Damiano Tommasi il calciatore
Il nuovo sindaco di Verona fu un giocatore costante e affidabile, specialmente nei dieci anni trascorsi alla Roma, ma anche sottovalutato
Anche ora che è stato eletto sindaco di Verona, Damiano Tommasi viene descritto molto spesso come «il calciatore», che fu la sua professione per oltre venticinque anni, dieci dei quali passati con la Roma. Eppure, anche quando giocava, Tommasi era solito passare in secondo piano, preceduto dai compagni di squadra più famosi, ed era generalmente sottovalutato, almeno da chi lo vedeva dall’esterno.
Ma chi ci ha giocato insieme o lo ha allenato ha avuto sempre chiara la sua importanza in campo, come Fabio Capello, che una volta lo definì «il giocatore più importante» nello Scudetto vinto nel 2001 dalla Roma, per la sua versatilità nel saper ricoprire diversi ruoli a centrocampo e soprattutto per quello che garantiva la sua presenza: affidabilità, dedizione e tanta corsa.
Tommasi iniziò a giocare a calcio negli anni Ottanta in alcune squadre della provincia veronese, nella zona collinare della Valpolicella, in cui era nato e cresciuto. Nel 1990 lo presero nelle giovanili dell’Hellas Verona, squadra che cinque anni prima aveva vinto lo Scudetto ma che poi era finita velocemente in Serie B e da lì non si era più mossa. Al Verona Tommasi concluse il ciclo delle giovanili, giocando difensore centrale, e poi debuttò tra i professionisti.
Impiegò una stagione a diventare titolare — spostato a centrocampo perché sapeva gestire gioco e tempi meglio di un normale difensore — e tre a ottenere la promozione in Serie A da giocatore più utilizzato della squadra. Nel mezzo, iniziò già a contraddistinguersi per maturità e consapevolezza di sé: fu il primo calciatore a scegliere l’obiezione di coscienza rifiutando il periodo di leva militare, che passò a lavorare per la Caritas.
In Serie A non esordì con il Verona, ma con la Roma, che nell’estate del 1996 si era convinta a prenderlo anche dopo averlo visto vincere gli Europei Under 21 insieme a due giocatori romanisti, Marco Delvecchio e Francesco Totti. «Arrivavo in una città molto diversa dalla realtà dove vivevo: fino a un giorno prima ero con i miei genitori in un paese di montagna in provincia di Verona e il giorno dopo ero con mia moglie in una città come Roma» ha ricordato di quel periodo.
Gli inizi a Roma non furono facili. La squadra era passata da poco sotto la proprietà di Franco Sensi, veniva da tante annate complicate e in quella stagione avrebbe raggiunto uno dei suoi peggiori piazzamenti in Serie A, un dodicesimo posto segnato dall’esonero di Carlos Bianchi — l’allenatore argentino che aveva provato a sostituire Totti con il finlandese Jari Litmanen — e poi dall’arrivo con il ruolo di traghettatore del settantacinquenne Nils Liedholm, che Tommasi aveva conosciuto ai tempi del Verona.
In un ambiente scontento e al tempo stesso molto esigente, Tommasi entrò subito nel giro dei titolari, ma fu fischiato a lungo dalla tifoseria, che non vedendo in lui il talento e le grandi giocate di altri calciatori più estrosi sottovalutava il suo contribuito in campo. Nonostante questo, Tommasi rimase al suo posto con quattro allenatori diversi, anche molto diversi tra loro, fino all’arrivo di Fabio Capello, con il quale, dopo un sesto posto iniziale e gli acquisti di giocatori come Gabriel Omar Batistuta, Emerson e Walter Samuel, la Roma tornò a vincere lo Scudetto dopo diciotto anni.
Nella stagione dello Scudetto il centrocampo della Roma fu ridotto per lunghi tratti a soli due giocatori di ruolo, a causa degli infortuni dei brasiliani Emerson e Marcos Assunção. Tommasi si trovò quindi a sostenere il reparto per quasi tutta la stagione con il solo Cristiano Zanetti, diventando così l’uomo più importante secondo Capello e un idolo per tanti che un tempo lo criticavano.
Negli anni trascorsi a Roma fu più volte capitano e arrivò a un totale di 21 gol in 351 presenze ufficiali tra campionato e coppe. Nella stagione dello Scudetto — che rimane ancora l’ultimo per la Roma — entrò a far parte stabilmente della Nazionale di Giovanni Trapattoni, con cui giocò i Mondiali del 2002 in Corea del Sud e Giappone, e poi le qualificazioni agli Europei del 2004. Quell’anno segnò anche il punto più critico della sua carriera. Durante un’amichevole estiva in Austria contro lo Stoke City, un violento scontro di gioco con il difensore nordirlandese Gary Taggart gli provocò un devastante infortunio al ginocchio destro con rottura di legamenti crociati, collaterali, menischi e piatto tibiale. L’operazione di ricostruzione a cui si sottopose fu altrettanto complicata e Tommasi ci mise quindici mesi a tornare a giocare.
Nel frattempo la Roma aveva sostituito Fabio Capello con un nuovo allenatore, Luciano Spalletti. Dopo essersi accertato di poter tornare a giocare, Tommasi si mise d’accordo con quest’ultimo e con la società, allora presieduta da Rosella Sensi, per rimanere un altro anno a Roma. Vista però l’incognita delle sue condizioni fisiche, e l’età che avanzava, accettò un contratto al minimo sindacale inferiore ai duemila euro al mese. Tornò in campo per qualche minuto ad ottobre del 2005, e dopo tre partite di ambientamento Spalletti lo schierò titolare contro la Fiorentina, peraltro in un ruolo non suo, esterno d’attacco. Al secondo minuto di gioco segnò quello che ritiene il suo gol più importante per tutto quello che significò in quel momento, al termine di un’azione iniziata da Totti e proseguita da Cassano.
L’anno successivo lasciò la Roma e trascorse quattro anni a fare esperienze all’estero: prima al Levante in Spagna, poi in Inghilterra al Queens Park Rangers e poi in Cina al Tianjin Teda: fu uno dei primi calciatori stranieri con una certa fama a giocare nel campionato locale. Ufficialmente Tommasi non si è ritirato fino al 2019, dopo aver giocato anche in seconda categoria con il Sant’Anna d’Alfaedo — il paese in cui è cresciuto — e poi a San Marino, con il La Fiorita di Montegiardino, con cui disputò i turni preliminari di Champions League.
Grazie anche alle diverse realtà conosciute negli ultimi anni di carriera, Tommasi è stato presidente del sindacato italiano dei calciatori per nove anni e successivamente consigliere dell’attuale presidente federale Gabriele Gravina. Studia inoltre Scienze della formazione all’Università di Padova e nel 2015 è stato inserito nella “Hall of Fame” della Roma per «il contributo dato alla storia e al patrimonio della squadra».
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