C’è un accordo nella maggioranza sull’Ucraina
Dopo lunghe e difficili trattative sulle spedizioni di armi e la crisi nel M5S, il Senato ha votato una risoluzione che accompagnerà Draghi al Consiglio Europeo
Poco prima delle 19 di martedì, il Senato ha approvato una risoluzione sull’Ucraina in vista del Consiglio Europeo, l’istituzione di cui fanno parte i capi di stato e di governo dell’Unione Europea, che si terrà giovedì 23 e venerdì 24 giugno. La votazione a favore è arrivata dopo giorni di difficili e ampi confronti tra i partiti della maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi.
I voti favorevoli sono stati 219, quelli contrari 20 e gli astenuti sono stati 22. Domani dovrà votare sulla medesima risoluzione anche la Camera, ma si prevede un esito analogo a quello del Senato. Alla fine, quindi, la maggioranza è rimasta piuttosto compatta, ma conciliare tutte le posizioni sull’Ucraina nei giorni scorsi non era stato per nulla semplice.
In quattro mesi di guerra infatti si erano sviluppati orientamenti e posizioni assai diverse, e la maggioranza aveva dovuto trattare per arrivare a un testo che trasmettesse un’immagine di unità a livello internazionale, che accontentasse le volontà di alcuni partiti di dissociarsi da certe azioni del governo e di veder riconosciuto un ruolo del parlamento, e che andasse bene al governo e allo stesso tempo non facesse fare una figuraccia a nessun partito.
In particolare le discussioni si erano concentrate sulle forniture di armi, e avevano interessato soprattutto il Movimento 5 Stelle, col risultato che c’erano stati molti ostacoli e lungaggini nelle trattative per una risoluzione che mettesse d’accordo tutti. Nel suo discorso iniziale, Draghi aveva evitato di parlare di armi, con una generica raccomandazione a continuare a coinvolgere il Parlamento nelle decisioni del governo sull’Ucraina.
La discussione di martedì è coincisa con un momento assai agitato nella politica: il Movimento 5 Stelle sembra prossimo a una scissione, una più cospicua rispetto alle precedenti, tra la maggioranza fedele all’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e una minoranza, sembra di alcune decine di parlamentari, che dovrebbe seguire il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. È tutto collegato: Di Maio è diventato espressione dell’ala più governista e moderata del M5S, mentre Conte ha orientato la propria leadership verso un ritorno a un maggiore radicalismo del partito, che tra le altre cose si esprime proprio in un forte scetticismo sulle forniture di armi all’Ucraina.
L’intero M5S in realtà a marzo aveva votato un precedente decreto legge che autorizzava spedizioni di armi fino a dicembre: da allora però aveva insistito sulla necessità di favorire una “de-escalation” del conflitto, sostenendo che si possa fare smettendo di inviare armi. Intorno alla questione si erano sviluppate profonde divisioni dentro al M5S e nella maggioranza, anche perché altri partiti erano scettici: per esempio la Lega, che nel dibattito di martedì aveva chiesto che le armi inviate fossero solo a scopo difensivo.
È intorno a tutti questi problemi che si sono articolate le trattative dei partiti di questi giorni, per arrivare alla votazione di un qualche tipo di testo che non scontentasse troppo nessuno.
A cercare di mediare erano stati vari esponenti politici, in particolare del Partito Democratico e di Liberi e Uguali, alleati del M5S e piuttosto preoccupati della possibile scissione. Si era parlato a questo proposito di una “onorevole via di uscita” per il M5S, una risoluzione insomma che salvasse la faccia sia a Conte sia a Di Maio.
Nel discorso introduttivo, piuttosto breve e generico, Draghi aveva ribadito che l’Italia chiederà al Consiglio di assegnare all’Ucraina lo status di paese candidato a entrare nell’Unione Europea, come annunciato pochi giorni fa durante una visita in Ucraina. Ha aggiunto che «gran parte dei paesi vicini alla Russia, grandi e piccoli, guardano ora all’Unione Europea per la sicurezza, per la pace, per la stabilità. Il percorso da paese candidato a stato membro è lungo per via delle impegnative riforme strutturali richieste. Ma il segnale europeo deve essere chiaro e coraggioso da subito».
Aveva poi detto di nuovo che una eventuale pace dovrà essere negoziata anche dall’Ucraina, perché «solo una pace concordata e non subita può essere duratura». È una risposta indiretta a quanti ritengono che l’Occidente debba negoziare una tregua con la Russia senza tener conto del parere del governo ucraino.