Sono state distrutte tutte le lapidi del cimitero partigiano di Mostar, in Bosnia
I responsabili non sono ancora stati individuati ma in passato c'erano già stati diversi atti vandalici di neofascisti
Nella notte tra martedì e mercoledì sono state distrutte tutte le circa 700 lapidi del cimitero partigiano di Mostar, in Bosnia ed Erzegovina, uno dei più famosi luoghi della penisola balcanica dedicati al movimento di resistenza che durante la Seconda guerra mondiale combatté contro uno stato fantoccio alleato dei nazisti.
I responsabili non sono ancora stati individuati ma il presidente del Parlamento bosniaco, Denis Zvizdic, lo ha definito un attacco «neofascista». L’associazione dei reduci partigiani di Mostar ha detto che era dai tempi della guerra civile in Jugoslavia, negli anni Novanta, che il cimitero non subiva danni così pesanti. Il sindaco di Mostar si è impegnato a ricostruire le lapidi ma ha ammesso che ci vorrà molto tempo.
L’attacco contro il cimitero di Mostar è soltanto l’ultimo episodio di nuove tensioni etniche e sociali in Bosnia ed Erzegovina, dove tra l’altro ad ottobre sono previste le elezioni presidenziali.
All 650 tombstones in the Partisan Memorial Cemetery in Mostar, Bosnia and Herzegovina, have been destroyed overnight.
— Roko Rumora (@rumorahasit) June 15, 2022
Il cimitero partigiano è uno dei più famosi monumenti antifascisti della penisola balcanica. Era stato costruito nel 1965 dal celebre architetto serbo Bogdan Bogdanović per commemorare i circa 750 abitanti di Mostar coinvolti nella resistenza che furono uccisi durante la Seconda guerra mondiale. Ai tempi una vasta regione che comprendeva anche l’odierna Bosnia ed Erzegovina era governata dagli “ustascia”, un movimento nazionalista croato di estrema destra alleato della Germania nazista e dell’Italia fascista.
Mostar era stata una città molto coinvolta nella resistenza. Balkan Insight ricorda che delle circa 18mila persone che abitavano in città prima della Seconda guerra mondiale, circa 6.000 si unirono alla resistenza contro gli “ustascia”, che nel Dopoguerra vennero poi messi al bando in tutta la Jugoslavia dal regime comunista di Tito.
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Da tempo però le cose sono cambiate, in città. La parte occidentale è di fatto controllata dalla minoranza croata, i cui leader locali cercano da tempo di minimizzare le violenze compiute dagli “ustascia” nella regione. Anche il sindaco di Mostar, il medico Mario Kordić, è di etnia croata e da tempo viene accusato dall’associazione dei reduci partigiani di non prendersi cura a sufficienza del cimitero. Sead Djulic, presidente dell’associazione nazionale dei reduci partigiani della Bosnia ed Erzegovina, ha detto alla tv bosniaca N1 che Kordić «dev’essere ritenuto responsabile» dell’attacco perché «non è la prima volta che accade una cosa del genere, e perché nulla è stato fatto per proteggere questo luogo».
Già nel 2017 alcuni articoli avevano denunciato che il cimitero era semi-abbandonato, e due anni fa sulle mura esterne del cimitero erano apparse scritte che inneggiavano proprio agli “ustascia”.
The Ustashe vandalized the Partisan cemetery in Mostar (again) with graffiti writing “gazi balije” translated to “kill the balije” which is an ethnic slur used for the Bosniak population. Fascism continues to grow in the Balkans, a simple continuation from the 90s. pic.twitter.com/oo8UwRMFmL
— Arnesa Buljušmić-Kustura (@Rrrrnessa) February 15, 2020