Il governo israeliano vuole nuove elezioni
Lo ha annunciato il primo ministro Naftali Bennett dopo molti scricchiolii e poco più di un anno di mandato
Il governo israeliano guidato da Naftali Bennett ha annunciato che una parte dei partiti che lo sostengono proporrà al parlamento di sciogliersi e indire nuove elezioni. È uno sviluppo che da settimane i commentatori ritenevano probabile: il governo Bennett, entrato in carica poco più di un anno fa dopo 12 anni di governi guidati da Benjamin Netanyahu, aveva perso molto slancio e da fine maggio non aveva più una maggioranza parlamentare.
I giornali israeliani stanno già parlando di una possibile data per le elezioni, che sarebbero le quinte in poco meno di quattro anni: Haaretz scrive che il governo intende indire nuove elezioni per il 25 ottobre. È verosimile che l’opposizione voti la proposta di sciogliere il parlamento che sarà avanzata da alcuni dei partiti di maggioranza, e che quindi si vada davvero a nuove elezioni.
Il governo di Bennett è sostenuto da una coalizione molto eterogenea che va dall’estrema destra di Yamina, di cui è espressione anche il primo ministro, alla sinistra di Meretz passando per alcuni partiti centristi e per un partito moderato che rappresenta gli arabi-israeliani, Ra’am.
Il suo anno di mandato è stato molto travagliato, fra tensioni continue all’interno del governo e della maggioranza su temi molto diversi: ad aprile, per esempio, il governo aveva perso un seggio cruciale per la maggioranza parlamentare per via di uno scontro politico riguardo al pane lievitato fra la ministra della Salute, di Meretz, e una parlamentare di Yamina, che aveva poi lasciato la maggioranza. L’ultima polemica in ordine di tempo ha riguardato una legge che viene rinnovata ogni cinque anni e che estende un grosso pezzo della legislazione israeliana sulle colonie in Cisgiordania. È una legge considerata ordinaria per gran parte dell’arco parlamentare israeliano: ma non per i partiti che rappresentano gli arabi-israeliani e quelli di sinistra, che la ritengono una misura che legittima l’occupazione israeliana in Cisgiordania, condannata regolarmente da gran parte della comunità internazionale.
Haaretz scrive che durante una riunione con la procuratrice generale Gali Baharav-Miara tenuta venerdì, il primo ministro Bennett ha capito che non avrebbe avuto una maggioranza necessaria a fare approvare la legge, già respinta una prima volta dal parlamento il 6 giugno. Bennett avrebbe quindi preso atto dello stallo politico in cui si trova il governo e deciso di proporre lo scioglimento del parlamento e indire nuove elezioni (in Israele per sciogliere il parlamento è sufficiente un apposito voto a maggioranza semplice del parlamento stesso).
Bennett ha già fatto sapere che nel caso la proposta di sciogliere il parlamento venga accettata, darà le dimissioni da primo ministro e proporrà come suo successore Yair Lapid, attuale ministro degli Esteri e leader del partito centrista Yesh Atid. Nel caso, Lapid resterà in carica per gli affari correnti fino alla nomina del nuovo governo.
Una fonte vicina a Bennett ha detto al Jerusalem Post che il primo ministro ha preferito proporre di sciogliere il parlamento per non essere forzato a farlo per la pressione di Benjamin Netanyahu, che attualmente è il leader dell’opposizione. Proprio Netanyahu, inevitabilmente, sarà uno dei temi principali della prossima, probabile campagna elettorale. Netanyahu è ancora il politico più famoso e divisivo in Israele, ed è tuttora sotto processo per truffa e corruzione. Lo stesso governo Bennett era tenuto insieme più dall’ostilità nei confronti di Netanyahu che da altri elementi. I suoi vari leader «provano un’antipatia per Netanyahu che è solo marginalmente superiore a quella che provano l’uno verso l’altro», aveva fatto notare di recente il New Yorker.
Il governo Bennett è stato effettivamente molto frenato dalla sua litigiosità interna, e in un anno la misura più rilevante è stata l’approvazione della legge di bilancio del 2021, la prima in tre anni, che ha permesso di sbloccare gli investimenti pubblici. Le continue tensioni fra i partiti che lo sostengono ha impedito di avviare riforme più complesse. Al momento non è nemmeno chiaro come si posizioneranno i partiti in vista di nuove, probabili elezioni: se cioè considereranno questo governo come un’esperienza da ripetere, magari con qualche modifica, oppure se imposteranno in maniera diversa e più autonoma la campagna elettorale.
La politica israeliana è da anni molto fluida e frammentata, con partiti e leader che fanno e disfano coalizioni e guadagnano e perdono moltissimi elettori in brevi lassi di tempo. Diversi commentatori ritengono che le tensioni politiche riflettano un periodo molto agitato per la società israeliana dal punto di vista sociale ed economico: la questione palestinese sembra lontanissima da una soluzione, mentre durante i primi mesi della pandemia da coronavirus ci sono state enorme manifestazioni contro le diseguaglianze generate dal sistema economico israeliano, considerato fra i più dinamici al mondo.
La fluidità del quadro politico ha fatto sì, per esempio, che Bennett abbia cambiato partito tre volte negli ultimi quattro anni. E alle prossime elezioni potrebbe addirittura non candidarsi. Anshel Pfeffer, commentatore di Haaretz e corrispondente dell’Economist da Israele, ha scritto che ci si aspetta che Bennett si «prenda una pausa» dalla politica, anche perché Yamina è «imploso» durante l’anno di governo.
Naftali Bennett ends his single year as Israel’s shortest-serving prime minister without a party. Yamina has imploded and the expectation is that he will take a break from politics.
— Anshel Pfeffer אנשיל פפר (@AnshelPfeffer) June 20, 2022
C’è ancora una piccola possibilità che Netanyahu provi a impedire nuove elezioni cercando di formare una maggioranza nell’attuale parlamento, ma al momento non ci sono indicazioni che possa accadere. Netanyahu fra l’altro potrebbe accogliere con favore nuove elezioni: gli ultimi sondaggi stimano che il suo partito, il Likud, sia di gran lunga il più popolare nell’elettorato, e che da solo potrebbe ottenere circa 35 seggi sui 61 necessari per mettere insieme una maggioranza parlamentare.