Queste larve smaltiscono il polistirolo mangiandolo
Studiando come fanno, un gruppo di ricerca sta sperimentando soluzioni più sostenibili per liberarci di un materiale inquinante
Un gruppo di ricerca in Australia sta lavorando a un modo per rendere potenzialmente più sostenibile lo smaltimento del polistirolo: darlo in pasto alle larve di una particolare specie di coleottero, piuttosto paffute e voraci. Lo studio, pubblicato di recente sulla rivista scientifica Microbial Genomics, spiega che nel corso degli esperimenti le larve sono sopravvissute all’insolita dieta, ottenendo comunque le energie necessarie per trasformarsi in coleotteri. I test potrebbero portare alla scoperta di nuove sostanze per dissolvere più facilmente un materiale estremamente diffuso e inquinante.
In alcuni paesi come l’Italia siamo abituati a usare la parola “polistirolo”, ma sarebbe più corretto utilizzare “polistirene”, almeno secondo le indicazioni dell’Unione internazionale di chimica pura e applicata (IUPAC), l’organizzazione non governativa che si occupa dei progressi nella chimica e di rendere comune, e condiviso, l’impiego di termini e definizioni nel settore. La desinenza “-olo” è solitamente riservata agli alcoli, ma siccome il monomero (l’unità strutturale che forma il polimero di questo materiale) da cui deriva il polistirene veniva chiamato tradizionalmente “stirolo” – invece che “stirene” – si è creata un po’ di confusione. Come suggerisce il nome, il polistirene è un polimero dello stirene, un idrocarburo aromatico (formato quindi da carbonio e idrogeno).
Con il polistirene si producono numerosi oggetti usa e getta, ora messi al bando in molti paesi proprio per contrastare l’inquinamento: piatti e posate, vasetti per lo yogurt, rasoi, custodie per CD e contenitori per le uova. Il materiale viene anche impiegato per produrne una versione espansa, quella che di solito siamo più abituati a chiamare “polistirolo”, molto leggera e utile per gli imballaggi e come isolante.
Il polistirene può essere smaltito attraverso vari processi, ma abbonda comunque anche in aree del mondo in cui non ci sono sistemi di trattamento dei rifiuti adeguati. Come altre materie plastiche, anche questo materiale finisce nei corsi d’acqua e nei mari, diventando fonte di preoccupazione per chi si occupa di preservare gli ambienti marini.
Volendo trovare un sistema più semplice per smaltire il polistirene, un gruppo di ricerca dell’Università del Queensland è partito da alcune conoscenze pregresse sulle larve di Zophobas morio e di specie simili, già note per essere in grado di nutrirsi di alcuni tipi di plastica tra i quali il polistirolo. Alcuni studi avevano per esempio mostrato come la loro capacità di digerire queste sostanze svanisse nel caso in cui fossero introdotti antibiotici nella loro dieta. Da ciò i gruppi di ricerca avevano concluso che fossero alcuni batteri presenti nell’apparato digerente delle larve a rendere possibile la digestione delle materie plastiche, un po’ come fanno i batteri nel nostro intestino nel darci una mano a digerire gli alimenti.
Non era però chiaro che cosa conferisse ai batteri che popolavano il tratto digerente delle larve la capacità di digerire la plastica. Per scoprirlo, il gruppo di ricerca australiano ha quindi effettuato un test, dividendo le larve in tre gruppi con diete differenziate per alcuni giorni: il primo ha ricevuto crusca, il secondo il polistirene e il terzo è stato mantenuto a digiuno.
Dopo qualche giorno, le larve del terzo gruppo hanno iniziato a mangiarsi tra loro, rendendo necessaria una separazione dei singoli partecipanti. Il gruppo allevato a crusca ha mostrato invece di essere interessato solo a quella, un alimento di cui del resto vanno ghiotte le larve di questo tipo. Il secondo gruppo per un paio di giorni non ha considerato il polistirene come un’opzione per sfamarsi, ma alla fine ha ceduto iniziando a mangiarlo. Dopo qualche giorno le loro feci erano bianche, e il loro peso è aumentato, seppure in maniera contenuta rispetto al gruppo della crusca.
Trascorsi altri giorni, le larve sono infine arrivate al momento della metamorfosi, cioè la serie di trasformazioni che le porta a diventare coleotteri. La trasformazione è avvenuta nel 93 per cento dei casi nel gruppo delle larve allevate a crusca, nel 10 per cento dei casi tra quelle tenute a digiuno e in quasi il 67 per cento dei casi nel gruppo delle larve che si erano nutrite con il polistirene. Come spiega lo studio, la sostanza si era rivelata sufficiente per raccogliere le energie necessarie per la metamorfosi.
Il gruppo di ricerca ha poi estratto il materiale genetico dall’apparato digerente delle larve, alla ricerca di indizi non tanto sui batteri, ma sugli enzimi che avevano reso possibile la digestione del polistirolo. L’analisi ha permesso di identificarne di diverso tipo, che ora dovranno essere analizzati in laboratorio e messi alla prova sulla loro capacità di scomporre i polimeri di polistirene, rendendo più semplice il suo smaltimento.
Sulla base di questi enzimi in futuro potrebbe essere sviluppato un sistema più efficiente per smaltire il polistirene nella sua forma espansa, o potenzialmente per recuperarne i costituenti per produrne di nuovo attraverso un riciclo vero e proprio.
La storia delle larve mangia polistirolo è stata raccontata anche in una recente puntata del podcast scientifico gratuito del Post “Ci vuole una scienza” con Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti. Potete ascoltarlo, e scoprire gli altri episodi, su Spotify, Apple Podcast, Google Podcasts o sulla app del Post.