I referendum meno partecipati di sempre
Ha votato alla consultazione sulla giustizia solo il 20,8% degli aventi diritto, il dato più basso della storia repubblicana
Quelli sulla giustizia che si sono tenuti domenica sono stati i referendum meno partecipati della storia repubblicana: ha votato il 20,8 per cento degli aventi diritto, meno della metà del quorum che sarebbe stato necessario perché avessero valore, e tre punti percentuali in meno del precedente referendum con l’affluenza minore di sempre, quello del 2009 sulla legge elettorale.
Il segretario della Lega Matteo Salvini, tra i principali promotori del referendum assieme ai Radicali, ha scritto su Twitter per ringraziare chi ha votato, ma non si è presentato alla conferenza stampa nella sede di partito, tenuta da Roberto Calderoli, che ha genericamente detto che «c’è stato un complotto perché questo quorum non potesse essere raggiunto». Benedetto Della Vedova di +Europa, che sosteneva i “sì” ai referendum, ha attribuito la colpa a «partiti come PD e M5S» che «scommettono sul fallimento dei referendum».
Grazie ai 10 milioni di italiani che hanno scelto di votare per cambiare la Giustizia. È nostro dovere continuare a far sentire la loro voce!
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) June 12, 2022
Alcune delle questioni trattate dai referendum – le modalità di elezione dei membri togati del Csm, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni – sono tra quelle incluse nella riforma della Giustizia della ministra Marta Cartabia, che verrà votata a partire da questa settimana dal Senato.
Il fallimento del referendum è stato particolarmente marcato in Trentino-Alto Adige (13%), in Molise (14%) e in Sardegna (14,5%), mentre l’affluenza più alta si è registrata in Veneto (26,9%).
In tutti e cinque i quesiti hanno vinto i “sì”: quello che chiedeva di abrogare la legge Severino nella parte in cui prevede l’incandidabilità dopo una condanna definitiva col 54%; quello che chiedeva di ridurre i casi per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere col 56%; quello sulla separazione delle carriere dei magistrati col 74%; quello sui membri non togati negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati con il 72%; e infine quello che chiedeva di abolire la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura con il 73%.
Negli ultimi vent’anni, l’affluenza ai referendum abrogativi e l’interesse generale per questo genere di voto sono andati sempre più diminuendo. Anche per questo era ampiamente previsto che non si sarebbe raggiunto il quorum. A partire dal 2000, su sei volte in cui si è votato per un referendum abrogativo, una sola volta è stato raggiunto il quorum: era il 2011 e gli elettori votarono per quattro quesiti, tra cui quello contro la gestione privata dell’acqua (l’affluenza fu di poco superiore al 50 per cento).
L’ultimo referendum abrogativo prima di quelli sulla giustizia era stato il cosiddetto “referendum sulle trivelle” del 2016 (l’affluenza era stata solo del 31,18 per cento). Per fare un confronto, al primo referendum abrogativo nella storia d’Italia, quello del 1974 sul divorzio, l’affluenza fu dell’87,7 per cento.
Avrebbero quasi certamente aumentato l’affluenza due referendum che erano stati proposti nei mesi scorsi e su cui esiste un interesse e un coinvolgimento pubblico assai maggiore, quello sull’eutanasia attiva e quello sulla cannabis. Avevano entrambi raggiunto il numero necessario di firme, anche grazie alla novità delle firme digitali, ma erano stati giudicati inammissibili dalla Corte Costituzionale.