Il settore delle criptovalute si prepara a un nuovo “inverno”
La crisi in corso potrebbe durare a lungo, e alcuni addetti ai lavori sperano possa fare pulizia dei progetti più inconsistenti e speculativi
Il settore delle criptovalute è da tempo abituato a grandi fluttuazioni di valore, con notevoli picchi e altrettanto clamorosi crolli. Ma in mezzo alle oscillazioni ci sono stati periodi di particolare e prolungata flessione, durati diversi mesi: nel gergo del mondo crypto – che contiene le criptovalute ma anche gli NFT e le altre applicazioni della blockchain, la tecnologia su cui si basa tutto quanto – questi periodi vengono chiamati crypto winter, “inverni crypto”.
Finora il settore ha attraversato due “inverni” principali, che ne hanno condizionato lo sviluppo e sono stati seguiti da momenti di crescita. Il primo si verificò tra il 2013 e il 2014, quando Bitcoin arrivò a perdere quasi l’80% del suo valore, a partire dalla messa al bando della criptovaluta da parte della Cina nel dicembre 2013. Anche nel 2018 si registrò una crisi simile, e Bitcoin perse il 45% del suo valore, soprattutto a causa della bolla speculativa legata alle offerte iniziali di moneta (o ICO), un discusso metodo di finanziamento che generò una bolla speculativa.
Secondo sempre più osservatori e operatori del settore, sarebbe in corso un nuovo periodo di crisi di questo tipo, iniziato nei primi mesi del 2022 e destinato a durare ancora a lungo. Nei primi cinque mesi dell’anno, infatti, il settore ha perso nominalmente circa 1.500 miliardi di dollari in valore complessivo, e il prezzo dei bitcoin è sceso del 56% dal picco dello scorso novembre. Nel frattempo, Ethereum, la seconda criptovaluta più diffusa al mondo, ha perso il 63% del suo valore, e un esperimento come TerraUSD, una valuta nota come “stablecoin” e pensata per mantenere un valore fisso legato al dollaro statunitense, è arrivato a perdere quasi il 100% del suo valore, lo scorso mese.
Questo inverno sarebbe, secondo il Washington Post, «lungo, freddo e rigido», in grado di arrecare maggiori danni dei precedenti, a causa delle trasformazioni che l’intero settore ha avuto negli ultimi anni. Fino al 2018, infatti, il mondo crypto poteva essere ridotto alle principali criptovalute (Bitcoin, Ethereum), qualche prodotto minore (come Ripple o Bitcoin Cash) e fenomeni di nicchia e meno credibili come Dogecoin (nata come parodia di una criptovaluta ma finita per avere un proprio seguito). Oggi, invece, le criptovalute rappresentano solo una parte di un business più vasto, anche chiamato Web3, espressione con cui si indica l’insieme di tecnologie inerenti alla blockchain che alcuni vedono come un’evoluzione del world wide web.
Secondo un’analisi della società Morningstar, nel solo 2021 il settore crypto sarebbe raddoppiato di dimensioni, raggiungendo un picco di 2,6 mila miliardi di dollari di valore: si tratta di una valutazione superiore al valore di Apple e Microsoft messe insieme, e infatti è ampiamente messa in discussione da chi ritiene sia una enorme bolla speculativa in attesa di scoppiare. Nonostante le svalutazioni degli ultimi mesi nel settore siano inferiori a quelle registrate in altri momenti storici, «gli effetti della crisi si sentono di più perché il mercato è cresciuto molto», come ha scritto il Washington Post.
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Nei precedenti momenti di crisi del settore, gli NFT non avevano la posizione di rilievo che hanno oggi. I Non-Fungible Token sono dei certificati di autenticità digitale basati sulla blockchain, di cui si cominciò a parlare anche tra il grande pubblico a partire dal febbraio 2021, quando un’opera dell’artista digitale Mike Winkelmann – noto come Beeple – fu venduta in un’asta da Christie’s per l’equivalente di 69 milioni di dollari in ether. Ufficialmente gli NFT esistono dal 2014, ma solo nell’ultimo anno sono stati applicati, con risultati alterni, a diversi campi, tra cui l’arte, la moda e i videogiochi.
Le prime avvisaglie della crisi in corso erano arrivate proprio dagli NFT, che avevano registrato nei primi mesi dell’anno cali sia negli scambi giornalieri che nel numero di wallet (i portafogli digitali usati per conservare e scambiare criptovalute) attivi. C’è chi considera gli NFT l’epicentro di questa crisi, in quanto forma più speculativa e volatile dell’intero settore del Web3, come testimoniato dalle molte notizie su discutibili “opere d’arte” digitali vendute per centinaia di migliaia o addirittura milioni di dollari, e svalutate drasticamente nel giro di poche settimane.
A causa degli eccessi tipici di questo mercato, una parte di investitori sta imparando a convivere con il concetto di “inverno”, incorporando le sue criticità nei progetti di sviluppo di startup e nuovi servizi. Il fondo di investimenti Andreessen Horowitz (a16z), uno dei più influenti della Silicon Valley, ha investito 7,6 miliardi di dollari nel settore, con un investimento di 4,5 miliardi effettuato a fine maggio. Secondo un report (pdf) pubblicato recentemente dall’azienda, infatti, «i vantaggi ottenuti dai builders [i «costruttori», come a16z chiama chi lavora nel Web3] durante i giorni più bui non fanno che generare ottimismo quando le acque si calmano».
Il settore, del resto, non è così uniforme come sembra: i più fedeli investitori di Bitcoin sono critici su qualsiasi altra forma di criptovaluta, soprattutto della blockchain Ethereum, su cui si basa gran parte della speculazione sugli NFT. C’è quindi chi spera che il nuovo periodo di crisi serva a distinguere i progetti più solidi da quelli più fragili. L’imprenditrice Tina He ha spiegato a Vox che «a ogni ciclo, quando c’è un grande crollo, penso che le persone che stanno costruendo qualcosa con calma siano in estasi perché parte del rumore viene spazzato via».
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Uno dei paragoni più utilizzati in questi mesi è quello con la cosiddetta “dot com bubble”, la bolla finanziaria nata attorno alle aziende digitali che operavano agli inizi di Internet. Sviluppatasi verso la fine degli anni Novanta ed esplosa tra il 2000 e il 2001, fu un momento di svolta nella storia del settore perché svelò l’inconsistenza degli esperimenti più strambi e insostenibili. All’epoca, infatti, società come Pets.com, un’azienda che vendeva cibo per animali domestici online, raggiunsero quotazioni sproporzionate sull’onda dell’entusiasmo di investitori e speculatori, per poi collassare due anni dopo. I più ottimisti, però, ricordano che tra le aziende più colpite da questa bolla ci fu anche Amazon, a riprova del fatto che da una bolla catastrofica possono anche nascere imperi commerciali.
Al di là di questo ottimismo da addetti ai lavori, il recente crollo del settore ha avuto effetti disastrosi per molte persone, specie nel Sud del mondo, che hanno visto i loro risparmi scomparire quasi del tutto in pochi giorni. Come raccontato dal sito Rest of World, infatti, il crollo di TerraUSD ha colpito soprattutto persone in paesi come l’Argentina, il Venezuela, l’Iran e la Nigeria, dove le criptovalute e gli «stablecoin» erano stati presentati come alternative migliori della valuta corrente locale.