Il problema della Sardegna con le locuste
Dal 2019 gli agricoltori della provincia di Nuoro subiscono grossi danni e finora si è fatto poco per evitarlo
Dal 2019, ogni anno con l’avvicinarsi dell’estate, gli agricoltori della provincia di Nuoro, in Sardegna, vedono miliardi di locuste emergere dal suolo, divorare ogni genere di coltivazione e spostarsi in volo da un campo all’altro, oltre che in frutteti e giardini. Il problema riguarda una parte della valle del Tirso, il più importante fiume sardo, e si sta ampliando verso est e verso nord: dalla zona di Ottana, l’anno scorso erano arrivate a Sedilo, in provincia di Oristano, e quest’anno anche nella pianura di Ozieri, in provincia di Sassari. Un’agenzia della Regione Sardegna ha un piano per cercare di risolvere il problema, ma lo si potrà attuare solo in vista dell’estate del 2023.
Le locuste con cui hanno a che fare gli agricoltori sardi sono locuste del Marocco, secondo la nomenclatura scientifica Dociostaurus maroccanus. Come suggerisce il nome, vivono in Nord Africa, ma anche nell’Europa meridionale e in Medio Oriente. La loro presenza in Sardegna non è una novità e non è nemmeno la prima volta che avviene una “pullulazione”, cioè che una popolazione di locuste cresce a dismisura per alcune generazioni (ogni esemplare vive meno di un anno): giornali e telegiornali citano sempre la grande “invasione” del 1946, quando un milione e mezzo di ettari di terreno, più di metà della superficie dell’intera isola, furono infestati dalle locuste.
«Era una situazione molto diversa da quella attuale», spiega Ignazio Floris, entomologo dell’Università di Sassari e consulente dell’Agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale della Regione Sardegna (Laore): «Abbiamo stimato che le zone interessate oggi siano 50-60mila ettari, un’area pari al 2,5 per cento della superficie della Sardegna. Non bisogna immaginarseli completamente coperti di cavallette, alcune zone sono più colpite, altre meno. La dimensione del fenomeno non ha nulla a che fare con quella del 1946, sebbene per chi lo subisce nei propri campi il danno sia lo stesso».
Dal 1946 al 2019 è capitato più volte che le popolazioni sarde di locuste del Marocco aumentassero e diminuissero, ma di pullulazioni grandi come quella che seguì la Seconda guerra mondiale non ce ne sono più state perché le tecniche agricole moderne ne limitano lo sviluppo.
Le locuste del Marocco hanno un ciclo vitale di un anno: tra giugno e luglio ogni femmina depone un centinaio di uova che si schiudono ad aprile; poi muore. Il fattore di moltiplicazione della popolazione è dunque molto alto se non ci sono elementi che ne limitano la crescita, come un’ampia presenza di predatori o di particolari attività umane.
In generale, la specie vive periodici aumenti del numero di esemplari di una popolazione, che possono durare per 3 o 4 anni consecutivi, ma anche per 9, e successive grosse diminuzioni. «Ora siamo al quarto anno di aumento della popolazione e potremmo arrivare a 7 o 8», dice Floris. E dato che con la crescita della popolazione le locuste espandono il proprio areale, cioè raggiungono nuovi territori dove depongono le uova, è normale che di anno in anno le zone colpite aumentino.
Nel 2019 gli insetti avevano infestato circa duemila ettari, danneggiando una ventina di aziende agricole. Negli anni successivi le aree colpite dalla presenza delle locuste sono aumentate: nel 2021 più di 30mila ettari, un territorio pari al 5 per cento di quello della provincia di Nuoro, e quest’anno di più.
Ciò non significa che non si possa far nulla per risolvere il problema.
Nel ciclo vitale delle locuste ci sono infatti due momenti di vulnerabilità, che si possono sfruttare per ridurne il numero. Il principale è quando sono ancora uova. Le femmine adulte le depongono nel terreno, nei primi 5 centimetri del suolo: semplicemente arando i campi le si espone ai predatori e agli agenti atmosferici, e se lo si fa da agosto a dicembre si riesce a sottoporle alle rigide temperature invernali, fatali per la loro sopravvivenza. Una delle difficoltà di questo intervento sta nel valutare quali siano i terreni in cui le uova sono state deposte, dato che non sono distribuite in modo uniforme.
L’altra difficoltà è anche una delle ragioni per cui le locuste sono attualmente favorite in Sardegna.
La grande pullulazione del 1946 era stata causata dall’abbandono dei campi coltivati dovuto alla guerra: se le campagne non vengono lavorate, le uova restano indisturbate e arrivano alla schiusa in numero maggiore. La pullulazione attuale ha in parte cause simili: nell’entroterra sardo è in corso da anni un processo di spopolamento e conseguente abbandono delle campagne. Sempre per via di questo abbandono tra il 2019 e oggi molti campi sono rimasti incolti e dunque sono stati un ambiente accogliente per le uova di locusta. Una prima strategia per risolvere l’attuale problema della pullulazione richiederebbe di ararli, ma dato che si tratta di terreni abbandonati farlo comporta «difficoltà pratiche ed economiche», spiega Floris.
Gli insetti sono molto vulnerabili anche subito dopo la schiusa delle uova, quando gli esemplari giovani non hanno ancora le ali e si concentrano in alcune aree limitate: è una fase che va dalle 3 alle 4 settimane, durante la quale si può intervenire in diversi modi per ridurre la popolazione delle locuste. Anche con mezzi fisici: in passato si sono usati lanciafiamme, oggi si potrebbe farlo con tecniche di fuoco controllato, cioè bruciando sotto stretto controllo la vegetazione più bassa. Oppure utilizzando insetticidi in modo mirato. Una volta che le locuste sviluppano le ali e si spostano più in fretta, diventa più difficile ucciderle.
Nonostante l’aumento della popolazione di locuste nel centro della Sardegna sia diventato evidente tre anni fa, finora non si è fatto granché per contenerlo per via di varie difficoltà. Prima fra tutte: all’interno della Regione non si riusciva a decidere quale fosse l’agenzia competente per occuparsi del problema, se l’assessorato della Difesa dell’ambiente o Laore. Inizialmente poi forse l’entità del problema e i suoi sviluppi erano stati sottostimati, visto che nel 2019 il territorio interessato era limitato.
Solo nel giugno del 2021 è stato definito un piano d’intervento regionale, ma tra un passaggio burocratico e l’altro è diventato ufficiale solo a febbraio: troppo tardi per intervenire sulla generazione di locuste di quest’estate.
Infatti le arature per colpire le uova devono essere fatte entro dicembre, e gli interventi mirati sulle giovani locuste senza ali (i cosiddetti “focolai precoci”) hanno bisogno di essere organizzati con anticipo. Qualcosa è stato fatto, circa 600 interventi che hanno portato allo sterminio di 2 miliardi di locuste, ma secondo Floris non abbastanza: «Sono poche sul totale, ma la situazione attuale avrebbe potuto essere anche più grave».
Finora non si è potuto intervenire di più anche perché mancavano i soldi per farlo. Oltre a quelli per finanziare il lavoro dei campi abbandonati, ne servivano per risarcire gli agricoltori che ne tengono alcuni a riposo (un altro contesto favorevole alla pullulazione) e che per questo ricevono fondi della Politica agricola comune (PAC) dell’Unione Europea.
Non era invece possibile impiegare gli insetticidi contro i focolai precoci sulle molte coltivazioni biologiche della zona colpita, perché l’unico prodotto autorizzato per trattare le infestazioni da locuste (a base di deltametrina) non è compatibile con le regole dell’agricoltura biologica: avrebbe quindi fatto perdere agli agricoltori le relative certificazioni.
In vista dell’estate del 2023 però gli interventi dovrebbero essere fattibili. È stata chiesta al governo una deroga per usare in via straordinaria alcuni insetticidi compatibili con le regole dell’agricoltura biologica ma non autorizzati contro le locuste; e con i fondi stanziati dalla Regione lo scorso gennaio (500mila euro per il 2021, 200mila per il 2022 e 100mila per il 2023) si cercherà di individuare i campi incolti infestati e di ararli entro dicembre.
A prescindere da come andranno le cose, il prossimo anno è comunque probabile che con le pullulazioni di locuste si dovrà continuare a fare i conti. Oltre che dall’abbandono dei campi, infatti, il fenomeno è favorito dal cambiamento climatico, spiega Floris: il metabolismo degli insetti è strettamente influenzato dalle temperature e il loro aumento ne favorisce lo sviluppo. Dunque bisognerebbe passare da un approccio «di emergenza» a uno «di prevenzione», come in tanti altri ambiti.