La Corte Suprema non è più la stessa
Dopo la sentenza sull'aborto, i giudici conservatori hanno mostrato che sono pronti a cambiare profondamente gli Stati Uniti, anche a costo della credibilità del tribunale
di Eugenio Cau
La sentenza con cui venerdì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha eliminato il diritto costituzionale all’aborto, togliendo ogni garanzia a livello federale e lasciando gli stati a legiferare come preferiscono, è una delle più importanti della storia americana, e anche una delle più controverse: non solo perché influenzerà la vita di milioni di donne in tutti gli Stati Uniti, ma anche perché, per come è avvenuta, la sentenza ha dato l’impressione di essere stata dettata non da una valutazione giuridica imparziale, ma da argomenti di tipo politico.
Il fatto che la Corte Suprema americana sia percepita (e nella pratica sia) non più come un’istituzione imparziale di garanzia e salvaguardia della Costituzione, ma come un organo politico che dipende dall’orientamento della maggioranza del momento è all’origine di una crisi di legittimità che si sta vedendo sempre più chiaramente da qualche anno. Secondo sondaggi periodici dell’agenzia Gallup, nel 2007 il 60 per cento degli americani approvava il lavoro della Corte, ma nel 2021 il dato si era ridotto al 40 per cento, un minimo storico. E la settimana scorsa, pochi giorni prima della sentenza sull’aborto, una nuova rilevazione aveva mostrato che la fiducia degli americani nella Corte era al minimo di sempe: appena il 25 per cento.
Della crisi di legittimità della Corte si parla già da qualche anno, ma secondo vari esperti giuridici la sentenza sull’aborto (che si chiama “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”, o più semplicemente Dobbs), a causa delle modalità e delle motivazioni con cui è stata decisa ha dato un colpo piuttosto duro alla credibilità dei giudici: per arrivarci la maggioranza conservatrice della Corte ha ignorato volutamente tutta una serie di precedenti, norme non scritte e procedure che erano state messe in atto nell’ultimo secolo con l’obiettivo di mantenere quanto meno un’apparenza di obiettività nell’operato dei giudici.
E benché sia un’istituzione considerata da molti obsoleta e tutto sommato non democratica (un gruppo minuscolo di persone non elette che decide della vita di centinaia di milioni di persone), la Corte Suprema rimane fondamentale per il sistema politico americano: una sua eventuale perdita di legittimità potrebbe avere ricadute ampie e molto dolorose.
La Corte, brevemente
La Corte Suprema è il più importante tribunale degli Stati Uniti per ciò che riguarda le leggi emanate nel paese e il loro rapporto con la Costituzione. È formata da nove giudici scelti dai presidenti e il cui mandato è a vita. I giudici hanno il compito di garantire alla popolazione statunitense che ogni legge rispetti regole e diritti sanciti dalla Costituzione. Nel farlo, hanno ampio margine di manovra e possono farsi interpreti dei princìpi costituzionali.
Attualmente la Corte Suprema è formata da sei giudici scelti da presidenti repubblicani:
• John Roberts, che è il giudice capo, cioè il presidente della Corte,
• Clarence Thomas,
• Samuel Alito,
• Neil Gorsuch,
• Brett Kavanaugh,
• Amy Coney Barrett.
E da tre giudici selezionati da presidenti democratici:
• Stephen Breyer,
• Sonia Sotomayor,
• Elena Kagan.
I giudici della Corte Suprema conducono audizioni e decidono sui casi per cui viene garantito un riesame giudiziario. Nella maggior parte dei casi si tratta di controversie provenienti da tribunali di appello.
I casi sono decisi a maggioranza. I giudici che non sono d’accordo con l’esito della votazione a maggioranza possono scrivere una propria opinione separata, detta dissenting opinion, nella quale esprimono il proprio dissenso e ne espongono le considerazioni giuridiche. In alcuni casi un giudice può concordare parzialmente, votando assieme alla maggioranza ma indicando in un’opinione separata (concurring opinion) i princìpi decisi dalla Corte con cui si trova in disaccordo, o semplicemente altri elementi che vuole mettere in evidenza.
– Leggi anche: Come funziona la Corte Suprema
Come si è arrivati alla sentenza sull’aborto
Sotto molti punti di vista, l’attuale Corte Suprema è stata creata apposta per eliminare il diritto costituzionale all’aborto, che era uno degli obiettivi della politica conservatrice americana. Durante la campagna per le presidenziali del 2016, Donald Trump annunciò esplicitamente che avrebbe nominato giudici della Corte Suprema che sarebbero stati disposti a rovesciare la sentenza sull’aborto (che si chiama Roe v. Wade) e pubblicò perfino una lista di nomi di possibili giudici compiacenti.
Per varie ragioni, poi, Trump si trovò a nominare ben tre giudici (Gorsuch, Kavanaugh e Coney Barrett), creando così una maggioranza superconservatrice che si è andata ad aggiungere ai conservatori radicali Thomas e Alito.
In questo modo, la Corte ha perso un equilibrio che aveva mantenuto per decenni, in cui una serie di giudici moderati, sia di nomina democratica sia repubblicana, erano riusciti a mantenere l’istituzione e le sue sentenze sempre al centro, e in cui il principio più importante era quello di privilegiare credibilità e legittimità su tutto il resto.
La Corte Suprema è un’istituzione piuttosto peculiare: pur essendo di nomina politica, ha il compito di sorvegliare sulla Costituzione in maniera imparziale. Per questo, la Corte nel tempo ha messo in atto tutta una serie di princìpi per garantire la propria imparzialità, o quanto meno la percezione che l’elettorato ne avrebbe avuto.
Uno dei più importanti è il principio dello “stare decisis”, che in latino significa “rimanere su quanto deciso”, e che prevede che una sentenza già presa costituisca un precedente e non debba essere ribaltata, a meno di casi di eccezionale gravità. Lo “stare decisis” è tipico dei sistemi giuridici come quello americano, ma era particolarmente importante per la Corte Suprema, perché rispettando le sentenze già prese la Corte mostrava di essere un’istituzione con una continuità e un’integrità, e non un organo che cambiava l’interpretazione della Costituzione a seconda della maggioranza.
Come disse nel 1932 Louis Brandeis, uno dei più importanti giudici della storia della Corte, «nella maggior parte dei casi, è più importante che una legge sia stabilita, piuttosto che stabilita nella maniera giusta».
Con la sentenza Dobbs i giudici conservatori hanno palesemente ignorato questo principio, creando un precedente importante e potenzialmente grave. Il giudice Alito, nella sua opinione favorevole a Dobbs, ha scritto che quando un giudice ritiene che una sentenza precedente sia stata un errore è suo compito correggerla, indipendentemente dallo “stare decisis”. Riprendendo e smentendo Brandeis ha aggiunto: «per noi è molto importante che una legge sia “stabilita nella maniera giusta”».
Ovviamente ci sono alcune questioni su cui è giusto ignorare lo “stare decisis” e ribaltare un precedente: successe per esempio nel 1954, quando la Corte Suprema ribaltò una sentenza di cinquant’anni prima che approvava la segregazione razziale. Ma lo “stare decisis” era già stato applicato all’aborto in precedenza, nel 1992, con la sentenza “Planned Parenthood v. Casey”, nota semplicemente come Casey.
La Corte Suprema del 1992 era ancora più sbilanciata di quella attuale: di nove giudici, ben otto erano stati nominati da presidenti Repubblicani. Alcuni di loro, come il giudice capo William Rehnquist, erano considerati ultraconservatori, e molti erano stati nominati da Ronald Reagan e da George H. W. Bush, due presidenti che esplicitamente si erano dichiarati contrari a Roe v. Wade, la sentenza sull’aborto del 1973. L’unico giudice di nomina Democratica, Byron White, era un centrista, ma nel 1973 era stato tra i giudici contrari a Roe v. Wade.
Quando nel 1992 davanti a questa Corte così eccezionalmente conservatrice si presentò un caso che riguardava il diritto all’aborto, molti pensarono che Roe sarebbe stata infine ribaltata: se i giudici avessero votato secondo le loro personali inclinazioni politiche, tutti e nove si sarebbero detti contrari all’aborto. Ma in maniera sorprendente successe il contrario: tra i tre e i quattro giudici Repubblicani (a seconda delle opinioni) si unirono al Democratico White e sostennero Roe v. Wade. La motivazione fu proprio lo “stare decisis”: la Corte deliberò che poiché i fattori che avevano portato alla sentenza Roe non erano cambiati, non sarebbe stato possibile giustificare un riesame della norma, perché avrebbe provocato una gravissima perdita di credibilità:
La Corte deve parlare e agire in modo da consentire alle persone di accettare le sue decisioni nei termini in cui la Corte li esprime, e cioè fondate onestamente sui princìpi, e non come compromessi con le pressioni politiche e sociali.
Tra le altre cose, la Corte scrisse di aver preso in considerazione anche il fatto che ribaltare Roe avrebbe avuto un effetto devastante per milioni di donne che vi facevano affidamento e che dopo vent’anni avrebbero perso un diritto fondamentale: «Un’intera generazione è cresciuta facendo affidamento sul concetto di libertà dato da Roe nel definire l’autonomia delle donne di agire nella società, e di prendere decisioni sulla propria vita riproduttiva». Alla fine, con la sentenza Casey, quella Corte Suprema conservatrice finì per sostenere il diritto all’aborto, anziché eliminarlo.
Tutto questo è stato spazzato via dalla sentenza della settimana scorsa, che oltre ad aver eliminato Roe ha eliminato anche Casey.
In alcune parti della sentenza Dobbs, specie quelle scritte dal giudice Alito, emerge un altro principio per determinare se una sentenza sia giusta o sbagliata, e dunque se lo “stare decisis” possa essere ignorato o meno: secondo Alito, per essere tale un diritto deve essere «profondamente radicato nella nostra storia e nelle nostre tradizioni». È un concetto che Alito porta all’estremo, rifacendosi anche a storia e tradizioni in cui le donne non avevano diritti: nella sua opinione si rifà a precedenti del Tredicesimo secolo, e cita tra le posizioni autorevoli sull’aborto quella di Matthew Hale, un giurista del Sedicesimo secolo che condannò delle streghe al rogo.
La “maggioranza YOLO”
C’è un altro elemento fondamentale per capire come la sentenza sull’aborto potrebbe portare a una perdita di credibilità della Corte Suprema: il caso Dobbs con cui la Corte ha eliminato il diritto costituzionale all’aborto avrebbe potuto facilmente essere risolto anche senza ribaltare Roe v. Wade.
Semplificando, il caso riguardava una legge dello stato del Mississippi che impediva la maggior parte degli aborti dopo le prime 15 settimane di gravidanza, una decisione molto restrittiva rispetto a quanto stabilito dalla sentenza Casey del 1992, secondo cui si può abortire fintanto che il feto non è in grado di sopravvivere anche fuori dall’utero, cosa che avviene attorno alla 24esima settimana.
Il caso, dunque, era una sfida diretta al diritto all’aborto, ma non ne richiedeva la completa abolizione: i giudici conservatori avrebbero potuto semplicemente dare ragione al Mississippi approvando il limite delle 15 settimane e dare un colpo duro alle norme sull’aborto, senza però eliminarle.
Era quello che avrebbe voluto fare John Roberts, il giudice capo della Corte, che nella sua concurrent opinion ha scritto: «L’opinione della Corte [di ribaltare il diritto all’aborto, ndr] è ponderata e accurata, ma queste virtù non possono compensare il fatto che questa sentenza drammatica e piena di conseguenze non sia necessaria per risolvere il caso che stiamo trattando».
Secondo vari analisti, Roberts, che è il più moderato tra i conservatori della Corte, avrebbe voluto usare un approccio graduale: colpire il diritto all’aborto nel tempo, sentenza dopo sentenza, mantenendo almeno l’apparenza dell’imparzialità e senza l’enorme scandalo di eliminare un diritto costituzionale in un colpo solo. Ma i suoi colleghi più radicali hanno deciso che non c’era più bisogno di mantenere le apparenze, e hanno eliminato Roe e Casey alla prima occasione utile, senza preoccuparsi né delle apparenze né dei precedenti.
Il fatto è che ormai gli equilibri della Corte sono saldamente a favore degli ultraconservatori, e a parte Roberts non ci sono più abbastanza moderati che possono schierarsi occasionalmente con la minoranza per mantenere la Corte al centro. E anziché fare come i giudici degli anni Novanta, che pur avendo una forte maggioranza avevano spesso mantenuto una certa moderazione, i giudici conservatori attuali sembrano aver deciso che è arrivato il momento di cogliere l’occasione per mettere in atto quello che il commentatore politico Ezra Klein ha definito «un cambio di regime giudiziario».
Per definire questo atteggiamento Leah Litman, professoressa alla Michigan Law School, ha parlato di «maggioranza YOLO»: YOLO è l’acronimo di You Only Live Once, si vive una volta sola, ed è un termine molto usato nel gergo americano per incitare le persone a cogliere al volo le occasioni che si presentano, osare, rinunciare alla moderazione per godersi tutto al massimo. Di solito YOLO è un consiglio di vita positivo anche se spesso sarcastico, ma nel caso della maggioranza conservatrice alla Corte Suprema assume un significato piuttosto oscuro.
Sempre secondo Klein, «il fondamento di questa sentenza, se la si legge, non è soltanto l’aborto. È una dissertazione su come la Corte utilizzerà il suo potere da ora in avanti. […] I giudici di nomina Repubblicana che ora controllano la Corte cambieranno questo paese come meglio ritengono. Lo stanno già facendo».
Per questo la sentenza Dobbs, con il suo ripudio così esplicito dello “stare decisis”, costituisce un precedente enorme: con questa sentenza la Corte ha fatto capire che è pronta a ribaltare altre sentenze che finora erano state considerate fondamentali e inattaccabili.
Nella sua opinione, il giudice Clarence Thomas, uno dei più conservatori, ha scritto che potrebbero essere riviste le sentenze Griswold, Lawrence e Obergefell: sono rispettivamente una sentenza sul diritto alla privacy, quella sul diritto di accesso alla contraccezione e quella sul diritto di matrimonio per le coppie omosessuali. Sono tutte sentenze che, come Roe v. Wade, si basano sul quattordicesimo emendamento della Costituzione, e che per questo potrebbero essere eliminate usando gli stessi strumenti giuridici.
– Leggi anche: Come si arrivò alla sentenza Roe v. Wade
Per ora tuttavia, a parte quanto scritto da Thomas, non ci sono particolari indicazioni su come la Corte agirà in futuro. Nei prossimi mesi la Corte dovrà deliberare su varie questioni molto sensibili, come per esempio l’Affirmative action, una misura che favorisce l’accesso all’educazione agli studenti che appartengono a minoranze etniche.
La contro-argomentazione rispetto a quella della “maggioranza YOLO”, espressa per esempio sulla sezione delle opinioni del Wall Street Journal, è che in realtà la prevaricazione del ruolo della Corte non risalga alla scorsa settimana con la sentenza Dobbs, ma al 1973, quando una corte molto spostata a sinistra decise di «imporre la propria visione sul paese» codificando il diritto costituzionale all’aborto. In questa visione, la sentenza Dobbs starebbe soltanto ristabilendo il ruolo della Corte Suprema, che è quello di dirimere i casi giuridici e non di espandere i diritti civili.
La perdita di credibilità
In ogni caso, la sentenza Dobbs sarà probabilmente un colpo duro per la credibilità della Corte Suprema. La fiducia nei confronti dell’istituzione è già ai minimi storici, per varie ragioni legate anche al modo in cui Trump nominò gli ultimi giudici (che parlando davanti al Congresso avevano garantito che non avrebbero toccato il diritto all’aborto). Il modo in cui si è arrivati alla sentenza potrebbe creare ulteriori spaccature.
La perdita di credibilità è un problema serio per la Corte Suprema, che è un organo giudiziario senza veri poteri: non comanda forze di polizia o sistemi carcerari, e l’unico modo per esercitare la sua autorità è sperare che le altre istituzioni accettino le sue sentenze.
Non sempre è avvenuto: nel 1832 la Corte Suprema decretò che i nativi americani Cherokee costituivano un’entità sovrana che non poteva essere attaccata dagli stati americani. Il presidente Andrew Jackson però non mise in pratica la sentenza e continuò ad approvare le espropriazioni dei terreni Cherokee e le violenze sui nativi. Secondo una frase probabilmente apocrifa disse: «Marshall [il giudice capo, ndr] ha preso la sua decisione, ora lasciamo pure che la metta in pratica».
I casi come questo sono rarissimi nella storia americana, e per ora non ci sono indicazioni che le forze politiche potrebbero decidere di ignorare una sentenza della Corte.
Ma, come ha notato il giornale online Vox, la democrazia americana si avvia verso un periodo di fortissime tensioni specie con le elezioni presidenziali del 2024. A seconda di chi saranno i candidati, e soprattutto se si candiderà di nuovo Donald Trump, non è escluso che ci saranno scontri politici violenti e accuse di brogli. La Corte Suprema è l’organo deputato a dirimere le controversie elettorali, ma in un contesto in cui le sue decisioni sono considerate parziali non è detto che riuscirà a farsi rispettare.