Luigi Di Maio è sempre più lontano dal M5S
Dopo lo scontro politico con Conte degli ultimi giorni, i giornali dicono che sta raccogliendo adesioni per un gruppo autonomo
Martedì pomeriggio è diventata apparentemente concreta un’ipotesi che circolava ormai da giorni nelle cronache politiche, e cioè che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sia vicino a uscire dal Movimento 5 Stelle. Le tensioni tra Di Maio e la dirigenza del partito, in particolare con l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, vanno avanti da tempo e hanno varie ragioni, ma sembrano aver prodotto una spaccatura descritta dai retroscena come definitiva in occasione del dibattito interno alla maggioranza sulla posizione riguardo al conflitto in Ucraina.
Martedì pomeriggio l’Ansa ha scritto che sarebbe in corso alla Camera una raccolta firme di deputati che potrebbero seguirlo in un nuovo gruppo parlamentare, aggiungendo che potrebbe essere annunciato tra martedì sera e mercoledì e che secondo il Foglio si dovrebbe chiamare “Insieme per il futuro”. Sempre Ansa scrive che sarebbero 35 i parlamentari che hanno già aderito, tra Camera e Senato (alla Camera ne servono 20 per formare un gruppo autonomo).
Sono anni che il M5S attraversa crisi e scissioni, e che viene descritto come allo sbando, ma l’attuale scontro era rimasto in una certa misura sotterraneo e confinato ai retroscena politici fino alla scorsa settimana, quando Di Maio aveva criticato duramente Conte, che è il presidente del M5S, per i risultati delle elezioni amministrative, molto negativi per il partito.
Da mesi comunque era noto che la linea politica di Conte, e di gran parte del M5S, sull’invasione russa dell’Ucraina non era condivisa da tutti. Di Maio in sostanza la giudica eccessivamente ambigua riguardo al sostegno alla popolazione e al governo ucraini, e da ministro degli Esteri del governo Draghi, tra i più convinti sostenitori europei del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, era evidentemente poco a suo agio in un partito in cui sono diffusi estesi scetticismi sulla posizione da tenere nei confronti del conflitto, a partire dalle forniture di armi.
Domenica sera si è tenuta una riunione del Consiglio nazionale del M5S, uno dei vari organi dirigenziali del partito composto da vari rappresentanti come i presidenti dei gruppi parlamentari, che ha diffuso un comunicato altrettanto duro su Di Maio, accusandolo di avere portato un «grave discredito sull’intera comunità politica del M5S». Nel frattempo sui giornali sono uscite varie interviste a leader del M5S vicini a Conte estremamente critiche con Di Maio. Il vicepresidente del partito Riccardo Ricciardi lo ha definito un «corpo estraneo», mentre la senatrice Paola Taverna ha detto alla Stampa: «non lo riconosco più, sembra di sentir parlare Renzi, si comporta come un centrista qualunque».
Lunedì è arrivata anche una critica molto netta del presidente della Camera, Roberto Fico, espresso dal M5S e fino a poco tempo fa considerato in ottimi rapporti con Di Maio. «Ci sono frizioni all’interno del Movimento, è vero», ha detto Fico, «però non riesco proprio a comprendere che il ministro Di Maio attacchi su posizioni rispetto alla NATO e all’UE che assolutamente nel Movimento non ci sono». Un portavoce di Di Maio ha risposto a Fico dicendo che «siamo stupiti e stanchi per gli attacchi che diversi esponenti del M5S, titolari anche di importanti cariche istituzionali, hanno rivolto al ministro Di Maio».
La tensione fra Di Maio e Conte e i suoi alleati ha una componente personale – i giornali scrivono che i due non vanno d’accordo da tempo – ma sembra soprattutto di natura politica. In estrema sintesi, Di Maio ha moderato molte delle sue posizioni che aveva quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, nonché di fatto leader dell’ala destra del partito. Fu Di Maio, fra le varie cose, a spingere per formare un governo con la Lega, a proporre un referendum per uscire dall’euro, a definire le ong che soccorrono i migranti in mare «taxi del Mediterraneo», a chiedere la messa in stato d’accusa contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante le trattative per formare il governo nel 2018.
Oggi Di Maio, dopo quattro anni ininterrotti da ministro, dice cose come «rivendico con orgoglio di essere fortemente atlantista ed europeista», difende il presidente del Consiglio Mario Draghi ogni volta che ne ha l’occasione, e ha buonissimi rapporti col Partito Democratico, con diversi piccoli partiti centristi e con l’ala moderata di Forza Italia. Conte invece sta cercando di portare il Movimento in una direzione opposta, più vicina ai temi promossi nei primi anni di vita del partito, con toni diversi rispetto a quelli del fondatore Beppe Grillo ma in linea col populismo degli inizi.
Tutti i principali giornali sostengono che Di Maio stia lavorando per fondare un nuovo partito insieme ad altri leader politici, il più citato dei quali è il sindaco di Milano Beppe Sala, che al momento fa parte dei Verdi. Repubblica scrive che Di Maio sta anche portando avanti delle «interlocuzioni» col sindaco uscente di Parma Federico Pizzarotti, che aveva lasciato il M5S nel 2016, ma anche con amministratori di centrodestra come il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. La Stampa osserva che per Di Maio «l’opzione migliore potrebbe essere quella di entrare in una forza nuova che aggreghi le anime liberali, ecologiste e moderate».
Prima di formare un nuovo gruppo, però, Di Maio dovrebbe uscire o essere espulso dal Movimento 5 Stelle. Per le norme previste dallo statuto del Movimento, una eventuale espulsione passerebbe da una decisione del presidente, cioè Conte, e dal collegio dei tre probiviri, una specie di organo di controllo sulla fedeltà al partito. Anche il garante, cioè Beppe Grillo, ha il potere di chiedere una sanzione al collegio dei probiviri: ma da quello che si legge sui retroscena politici avrebbe provato a fare da intermediario fra Conte e Di Maio per evitare una scissione. Diversi giornali scrivono che nei prossimi giorni ci si aspetta che Grillo vada a Roma per una serie di riunioni politiche.
Non è ancora chiaro cosa succederebbe al suo incarico da ministro degli Esteri in caso di uscita o espulsione del Movimento. Fonti di governo hanno fatto sapere a Repubblica che Draghi non gradirebbe una richiesta del Movimento 5 Stelle di cambiare il ministro degli Esteri con una guerra in corso ai confini dell’Europa.