I bambini detenuti con le madri
Gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri ne ospitano in tutto 18, e una nuova proposta di legge vorrebbe ridurli ancora
Il 30 maggio la Camera ha approvato una proposta di legge che ha l’obiettivo di evitare che i figli fino a sei anni di donne condannate o in attesa di giudizio finiscano con loro in carcere. La proposta, che ha come primo firmatario il deputato del Partito Democratico Paolo Siani, medico e fratello di Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, prevede il ricorso a case famiglia protette e, solo in casi di «eccezionale rilevanza», a Icam, cioè a Istituti a custodia attenuata per detenute madri. Sono luoghi in cui l’ambiente dovrebbe essere accogliente e assomigliare il meno possibile a un carcere. La proposta, per diventare legge, dovrà ora essere approvata anche dal Senato.
L’approvazione della proposta alla camera è stata commentata da molti come una importante e radicale novità, ma in realtà non è proprio così. Già una legge del 2011 prevedeva per le donne detenute che sono anche madri il ricorso alle case famiglia protette, come misura detentiva da preferire. Secondo quella legge, attualmente in vigore, la realizzazione delle case famiglia protette doveva però avvenire senza oneri per lo Stato: in pratica, la questione veniva affidata agli enti locali. Dal 2011 ne sono state aperte solo due, a Milano e Roma, nel 2016 e 2017.
La proposta di legge ora approvata elimina il vincolo normativo connesso alla realizzazione delle case famiglie protette senza spese per lo Stato, e prevede invece la possibilità – ma non l’obbligo – di finanziarne a livello statale la realizzazione.
La legge del 2011 prevedeva – modificando il codice di procedura penale – esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che potevano comportare la decisione di destinare le detenute madri a un Icam anziché alla casa famiglia protetta. La nuova proposta di legge elimina quel comma dell’articolo del codice, ma ne prevede comunque un altro in cui è scritto che il giudice può «stabilire tale misura nel caso sussistano esigenze cautelari di particolare rilevanza».
«L’ultima parola», spiega Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone che ogni anno pubblica l’osservatorio sulle carceri, «spetta al giudice che, come avveniva prima, può decidere che ci siano esigenze cautelari di particolare rilevanza». Le regole non valgono per le donne eventualmente sottoposte a 41 bis: in quel caso sarebbe il giudice tutelare a stabilire la collocazione del minore.
Secondo i dati riportati dal ministero di Giustizia, al 31 maggio 2022 erano 18 i bambini che vivevano in carcere con le proprie madri. Di questi, nove erano ospitati nell’Icam di Lauro, in provincia di Avellino, unico Icam autonomo e non dipendente da un istituto penitenziario. Due bambini erano invece nel nido della Casa circondariale di Rebibbia, a Roma. Due bambini erano nell’Icam di San Vittore, a Milano, tre a Torino, uno a Genova e uno a Venezia, al carcere della Giudecca. Non ci sono bambini detenuti insieme ai padri.
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Si tratta di un numero esiguo, soprattutto se rapportato al 2019 quando i bambini ospitati in carcere erano oltre 50. «È ovvio però», dice Maretti, «che non bisogna guardare ai numeri ma alle singole storie che quei numeri rappresentano».
Le due case famiglia protette attualmente attive in Italia sono a Roma e a Milano. A Roma si chiama Casa di Leda (in onore di Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma insieme morta nel 2011), si trova all’Eur in una proprietà sottratta alla mafia e può ospitare un massimo di sei detenute madri. A Milano la casa famiglia protetta è nel quartiere Stadera e ospita cinque donne detenute che provengono dall’Icam di San Vittore.
La prima volta che lo Stato italiano realizzò una normativa che si occupasse delle donne in gravidanza e delle madri di figli piccoli fu nel 1975 con la legge numero 354 che regola tutto l’ordinamento penitenziario. Consentiva alle madri di tenere con sé i figli finché non avessero raggiunto i tre anni di età. «Consentiva», sottolinea Maretti, «non è mai stato e non è un obbligo. I bambini possono lasciare gli Icam in qualsiasi momento». Fino al 1975 non esistevano nelle carceri sezioni con la funzione specifica di accogliere donne gestanti o con bambini. Vennero anche introdotte, con un decreto del 1976, figure professionali come pediatri, ginecologi, ostetriche e assistenti d’infanzia.
Nel 1986 la legge 663, la cosiddetta legge Gozzini, introdusse la possibilità della detenzione domiciliare in caso di buona condotta delle madri con pene fino a due anni di reclusione. Nel 1998 una nuova legge, la Simeoni-Saraceni, a cui venne anche dato il nome di «svuota carceri», aumentò per le madri da due a quattro anni il limite di pena che era possibile scontare ai domiciliari, portando a dieci il limite d’età del figlio purché fosse convivente con la madre.
La legge 40 dell’8 marzo 2001 (legge Finocchiaro) introdusse nuove misure e in particolar modo la possibilità della carcerazione domiciliare nell’abitazione della donna detenuta o in strutture di assistenza, estesa questa volta a tutte le detenute, anche quelle condannate per reati gravi. Non fu però risolto il problema delle donne senza fissa dimora, che non potevano quindi usufruire della detenzione domiciliare, e non era possibile l’applicazione della norma per donne con numerosi precedenti penali, a rischio quindi di recidiva. «La misura alternativa fu concessa in pochi casi, perché prevedeva che il magistrato valutasse che non sussistesse “un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti” e “la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli”» spiega Marietti. «Molte donne però erano senza fissa dimora e quindi la misura è stata riconosciuta raramente».
Nel 2011 una nuova legge, la numero 62, introdusse l’innalzamento del limite d’età dei bambini che possono vivere in carcere con le proprie madri da tre a sei anni e la custodia in istituti Icam e in case famiglia protette come alternative possibili alle sezioni Nido delle carceri femminili.
Gli Icam sono dentro o fuori dagli istituti penitenziari e sono arredati e strutturati per assomigliare il meno possibile a un carcere: i muri sono colorati, il personale di sorveglianza lavora solitamente senza uniforme e armi, e ci sono educatori specializzati che aiutano le madri nella cura dei propri figli. Gli Icam però in Italia sono solo cinque: San Vittore a Milano, Giudecca a Venezia, Lauro (in provincia di Avellino), Torino e Cagliari. Al compimento dei sei anni il bambino viene obbligatoriamente allontanato. Se non ci sono parenti fuori dal carcere, viene affidato all’esterno: ai parenti, a una famiglia affidataria o a un istituto, secondo le decisioni del giudice minorile.
La legge aveva poi istituito, come detto, le case famiglia protette che, a differenza degli Icam, sono veri appartamenti in cui la madre può stare con il bambino. Nella legge di bilancio del 2020, grazie un emendamento proposto sempre da Paolo Siani, è stato istituito un fondo di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, destinato a contribuire all’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia protette. Il problema è che finora nessuna regione ha utilizzato il finanziamento. Siani ha spiegato in un articolo pubblicato dall’Espresso che la sua proposta di legge si basa sull’idea di fondo che «non si può condannare a una vita da recluso, in un momento decisivo per la sua crescita, nessun bambino, perché l’ambiente in cui vive nei primi anni influenza anche la sua vita da adulto».