La via australiana alla qualificazione ai Mondiali
Attraverso le tortuose qualificazioni asiatiche, giocate quasi tutte in trasferta, con una selezione di giocatori provenienti da ogni parte del mondo
A giugno si sono giocati gli ultimi spareggi validi per le qualificazioni ai Mondiali di calcio in Qatar. Il Galles si è qualificato battendo l’Ucraina e ha completato il quadro delle nazionali europee. La Costa Rica ha vinto uno dei due spareggi intercontinentali contro la Nuova Zelanda, mentre nell’altro l’Australia ha battuto ai rigori il Perù: giocherà quindi il suo quinto Mondiale consecutivo, dopo averne disputato soltanto uno nelle precedenti diciassette edizioni.
Il percorso dell’Australia nelle qualificazioni asiatiche è stato molto più complicato dei precedenti e probabilmente è stato anche il più tortuoso considerando le 32 partecipanti. A causa delle rigide restrizioni imposte dal governo australiano durante la pandemia, tra il 2019 e il 2021 la squadra ha giocato 16 delle 20 partite di qualificazione all’estero, scegliendo due paesi del Golfo Persico — Kuwait e Qatar — come sedi temporanee delle sue partite per questioni organizzative, trovandosi più o meno a metà strada tra l’Oceania e l’Europa, i due continenti da cui proviene la maggior parte dei suoi giocatori.
Pur essendo geograficamente parte dell’Oceania, nel calcio l’Australia viene considerata parte dell’Asia, dove scelse di giocare nel 2006 per misurarsi in un contesto più competitivo rispetto a quello oceanico, in cui l’unica avversaria all’altezza era la Nuova Zelanda. L’Asia tuttavia è composta da 49 stati, e questo fa sì che le sue qualificazioni ai Mondiali siano lunghe e complesse. La nazionale australiana è tra le più quotate, ma l’andamento in circa venti partite deve essere costante per arrivare tra le migliori quattro di un continente così grande.
Non è stato così, però, e l’Australia è stata soltanto la quinta squadra nella fase decisiva delle qualificazioni, frenata da pareggi contro avversarie ampiamente alla portata come Cina e Oman. Per ottenere l’accesso alla fase finale dei Mondiali è quindi dovuta passare dagli spareggi: il primo contro gli Emirati Arabi Uniti, vinto per un soffio con un gol nei minuti finali, e infine quello decisivo contro il Perù.
Nello spareggio contro la nazionale sudamericana, inizialmente favorita, è stato decisivo Andrew Redmayne, il terzo portiere in squadra, fatto entrare appositamente per i calci di rigore al posto del titolare Mathew Ryan. Redmayne, riconoscibile dalla barba, ha tentato di distrarre e intimorire gli avversari con dei balletti piuttosto ridicoli che fino all’ultimo rigore sembravano aver avuto ben poco effetto. Eppure Redmayne è riuscito a pararne uno, l’ultimo e decisivo, calciato dall’attaccante peruviano Alex Valera, diventando così «l’uomo della qualificazione» per i giornali australiani.
Redmayne fa parte di uno dei due gruppi che costituiscono grossomodo la nazionale australiana, ossia quello dei giocatori nati e cresciuti in Australia che giocano nel campionato nazionale. È anche il gruppo minoritario, perché su 35 giocatori che fanno parte della selezione, oltre la metà ha origini straniere. Fra questi si contano almeno diciassette nazionalità diverse, compresi italiani, maltesi, giapponesi, sud-sudanesi e greci. Uno di questi è l’esterno d’attacco Awer Mabil, sud-sudanese nato in un campo profughi in Kenya e accolto come rifugiato in Australia sedici anni fa. Dopo la vittoria contro il Perù, in cui ha segnato uno dei rigori, ha detto: «Solo così potevo ringraziare l’Australia a nome di tutta la mia famiglia».
La presenza di così tante etnie non è una novità ed è normale per una nazione colonizzata dai britannici soltanto nel Settecento e da allora meta di grandi flussi migratori provenienti ciclicamente da ogni parte del mondo, Italia compresa. I tanti gruppi etnici che costituiscono la popolazione australiana sono ben rappresentati nel calcio, più che negli altri sport nazionali come cricket, rugby e football australiano, e in tanti si auspicano che presto trovino più spazio anche gli australiani aborigeni, la vera popolazione autoctona.
Nella squadra che andrà ai Mondiali, allenata da Graham Arnold, ci saranno Bruno Fornaroli, Nick D’Agostino e Marco Tilio, che condividono origini italiane anche se il primo è uruguaiano naturalizzato australiano e il secondo ha anche origini maltesi, come un altro compagno di squadra, Jamie Maclaren, che è scozzese da parte paterna. Ha nazionalità scozzese anche Kenny Dougall, di origini thailandesi, mentre Ajdin Hrustic avrebbe potuto scegliere di giocare per l’Austria, la Bosnia o la Romania prima di decidere per l’Australia, il paese in cui è nato. È numeroso anche il gruppo di origini balcaniche, che oltre a Hrustic conta il secondo portiere Danny Vukovic, i difensori Miloš Degenek, Aziz Behich e Fran Karačić, terzino del Brescia di origini croate.
Karačić, insieme a Martin Boyle, ventinovenne nato e cresciuto ad Aberdeen, in Scozia, non era mai stato in Australia prima di accettare la prima convocazione in nazionale, appena un anno fa, mentre fra i tanti giocatori di origine britannica nel giro della selezione, Jackson Irvine e Bailey Wright avevano lasciato l’Australia da ragazzini per continuare le loro carriere nel Regno Unito, dove giocano tuttora.
Fra quelli che giocano nei campionati del Regno Unito, uno dei più noti è Tom Rogic, trequartista di origini serbe che negli ultimi otto anni ha giocato con il Celtic Glasgow e che ora è in cerca di una nuova squadra. Rogic non ha avuto un percorso tradizionale nel mondo del calcio: si è formato nella Nike Academy, l’accademia calcistica giovanile gestita da Nike tra il 2009 e il 2017 che dava una seconda opportunità ai giovani rimasti senza contratto, con lo scopo di aiutarli a crescere e trovare loro una squadra professionistica in cui poter giocare.
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