Come arrivano i vecchi film nei cinema
Dentro o fuori dalle rassegne riscuotono spesso un buon successo, ma proiettarli può essere complicato soprattutto per questioni di diritti
di Gabriele Gargantini
Per la maggior parte del tempo, i cinema funzionano grazie ai nuovi film. Fanno accordi con chi i film li distribuisce così da mostrarli per un certo numero di settimane prima (talvolta pochissimo prima) che quei film siano disponibili altrove. Una piccola ma non irrilevante parte della programmazione di certi cinema è occupata però anche da vecchi film: da quelli in bianco e nero degli anni Trenta a quelli di qualche anno fa, magari riproposti in occasione dell’uscita di un loro seguito.
I film di archivio e repertorio ci sono da decenni ed erano parte integrante di cineforum, cineclub e arene estive. Ma si sono rivelati molto utili soprattutto di recente, quando tra un lockdown e l’altro i cinema erano aperti ma i nuovi film da proiettare erano pochi.
Il ritorno a regime delle produzioni cinematografiche non ha però fatto sparire dai cinema i vecchi film. Da mesi, per esempio, è in corso la rassegna “XX Secolo. L’invenzione più bella”, con la quale la Cineteca Nazionale ha riportato e riporterà – talvolta per la prima volta – in due cinema di Roma e Firenze 150 vecchi film italiani e stranieri. Nei prossimi giorni molti vecchi film, divisi in cinque rassegne, arriveranno inoltre in tante sale di UCI Cinemas, che con oltre 400 schermi è il più grande circuito cinematografico d’Italia. Le rassegne comprenderanno i film di Harry Potter, anime giapponesi e horror di qualche anno fa e, tra gli altri, Arancia meccanica, I Goonies, Shining, Vertigo, La Dolce Vita e Apocalypse Now.
Non si tratta per forza di iniziative nazionali o di campagne di qualche tipo: singoli cinema proiettano continuamente vecchi film in occasione di anniversari, all’interno di rassegne, o semplicemente per dare agli spettatori la possibilità di vedere o rivedere su grande schermo qualche film che se lo merita, o per differenziarsi e arrotondare i guadagni dei film di nuova uscita.
Si potrebbe pensare che proiettare vecchi film sia semplice ed economico, ma in realtà può essere complicato e costoso, spesso per questioni di diritti: a volte può essere un’impresa anche solo trovare chi li detiene. La strada più semplice attraverso cui i cosiddetti film di repertorio tornano nei cinema passa per il restauro o l’arrivo di qualche nuova versione di un vecchio film, come nel caso dei film del Cinema Ritrovato, festival bolognese che inizierà il 25 giugno.
Sebbene il festival esista da oltre trent’anni e il restauro dei film non sia per nulla una novità, sembra comunque che negli ultimi anni l’interesse sia aumentato. Alessandro Rossi – regista, produttore e professore di cinema – dice in effetti che «le operazioni di recupero e retrospettiva» degli ultimi anni sono conseguenza della «grande invenzione del cinema restaurato», ma secondo lui anche di una generale «eccitazione per le scadenze, gli anniversari e gli omaggi, che è una cosa di derivazione televisiva».
Nel caso di film restaurati o comunque riproposti da enti come la Cineteca Nazionale o la Cineteca di Bologna (che insieme conservano decine di migliaia di pellicole) l’arrivo al cinema di vecchi film segue percorsi molto simili a quelli delle nuove uscite: dopo il restauro un ente o un distributore li propone ai cinema, che in base a tariffe e trattative simili a quelle di un nuovo film decidono in autonomia se proiettarlo o meno.
Monica Naldi, responsabile del cinema monosala Beltrade a Milano, spiega che nel caso di film restaurati – e talvolta anche per altri film di repertorio – «c’è addirittura una data d’uscita» e tutto funziona «esattamente come con i nuovi film», con una società di distribuzione che, dopo una trattativa, fornisce tutti i materiali necessari a promuovere il film: quindi il film in sé (nel caso di un film in digitale nel formato DCP, acronimo di Digital Cinema Package), il trailer, i manifesti e tutto il resto.
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Non sempre, però, le cose filano via così lisce. In molti altri casi, tutti quelli in cui sono i cinema a decidere di proiettare qualche film di repertorio, la strada è spesso più accidentata. Senza che un distributore proponga loro un film, gli esercenti devono infatti cercarsi da soli chi detiene i cosiddetti diritti theatrical di un vecchio film. Naldi racconta per esempio che di recente il Beltrade – che nel 2021 riaprì dopo il lockdown proiettando Caro diario all’alba del primo giorno disponibile – lo ha dovuto fare per due film di Michelangelo Antonioni, per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e per i film Medea e Teorema di Pier Paolo Pasolini. In quest’ultimo caso, spiega Naldi, i diritti per alcuni film di Pasolini erano stati proposti dalla Cineteca di Bologna ma il Beltrade, che ne voleva aggiungere altri, aveva dovuto «andarseli a cercare».
Questa ricerca comporta spesso «un lavoro certosino», dice Rossi, perché i diritti necessari per proiettare (anche gratuitamente) vecchi film nei cinema passano spesso da una società all’altra, o anche ai privati. Può inoltre capitare che i diritti di certi vecchi film siano spacchettati e che quelli per la distribuzione nei cinema finiscano chissà dove.
Marco Fortunato, presidente di Cinemazero – un’associazione con quattro sale cinematografiche a Pordenone – parla della difficoltà nel reperimento dei diritti dei film di repertorio come di «uno dei grandi temi dello sviluppo del mercato cinematografico». Anche lui racconta che in molti casi «ogni singolo esercente deve andare alla ricerca dell’avente diritto», talvolta una cosa «molto molto complicata».
Se va bene, quei diritti sono detenuti da qualche grande società italiana o internazionale come MPLC o Park Circus. Quella, spiega Fortunato, «è la prima cosa che vai a vedere». Se va meno bene, si deve provare a rintracciare i detentori in genere con l’aiuto di qualche cineteca o in collaborazione con altri cinema. Il problema, prosegue Fortunato, «deriva dal fatto che molti interlocutori non sono sempre strutturati, e più passano gli anni più è probabile che le società siano fallite, si siano divise, o che siano subentrati degli eredi».
Anche ammesso che i detentori dei diritti esistano e si trovino, bisogna poi sempre avviare una trattativa per ottenerli. In genere si concorda il pagamento di una cifra fissa per poter proiettare un film, ma può anche capitare – come succede con i film in prima visione – che gli accordi prevedano una qualche percentuale sugli incassi.
In genere, dice Fortunato, si parla di qualche centinaio di euro di cifra fissa, ma non esiste uno standard (che a dire il vero non c’è nemmeno per le prime visioni) e si fa quindi una «libera contrattazione». Ma può anche capitare, sia nel caso di privati che di società, che gli aventi diritti chiedano cifre difficilmente sostenibili per singoli cinema.
Nel caso di Deserto rosso di Antonioni, dice Naldi, il Beltrade ha speso per il pagamento del diritto «tutto quello ha incassato» grazie alle proiezioni del film. Naldi aggiunge che parte del problema sta proprio nell’assenza di uno standard e nel fatto che interlocutori diversi chiedano condizioni che a loro sembrano praticabili ma che sono modellate su altri tipi di esperienza», per esempio quella dei festival cinematografici che hanno funzionamenti e sovvenzioni di ben altro tipo. «Ogni volta» prosegue Naldi, «si tratta di contrattare e far ragionare il detentore dei diritti su una modalità nuova e cercare condizioni che siano accettabili».
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che trovare i diritti e fare un accordo è solo parte del lavoro. In certi casi, infatti, può succedere che chi ha i diritti poi non abbia una copia fisica del film, digitale o analogica che sia, e che quindi il cinema debba procurarsela da solo magari attraverso una cineteca che, a sua volta, di quel determinato film possiede e conserva la pellicola pur senza controllarne i diritti teatrali.
Nel caso di copie analogiche bisogna gestire la spedizione della pellicola attraverso corriere e pagare una relativa quota di usura. «Proiettiamo sempre sul miglior supporto disponibile» dice Fortunato «ma tante volte l’unica soluzione è il Blu-ray». Oltre al supporto fisico necessario per mostrare il film, nel caso di film di repertorio i cinema devono poi occuparsi, magari collaborando tra loro, dei costi e delle operazioni necessarie per avere un trailer o dei sottotitoli. «Devi arrangiarti sia per i materiali per proiettare il film in sala sia per quelli per comunicazione e promozione», dice Naldi.
Solo una volta fatto tutto questo, i cinema possono calendarizzare e proiettare i vecchi film. A questo punto, la faccenda si fa finalmente più semplice: rispetto alle nuove uscite, i film di archivio devono infatti generalmente rispettare meno regole per quanto riguarda tempi e modi di proiezione. «Le prime visioni prevedono contratti a scalare e vincoli di programmazione», dice Fortunato, che aggiunge: «quando lavori con un film di archivio sei molto libero di poterlo programmare come vuoi».
Sia Fortunato che Naldi lamentano comunque soprattutto l’assenza di un sistema che, magari attraverso un catalogo aggiornato, renda più semplice e veloce trovare i detentori dei diritti. Un archivio di cui, secondo Fortunato, si potrebbe far carico la SIAE. «Questo problema c’è e c’è sempre stato», dice Naldi, «e la pandemia l’ha messo più in evidenza proprio perché mancavano i film di nuova uscita».
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Naldi aggiunge poi che, paradossalmente, i cinema sono secondo lei «la realtà che in assoluto ha più difficoltà a proporre film di repertorio, perché se hai un bar, una nave da crociera o una biblioteca e vuoi far vedere film vecchi c’è una forma di licenza ombrello, diversa da quella per i diritti theatrical, che costa poco e ti permette di far vedere un sacco di titoli».
MPLC – che è acronimo di Motion Picture Licensing Company e controlla i diritti di centinaia di film, dagli anni Venti del Novecento a quelli del Duemila – spiega di rilasciare le autorizzazioni per proiezioni pubbliche, gratuite e a pagamento e ricorda che, dopo aver ottenuto la necessaria licenza, «è possibile acquistare o noleggiare il supporto video presso qualunque rivenditore homevideo o sito web autorizzato». Sul sito c’è anche un tariffario e, al netto di riduzioni o sconti, per una proiezione gratuita davanti a non più di 100 persone il prezzo è di 100 euro. Nel caso di proiezioni a pagamento la tariffa è invece pari al 30 per cento del cosiddetto «incasso nettissimo», cui si aggiunge il «minimo garantito pari alla tariffa prevista per la proiezione gratuita di corrispondente capienza».
Esiste inoltre il cosiddetto prestito culturale da parte della Cineteca Nazionale, che però riguarda solo i film italiani e prevede una serie di regole piuttosto stringenti, compresa l’assenza di «ogni finalità di lucro».
Anche per via di queste difficoltà, esiste quel che Rossi definisce «una zona grigia» e quasi «semi-clandestina» in cui su certi schermi (non del Beltrade e non del Cinemazero) si proiettano vecchi film, magari incassando soldi per le proiezioni, senza rispettare a pieno le regole previste.
Nonostante i non pochi ostacoli, questo sembra comunque essere un buon periodo per il cinema di repertorio. E sembra esserlo in modo abbastanza traversale: dalle multisala dell’UCI in cui guardare I Goonies sgranocchiando popcorn fino a una rassegna come “XX Secolo. L’invenzione più bella”, che è iniziata a dicembre e proseguirà fino al 29 giugno, per un totale di 150 film.
Il suo curatore Cesare Petrillo, produttore e grande conoscitore del cinema classico, spiega che in questi mesi di rassegna è successo che a Roma, la sala del Cinema Quattro Fontane «si è riempita» più volte, tra le altre anche con Il mistero del marito scomparso, un noir di oltre settant’anni fa diretto da Norman Foster, «un protégé di Orson Welles al quale è molto difficile che si dedichi una rassegna», uno che è «tra i registi in genere mai omaggiati».
Petrillo dice che tra i film che hanno avuto più difficoltà ci sono i western (secondo lui perché troppo visti in televisione) e i musical. Aggiunge anche che in termini di spettatori tra i film che sono andati meno bene ci sono I magliari (un film di Alberto Sordi), forse perché «Sordi è stato sfruttato fino al midollo dalla televisione», e, per simili ragioni, anche quelli di Don Siegel e Clint Eastwood.
Tra i film che «hanno funzionato di più» ci sono stati poi Giungla d’asfalto, Il grande caldo, L’ultimo spettacolo e Rapina a mano armata. È però capitato anche che film meno noti facessero tra i 120 e i 140 spettatori a spettacolo, e che andassero quindi meglio di altri ben più famosi. In riferimento al pubblico presente alla rassegna, Petrillo dice che c’erano «molti signori borghesi abituati ad andare al cinema al pomeriggio alle cinque», ma anche «molti giovani cinefili» e non pochi spettatori «occasionali».
Secondo Naldi, spesso è solo una questione di contesto, presentazione, promozione e modalità. Al Beltrade, infatti, è riuscito anche di presentare film muti, «creandoci intorno la giusta cornice»: in breve, un pianista che suonava dal vivo. «Spesso», dice, «i giovani sono sensibili al fatto che venga recuperato un film vecchio di culto e cose che in sala non si vedono da un pezzo».
Nel caso di Cinemazero, ci sono stati giorni in cui due film «non facili» come Il servo (diretto nel 1963 da Joseph Losey e presentato dal Mereghetti come «un saggio sui rapporti di classe con la logica di un thriller») e Vampyr – Il vampiro (un film del 1932 del danese Carl Theodor Dreyer) «sono stati il primo incasso della giornata». Mulholland Drive di David Lynch fu invece secondo solo a È stata la mano di Dio, così come Apocalypse Now rimase soltanto dietro a Joker, proiettato comunque nella più grande delle quattro sale del cinema, da oltre 200 posti.
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