra gli altri (EPA/TANNEN MAURY)

Le discussioni intorno alla crisi dell’abito maschile e degli accessori che lo accompagnano vanno avanti da anni, più o meno da quando, progressivamente, la percezione della giacca e della cravatta è cambiata: da simboli di eleganza e di un certo status ad outfit desueto e ingessato, utilizzato perlopiù da alcune categorie di lavoratori come gli agenti immobiliari, i venditori o i cosiddetti “colletti bianchi” di grandi multinazionali.

– Leggi anche: La crisi del completo da uomo

Se l’abito maschile in generale non se la passa bene, poi, sembra che la cravatta in particolare sia in una crisi ancora più profonda. Non è raro infatti vedere politici, imprenditori e altre personalità note che, pur indossando spesso un abito dal taglio classico, lo accostano a una camicia sbottonata e senza cravatta (contravvenendo ai consigli di stile di Derek Guy). Forse proprio in politica si sono accorti per primi che la cravatta era un segno di qualcosa di superato, che riassume l’idea di un potere “vecchio”. E infatti negli ultimi anni si sono moltiplicati gli esempi di politici che rifiutano consapevolmente quella uniforme presentandosi talvolta in maniche di camicia.

Da sinistra: Achim Post del Partito Socialdemocratico tedesco, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il primo ministro francese Manuel Valls e Diederik Samsom dei laburisti olandesi alla festa nazionale dell’Unità a Bologna nel 2014. Per un po’ Renzi, Sánchez e Valls furono soprannominati “i leader della camicia bianca”. (ANSA/GIORGIO BENVENUTI)

Stiamo parlando di una minoranza di uomini che veste abitualmente o è costretta a vestire seguendo uno stile formale: la maggior parte, nella vita quotidiana, indossa vestiti casual anche in ufficio e ha ancora meno ragioni di portare – o anche solo possedere – una cravatta.

Nonostante la sua presunta “morte”, la cravatta è ancora uno dei pochi capi d’abbigliamento tipicamente da uomo in grado di provocare discussioni e generare attenzioni anche tra chi non è esperto di moda, in quanto accessorio maschile per eccellenza, l’unico privo di qualsiasi funzione che non sia ornamentale. Forse proprio per questa sua caratteristica unica la cravatta ha resistito nei secoli, affermandosi come standard quasi inalterato dalla seconda metà dell’Ottocento in poi.

In precedenza, anche in antichità, gli uomini avevano sempre utilizzato fiocchi o sciarpe come ornamento o come simbolo di prestigio, ma è solo dopo la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) che comparve la cravatta più o meno come la intendiamo oggi: in molti ritengono che i primi a portarla furono i mercenari dell’Est Europa che combatterono in quella guerra, denominati genericamente “croati”, da cui deriva il termine cravat. Con gli anni, questa striscia di tessuto venne adottata sempre più di frequente come simbolo di nobiltà, in varie forme e tessuti, per poi diventare simile a quella odierna alla fine dell’Ottocento.

Nonostante il suo innegabile declino, di recente vari marchi di moda hanno riproposto la cravatta come non succedeva da tempo, in varie forme e colori, durante le sfilate in cui hanno presentato le collezioni primavera/estate del 2023.


«Le cravatte che abbiamo visto di recente negli show di queste settimane sono lontanissime dall’idea di cravatta tradizionale» spiega Jacopo Bedussi, style editor di GQ Italia. «Non hanno niente a che vedere con le cravatte dei mezzibusti del telegiornale o dei politici, quelle con nodi grossi quanto un ginocchio». Secondo Bedussi, i marchi di moda hanno ripreso questo accessorio per giocare sul suo significato tradizionale e trasfigurarlo, per rendere la cravatta qualcosa di diverso e nuovo in opposizione allo standard stantio che rappresenta. A conferma di tutto questo, i marchi più classici di moda maschile come Brioni ed Hermès non hanno seguito questa tendenza e nelle loro passerelle non si sono viste cravatte.

Prada per esempio ha riportato la cravatta alle dimensioni esili e al nero in voga durante l’ossessione per i Beatles dei primi anni Sessanta, accostandola a un abito dalle forme aderenti e ai cosiddetti winklepickers, stivali con la punta molto pronunciata.


Armani invece le ha dato forme morbide rendendola quasi un foulard, annodata su un colletto leggermente sbottonato. Ma anche molti altri marchi hanno fatto un uso originale della cravatta: Dries Van Noten l’ha stretta con nodi molto piccoli dentro giacche in doppiopetto avvitate, mentre MSGM – il brand italiano fondato nel 2009 dallo stilista Massimo Giorgetti – l’ha accostata a un look da cowboy, con forme e colori molto simili a quelle che indossava Avril Lavigne all’inizio degli anni Duemila.


«Alcuni di questi marchi si stanno rifacendo molto all’estetica di quegli anni» continua Bedussi. «Un po’ per attrarre la generazione Z, affascinata da quello stile lì come i trentenni di oggi, quindici anni fa, erano affascinati dagli anni Ottanta». Per Bedussi però è complicato prevedere a cosa porterà questa abbondanza di cravatte nelle passerelle: «Potrebbe non lasciare alcun segno, oppure, soprattutto se i marchi più influenti la spingeranno, la cravatta potrebbe effettivamente tornare in certi ambienti più attenti alle tendenze, o tra i giovani che vestono con un occhio di riguardo a cosa succede nella moda».

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