Le sanzioni sul petrolio russo non stanno funzionando, per ora
Cina e India ne stanno comprando a livelli record, annullando gli effetti delle misure occidentali in questo settore
Negli ultimi mesi la Russia è riuscita a vendere in Asia, soprattutto a Cina e India, quasi tutto il petrolio che non avrebbe potuto vendere a Europa e Stati Uniti a causa delle sanzioni imposte per l’invasione dell’Ucraina: grazie agli alti prezzi delle materie prime, inoltre, la Russia è riuscita a ottenere entrate superiori alle aspettative dalla vendita del petrolio e ha annullato quasi del tutto gli effetti delle sanzioni imposte dall’Occidente in questo settore.
Ciò non significa che le sanzioni non stiano funzionando nel loro complesso: l’economia russa è fortemente indebolita, ed è ancora troppo presto per dire quanto riuscirà a resistere alla pressione economica imposta dall’Occidente. Ma le sanzioni specifiche sul petrolio, che erano state imposte dagli Stati Uniti e che saranno imposte da Unione Europea e Regno Unito entro la fine dell’anno, sono state effettivamente rese inefficaci dall’intervento di Cina e India: il New York Times ha definito le sanzioni occidentali sul petrolio «un boomerang», perché non stanno danneggiando la Russia ma hanno comunque provocato un aumento dei prezzi a livello mondiale, con conseguenze che per ora si stanno sentendo più che altro nei paesi occidentali.
Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno quasi immediatamente bloccato le importazioni di petrolio russo, mentre Unione Europea e Regno Unito si sono impegnati a fare lo stesso entro la fine dell’anno (anche se l’Unione bloccherà soltanto i due terzi delle importazioni, e con ampie eccezioni). Benché il grosso delle sanzioni entri in vigore fra mesi, varie raffinerie e società energetiche occidentali hanno già deciso autonomamente di bloccare o ridurre le importazioni di petrolio russo, per evitare di incappare in sanzioni e difficoltà di tipo finanziario.
Per questa ragione, le importazioni di petrolio russo in Europa sono calate notevolmente negli ultimi tre mesi. Ma nel frattempo sono intervenuti vari paesi asiatici, soprattutto Cina e India, che hanno di fatto annullato gli effetti negativi che questi cali avrebbero potuto avere sulla Russia. Secondo stime citate dal New York Times, la quantità di greggio russo importata in Europa è calata di 554.000 barili al giorno da marzo a maggio (da 2 milioni a 1,5 milioni, all’incirca), ma nello stesso periodo la Russia è riuscita a vendere in Asia 503.000 barili al giorno: praticamente una sostituzione completa.
La Cina è il paese che sta beneficiando maggiormente di questo cambiamento. La Russia è diventata il suo maggiore fornitore di petrolio greggio, superando negli ultimi due mesi l’Arabia Saudita: a maggio le forniture russe erano aumentate del 55 per cento rispetto al maggio del 2021, raggiungendo il massimo storico.
Ma la sorpresa più grossa è stata probabilmente l’India, che da importatore poco rilevante è diventato in questi mesi uno dei principali compratori di petrolio russo: è passata dai 60.000 barili di greggio al giorno importati all’inizio dell’anno ai 430.000 importati a maggio. Per l’India, comprare greggio russo è diventato particolarmente conveniente per due motivi: anzitutto perché la Russia sta vendendo il suo greggio a prezzi molto scontati, per compensare il fatto che comprarlo è diventato più rischioso a causa delle sanzioni (per esempio, le compagnie assicurative occidentali si rifiutano di assicurare i cargo, ed è complicato ottenere prestiti dalle banche per gli anticipi).
In secondo luogo, l’India ha un’importante industria di raffinazione, ed esporta all’estero il greggio russo raffinato e pagato molto poco, ottenendo enormi guadagni grazie al fatto che il prezzo dell’energia è altissimo. Peraltro, le raffinerie indiane riforniscono anche l’Europa, e questo rende molto probabile che i paesi europei abbiano inavvertitamente comprato greggio russo raffinato dall’India, a caro prezzo.
Anche altri paesi asiatici, come le Filippine e lo Sri Lanka, stanno aumentando le loro importazioni di greggio russo, anche se in quantità meno rilevanti.
L’enorme aumento del prezzo dell’energia sta favorendo molto le finanze della Russia, che a giugno, secondo stime del ministero delle Finanze, dovrebbe incassare 6 miliardi di dollari in più di quanto atteso, grazie all’aumento dei prezzi a livello internazionale.
Per la Russia sarebbe stato molto più complicato trovare compratori alternativi per il suo gas naturale, che è più difficile da trasportare via nave e per il quale esistono pochi collegamenti tramite gasdotto con l’Asia. Ma l’Europa, che dipende dal gas più di quanto dipenda dal petrolio russo, non ha mai smesso di comprare gas dalla Russia, né ha minacciato di farlo, risolvendo a Vladimir Putin questo problema. Ora, anzi, è la Russia che sta riducendo le forniture di gas all’Europa, probabilmente per spaventare i governi europei e rendere più difficile lo stoccaggio di gas in vista del prossimo inverno.
Almeno per ora, dunque, le sanzioni occidentali sul petrolio non stanno avendo efficacia, ma bisogna avere comunque un po’ di cautela prima di definirle un completo fallimento. Anzitutto, devono ancora entrare in vigore: il calo di 500 mila barili al giorno (su 2 milioni complessivi) delle importazioni è dovuto all’iniziativa di singole aziende e raffinerie, ma quando diventerà attivo il blocco totale del petrolio russo (o dei due terzi, come in Europa) allora le cose potrebbero cambiare.
Più in generale, è presto per dare un giudizio complessivo sull’efficacia delle sanzioni. È vero che la Russia ha mostrato una resistenza sorprendente in questi mesi, anche se molti dei suoi risultati sono da attribuire più che altro all’azione decisa della sua Banca centrale. Ma la maggior parte degli esperti ritiene che il grosso degli effetti dovrebbe vedersi nei prossimi mesi, a partire dall’autunno, man mano che le sanzioni entreranno in vigore e avranno tempo di diventare efficaci.