Come va l’alleanza fra PD e M5S per le amministrative
I due partiti si presentano insieme nella maggior parte dei capoluoghi in cui si vota, ma in vista delle politiche del 2023 sembra tutto in bilico
Le imminenti elezioni amministrative in programma per domenica 12 giugno sono le prime che si terranno dopo che Partito Democratico e Movimento 5 Stelle hanno formalizzato un’alleanza, ribadita più volte dal presidente del M5S Giuseppe Conte e dal segretario del PD Enrico Letta. I due partiti sosterranno un candidato comune in 18 capoluoghi di provincia su 26 in cui si vota per rinnovare il sindaco, compresi i quattro capoluoghi di regione (Genova, Palermo, l’Aquila e Catanzaro).
Quello in corso però è un periodo piuttosto fluido e di transizione per la politica italiana, in cui quasi tutti i partiti dell’arco parlamentare stanno sostenendo lo stesso governo – una condizione piuttosto peculiare e forse irripetibile – ma al contempo stanno già portando avanti la campagna elettorale in vista delle elezioni politiche che si terranno fra meno di un anno, nella primavera del 2023.
Di conseguenza anche le alleanze politiche sono meno solide rispetto a qualche tempo fa: e un risultato deludente o particolarmente negativo potrebbe cambiare le cose in vista del 2023. Lo ha ammesso lo stesso Letta, quando pochi giorni fa ha spiegato che il voto «sarà un test per verificare se l’idea del campo largo rende le cose migliori per noi», descrivendo l’alleanza col Movimento 5 Stelle col nome con cui la chiama da qualche tempo, e che in teoria tiene dentro anche i principali partiti di centro.
Oltre che nei quattro capoluoghi di regione, PD e M5S si presentano insieme anche ad Alessandria, Asti, Lodi, Padova, Gorizia, La Spezia, Pistoia, Frosinone, Viterbo, Taranto, Messina e Oristano. A Verona il M5S sostiene informalmente il candidato del centrosinistra Damiano Tommasi pur senza aver presentato alcuna lista.
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Verona non è l’unica città capoluogo in cui il Movimento 5 Stelle non ha presentato una lista: secondo un’analisi di Pagella Politica il M5S non ha candidati, neppure camuffati sotto un altro simbolo o un’altra lista, a Belluno, Lucca, Monza e persino a Parma, dove dieci anni fa aveva eletto il suo primo sindaco in un capoluogo, Federico Pizzarotti.
Nelle città non capoluogo va ancora peggio: quasi ovunque il M5S ha deciso di non presentarsi. Il Corriere della Sera ha calcolato che su 978 comuni in cui si vota, il Movimento 5 Stelle si è presentato in appena 64, fra cui 17 capoluoghi: appena il 6,5 per cento del totale. In Sicilia, dove alle politiche del 2018 aveva ottenuto quasi un voto su due, il Movimento sarà presente in quattro comuni (Palermo, Messina, Erice e Scicli) su 120. In Sardegna soltanto a Oristano su un totale di 65 comuni.
Questi numeri si spiegano con la fase molto delicata che sta vivendo il M5S, che dall’inizio della legislatura ha perso quasi un terzo dei parlamentari, è attraversato da fortissime tensioni fra le varie correnti e ha un capo, Giuseppe Conte, che ha scarsissimo controllo sulle sezioni locali e sui gruppi parlamentari del partito. In più sembra da tempo indeciso sulla linea politica da prendere: se vicina e compatibile con quella dei partiti progressisti, oppure più legata al Movimento delle origini, quindi populista e dichiaratamente distante sia dal centrosinistra sia dal centrodestra.
Anche per questo il contributo che a queste amministrative il M5S potrà dare al Partito Democratico e al centrosinistra è particolarmente modesto: nei 18 capoluoghi regionali in cui si presenta formalmente o informalmente col centrosinistra, non ha espresso nessuno dei candidati sindaco o sindaca.
Secondo i sondaggi in tutti i quattro capoluoghi regionali l’alleanza fra centrosinistra e Movimento 5 Stelle parte comunque in svantaggio rispetto al centrodestra: una sconfitta pesante in tutte e quattro le città potrebbe rafforzare chi dentro al PD e ai partiti di centro del cosiddetto campo largo spinge per mollare il Movimento 5 Stelle in vista delle elezioni politiche del 2023.
Molto dipenderà anche dalla legge elettorale con cui si andrà a votare. Quella attuale, il cosiddetto Rosatellum, favorisce la formazione di coalizioni per la presenza dei collegi uninominali, in cui vince un solo candidato, che in linea generale è tanto più forte quanti più sono i partiti che lo sostengono. Se invece nei prossimi mesi venisse cambiata la legge elettorale, tutto sarebbe di nuovo in discussione: sia nel centrodestra, dove i rapporti fra i partiti alleati sono forse al minimo storico, sia fra PD e M5S.