Come funziona il salario minimo
L'accordo europeo non lo impone all'Italia, dove comunque se ne discute da tempo facendo ipotesi sulle possibili conseguenze
L’accordo raggiunto tra il Consiglio dell’Unione Europea, il Parlamento Europeo e la Commissione sulla direttiva – non vincolante – sul salario minimo nei paesi dell’Unione contribuirà a ravvivare un dibattito che nelle ultime settimane in Italia aveva già coinvolto governo, partiti, sindacati e associazioni che rappresentano le imprese sull’opportunità di introdurlo anche in Italia, dove al momento non è previsto.
Il salario minimo consiste in una soglia minima decisa su base oraria o mensile che deve essere garantita ai lavoratori e alle lavoratrici. Non può essere ridotta attraverso un accordo collettivo o privato, quindi consiste in un limite di retribuzione sotto al quale il datore di lavoro non può scendere senza violare la legge.
Finora le discussioni sui possibili effetti del salario minimo in Italia sono state approfondite in modo parziale, anche perché la direttiva europea non impone un salario minimo uguale per tutti i paesi membri, né l’obbligo di introdurlo per legge nei paesi – come l’Italia – dove è molto diffusa la contrattazione collettiva, cioè gli accordi e i vincoli che regolano i contratti nei diversi settori del lavoro. Anche se l’Italia non è direttamente coinvolta dalla direttiva, la diminuzione dei salari registrata negli ultimi anni, il precariato e i problemi di accesso al lavoro di alcune fasce della popolazione come i giovani e le donne hanno portato diversi politici ed economisti a sostenere l’esigenza di cambiare o rafforzare il sistema attuale di tutele contrattuali.
Durante la conferenza stampa seguita all’accordo, il commissario europeo per il Lavoro Nicolas Schmit ha detto che l’Europa non imporrà un salario minimo all’Italia, anche se si è detto molto fiducioso che «il governo italiano e le parti sociali raggiungano un buon accordo per rafforzare la contrattazione collettiva, soprattutto per coloro che non sono ben tutelati». Alla fine, ha detto Schmit, il governo e le parti sociali arriveranno alla conclusione che potrebbe essere importante introdurre il sistema salariale minimo in Italia, anche se è un compito che spetta soltanto a loro.
I contratti collettivi nazionali che vengono concordati e firmati tra i rappresentanti dei lavoratori e i datori di lavoro in Italia sono quasi mille, per la precisione 935, e garantiscono una copertura all’80 per cento dei lavoratori. Ogni contratto, tra le altre cose, stabilisce un minimo salariale. Un’indagine della fondazione Adapt ha stimato che, escludendo chi lavora nell’agricoltura e nel lavoro domestico, i lavoratori coperti dai contratti collettivi sono il 97 per cento del totale: gli esclusi sarebbero tra 700 e 800mila.
Questo sistema però ha diversi problemi: per esempio consente ai datori di lavoro di applicare contratti chiamati “pirata”, negoziati da sindacati poco rappresentativi, con l’obiettivo di pagare di meno lavoratrici e lavoratori, un metodo molto diffuso nella logistica. Secondo gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, un numero così alto di contratti collettivi nazionali causa «un caos che impedisce ai lavoratori di sapere a quale compenso minimo hanno diritto e ai giudici quale è il salario equo da far valere in caso di contenzioso».
La proposta di introdurre un salario minimo riemerge periodicamente nel dibattito politico italiano. L’aveva avanzata Matteo Renzi nel 2018, quando era segretario del Partito Democratico, poi il suo successore Nicola Zingaretti l’anno successivo, e in entrambi i casi non se n’era fatto nulla.
La proposta era stata ripresa lo scorso settembre dal segretario della CGIL Maurizio Landini, che durante un evento organizzato dal suo sindacato a Bologna aveva detto che le conseguenze economiche della pandemia da coronavirus rischiano di provocare una forte diminuzione dei salari, e sostenendo la necessità di trovare dei sistemi di garanzia dei lavoratori. All’evento di Bologna erano intervenuti anche il segretario del PD Enrico Letta e il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte: entrambi si erano detti favorevoli all’opportunità di introdurre un salario minimo, una posizione che è stata ribadita anche nelle ultime settimane.
I sostenitori del salario minimo pensano che sia una misura per garantire una retribuzione dignitosa senza più differenze tra settori o posizioni, con più certezze per i lavoratori e meno disuguaglianze. Ma negli ultimi anni il salario minimo ha spesso trovato numerose resistenze sia da parte degli imprenditori sia da parte dei sindacati. I primi temono che l’aumento del costo del lavoro (cioè l’ammontare complessivo delle spese sostenute da un’azienda per i suoi lavoratori, che comprende salari, imposte e altre spese) metta le loro aziende fuori mercato nei confronti di quelle estere. Secondo uno studio del 2019 citato dal Sole 24 Ore, con un salario minimo di 9 euro lordi l’ora il costo medio del lavoro aumenterebbe del 20 per cento. I sindacati, invece, temono che possa comportare una riduzione del loro coinvolgimento nelle contrattazioni tra lavoratori e aziende, con conseguenze negative per i dipendenti.
Dall’inizio della legislatura in corso sono state presentate sei proposte per introdurre il salario minimo in Italia. Tra tutte, è stato scelto il testo base presentato da Nunzia Catalfo, ex ministra del Lavoro durante il secondo governo Conte: la proposta, ferma in commissione Lavoro al Senato, prevede di fissare una soglia a 9 euro lordi l’ora. PD e Movimento 5 Stelle sono d’accordo sui tempi – dicono che il testo va votato entro luglio – ma non sul contenuto della legge, perché il PD ha presentato alcuni emendamenti che non prevedono la soglia di 9 euro affidando l’individuazione dell’importo minimo ai contratti collettivi dei diversi settori. In sostanza, la proposta del PD consiste nel contrasto ai cosiddetti contratti pirata, ma senza un vero salario minimo.
Uno degli effetti più concreti dell’introduzione della soglia sarebbe un aumento della retribuzione per milioni di lavoratori. Secondo i dati diffusi dal presidente dell’INPS Pasquale Tridico, in Italia sono 4,5 milioni i lavoratori e le lavoratrici che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora. «Una cifra impressionante, che vuol dire salari mensili netti intorno o sotto i mille euro», ha commentato.
Questi lavoratori si concentrano in settori come la logistica, la ristorazione, il turismo, i beni culturali e l’assistenza alle persone. Al di sotto della soglia di 9 euro si trova il 38% dei giovani, il 16% degli over 35 anni, il 21% degli uomini e il 26% delle donne. Uno degli aspetti che vanno chiariti in merito alla proposta, però, è quali siano le quote comprese nei 9 euro all’ora: se in questa soglia rientrassero anche la tredicesima e il TFR, il trattamento di fine rapporto, il rischio sarebbe addirittura un abbassamento delle condizioni attuali.
Nelle ultime settimane anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha sostenuto che in Italia sia opportuno prevedere un salario minimo. Orlando ha detto di aver sottoposto alle parti sociali «un’ipotesi che consentirebbe, come tappa intermedia verso una definizione complessiva di una normativa in materia, di utilizzare il trattamento economico complessivo o comunque il trattamento economico contenuto all’interno dei contratti maggiormente rappresentativi come salario minimo». È una proposta in linea con la direttiva europea che incentiva il rafforzamento delle contrattazioni collettive.
Orlando ha detto che si può provare a introdurre il salario minimo entro la fine della legislatura, anche se l’obiettivo sembra essere proibitivo. Molti politici, anche all’interno del governo, sono contrari, così come lo è Confindustria, mentre il segretario della Cisl Luigi Sbarra ha detto che il salario minimo non dovrebbe essere un importo «potenzialmente alternativo all’applicazione dei contratti collettivi», ma un trattamento economico complessivo al di sotto del quale non si può scendere, in ogni settore, preservando tutti i vantaggi contrattuali ulteriori garantiti dalle trattative sindacali. «I contratti devono dettare i minimi dei settori e la contrattazione deve essere sostenuta e rafforzata dalla legge, non minata offrendo pericolose alternative», ha detto Sbarra. Di fatto, la posizione della Cisl è molto simile alla proposta presentata dal ministro Orlando.
In assenza di studi approfonditi sui possibili effetti del salario minimo in Italia, si può osservare l’esperienza di altri paesi europei. Oltre all’Italia, il salario minimo non c’è in altri cinque paesi – Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia – sui 27 dell’Unione Europea. Le differenze tra i diversi paesi che lo prevedono sono notevoli, così come lo è il costo della vita: si passa dai 332 euro mensili previsti in Bulgaria ai 2.257 del Lussemburgo.
In Germania, il salario minimo fu introdotto nel 2015 durante il terzo governo di Angela Merkel. Inizialmente la soglia era stata fissata a 8,5 euro l’ora, passata poi a 9,82 euro e recentemente a 12 euro lordi l’ora, con una misura che partirà il prossimo ottobre. Il governo tedesco ha stimato che siano 6,2 milioni i lavoratori che guadagnano meno di 12 euro all’ora e che in teoria potrebbero beneficiare dell’aumento. La legge prevede inoltre forti controlli e pesanti sanzioni di tipo penale per i datori di lavoro che corrispondano ai propri dipendenti un salario minimo orario inferiore a quello previsto.
La Germania ha introdotto il salario minimo per legge per contrastare l’aumento dei contratti atipici (minijobs), la progressiva diminuzione del tasso di sindacalizzazione e la successiva riduzione della copertura della contrattazione collettiva. Questi fenomeni avevano portato una larga parte della forza lavoro tedesca a ricevere salari inferiori alla soglia di povertà. Nel dibattito che ha coinvolto politica e parti sociali, gli oppositori del salario minimo avevano previsto un aumento del costo del lavoro per le imprese e un calo della competitività che avrebbe potuto portare a molti licenziamenti, cosa che non è avvenuta.
Come spiega un’analisi pubblicata dalla Camera dei deputati italiana sull’applicazione del salario minimo negli altri paesi dell’Unione Europea, in Germania le ripercussioni sul mercato sono state un generale aumento dell’occupazione, il tempestivo allineamento dei minimi contrattuali all’importo legale e la diminuzione del numero dei lavoratori con un contratto atipico.
In Francia, invece, il salario minimo esiste fino dagli anni Settanta attraverso le disposizioni del Code du travail che regolano il cosiddetto Smic, il Salaire minimum interprofessionnel de croissance. La soglia viene calcolata periodicamente con un meccanismo automatico, ma che può essere ritoccato dal governo. Le persone che beneficiano del salario minimo sono tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore privato, ma anche il personale della pubblica amministrazione. Sono esclusi soltanto i lavoratori parasubordinati e gli autonomi. In Francia la copertura sindacale è molto bassa – l’8 per cento dei lavoratori è iscritto a un’associazione sindacale – tuttavia il 90 per cento dei lavoratori riceve copertura sindacale per via dell’estensione dei contratti collettivi a tutta la forza lavoro attraverso un decreto governativo.