Ci sono voluti quattro bandi per convincere i comuni a costruire asili nido
Soltanto dopo varie proroghe e l'intervento dell'ANCI sono stati assegnati tutti i 2,4 miliardi di euro messi a disposizione dal PNRR
Il 31 maggio è scaduto l’ultimo bando per assegnare i soldi del PNRR ai comuni con l’obiettivo di costruire nuovi asili nido. Era il quarto bando pubblicato dal ministero dell’Istruzione, perché con le tre scadenze precedenti era stata assegnata soltanto una parte dei 2,4 miliardi di euro a disposizione: nonostante la domanda rilevante di posti da parte delle famiglie e la disponibilità di soldi, i comuni avevano presentato poche adesioni, soprattutto al Sud.
Il primo bando si era concluso il 28 febbraio con risultati poco soddisfacenti: erano state presentate 953 domande e assegnati 1,2 miliardi, la metà dei 2,4 miliardi messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il ministero è stato costretto a prorogare il bando e a fissare una nuova scadenza al 31 marzo sollecitando i comuni a farsi avanti. Con il secondo bando i risultati sono stati migliori, ma il problema della mancata assegnazione dei soldi a disposizione non è stato risolto: sono state presentate 1.676 domande per 2 miliardi di euro.
I 400 milioni rimanenti sono stati assegnati con un decreto ministeriale che ha assegnato i soldi ad alcuni comuni che si erano già candidati per costruire nuovi asili per la fascia tra 0 e 6 anni. Per gli ultimi 70 milioni è servito un ulteriore bando, in sostanza il quarto, dedicato esplicitamente a comuni delle regioni del Sud: a fine maggio sono arrivate altre 74 domande per 80 milioni di euro.
Sono state presentate 22 candidature dalla Sicilia, 10 dalla Campania, 9 rispettivamente da Abruzzo, Basilicata e Molise, 7 dalla Calabria, 4 dalla Sardegna e 4 anche dalla Puglia. «Siamo riusciti a utilizzare per intero le risorse del PNRR per gli asili nido», ha detto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. «Un lavoro di squadra che ci rende orgogliosi, condotto con l’Agenzia per la coesione, le Prefetture, l’ANCI, la struttura ministeriale per il PNRR. Un’azione che ha permesso anche di rinsaldare e ricucire rapporti istituzionali con il territorio, con il costante supporto fornito ai comuni per poter partecipare ai bandi».
L’ultima frase del ministro si riferisce al lavoro svolto dall’associazione dei comuni, l’ANCI, per sollecitare e guidare i comuni nella presentazione delle domande. Già a marzo erano stati organizzati moltissimi incontri e l’Agenzia della coesione aveva creato una squadra di esperti per aiutare i comuni. In molti casi i comuni del Sud non erano riusciti a presentare le domande perché non erano riusciti a fare i progetti per via della mancanza di personale. A causa dei tagli degli ultimi anni, dei pensionamenti e della concorrenza del settore privato, nei comuni mancano ingegneri, architetti, tecnici specializzati e in molti casi addirittura i responsabili dell’ufficio tecnico o dell’ufficio finanziario.
È un problema che riguarda molti altri capitoli del PNRR: per ottenere i fondi necessari a realizzare i progetti, gli enti locali devono partecipare ai bandi pubblicati dai ministeri competenti, devono realizzare gli interventi nel rispetto delle leggi – quindi con tutte le procedure previste per fare un’opera pubblica, pur con una serie di semplificazioni – e devono rispettare gli obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo. Tutti i progetti devono essere conclusi per forza entro il 31 marzo 2026, una scadenza piuttosto ambiziosa.
Tra le altre cose, è stato stabilito che almeno il 40 per cento dei soldi vada assegnato alle regioni del Sud. Ma senza personale è molto complicato anche solo partecipare ai bandi, come dimostra il caso degli asili nido per cui è servita un’opera di convincimento da parte del ministero e dell’ANCI.
La costruzione di nuovi asili nido è considerata una delle opportunità più importanti del PNRR. Ogni anno, infatti, migliaia di famiglie non hanno la certezza di trovare posto all’asilo nido per i propri figli: i posti gestiti dai comuni non bastano ad accogliere tutti i bambini, le graduatorie per l’assegnazione hanno criteri complessi e le alternative private sono costose. Queste incognite rendono difficile l’organizzazione della vita familiare e lavorativa di milioni di persone, e ad essere penalizzate sono soprattutto le donne, che sono spesso costrette a dover scegliere tra lavoro e accudimento dei figli.
Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT, al 31 dicembre 2019 (prima dell’interruzione del normale andamento dell’anno educativo 2019/2020 dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19) erano attivi 13.834 servizi per la prima infanzia, circa 500 in più rispetto all’anno precedente. I posti complessivi erano 361.318.
Il dato più importante riguarda la disponibilità dei posti rispetto al totale dei bambini sotto i tre anni: in Italia è al 26,9%, in leggera crescita rispetto al 25,5% dell’anno educativo 2018/2019. Significa che negli asili nido italiani ci sono 25,5 posti ogni 100 bambini sotto i tre anni.
Questo numero, però, è ben più basso della soglia del 33% fissata dall’Unione Europea per «sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro». Questo obiettivo è stato indicato nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona, con la raccomandazione a tutti gli stati di raggiungere il traguardo entro il 2010. A dieci anni dalla scadenza, l’Italia è ancora lontana dal 33%.
Ci sono molte differenze tra le diverse aree del paese, nelle regioni e anche nelle singole province: sia il Nord-est che il Centro sono oltre gli obiettivi europei (rispettivamente 34,5% e 35,3%); il Nord-ovest è molto vicino alla soglia (31,4%) mentre il Sud (14,5%) e le Isole (15,7%), pur in miglioramento, risultano ancora distanti. Ma la situazione è molto articolata e complessa perché ci sono differenze anche all’interno delle città, per esempio tra l’offerta garantita nei quartieri del centro rispetto a quelli periferici.
Anche il leggero aumento dei posti disponibili che c’è stato in Italia negli ultimi anni è un numero che va interpretato con cura e non è per forza una buona notizia. Secondo lo stesso istituto nazionale di statistica, infatti, il recente miglioramento di questo dato è un effetto del calo delle nascite e non di un reale incremento dell’offerta. Se diminuisce il numero di bambini tra zero e tre anni, insomma, la percentuale di copertura sale anche senza una crescita del numero degli asili nido. Come spiegato da Alessandro Rosina, docente universitario esperto di trasformazioni demografiche, i soldi del PNRR destinati agli asili nido, se sfruttati dai comuni, sono un’occasione per superare gli squilibri demografici e le disuguaglianze sociali che negli ultimi decenni hanno condizionato il livello di occupazione femminile e giovanile.
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