Una canzone di Anne Dudley
Che ne ha fatte di cotte e di crude
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Sempre per passione delle cose Watergate sto vedendo la serie che si chiama Gaslit , con Julia Roberts e Sean Penn (è di quelle che esce un episodio alla settimana): la serie è ben recitata, scritta un po’ confusamente, ma nella settima stancante puntata c’è un bell’uso del preludio di Tristano e Isotta di Wagner e nella sesta invece c’era una versione che ignoravo di quel gran pezzo degli Steely Dan di cui parlammo qui – Dirty work – che fu pubblicata nientemeno che dalle Pointer Sisters, quelle di I’m so excited . L’uso è un po’ un imbroglio perché ai tempi del Watergate era appena uscita quella degli Steely Dan e la cover delle Pointer Sisters invece è del 1978, ma erano tempi divertenti.
Rimanendo su convergenze simili, la resurrezione di Running up that hill di Kate Bush prosegue, e lei – che è un tipo schivo – ha scritto per ringraziare.
Nel nuovo film dei Minions, invece, c’è St.Vincent che fa una cover di Funkytown , una stramba cosa che andò forte nel 1980: loro erano americani, si chiamavano Lipps Inc., e ne imbroccarono una seconda -molto più riuscita, se chiedete a me – con la cover di How long degli Ace.
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Anne Dudley
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Se I’m so excited qui sopra vi ha fatto entrare in un mood di eccitazione serale, bisogna che vi diate una regolata, che oggi è lunedì e toccano dolcezza e malinconia struggente, e il treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va.
Anne Dudley ha 66 anni e vorrei passare un mese con lei a farmi spiegare cose che probabilmente non capirei: fa la compositrice, la pianista, la direttrice, ed è passata da vendere un sacco di dischi con gli Art of noise a suonare con la BBC Orchestra a scrivere colonne sonore e vincerci pure un Oscar (per The full Monty ). Dopo avere studiato da pianista classica, a 25 anni conobbe Trevor Horn , che negli anni Ottanta fu creatore e produttore di alcune delle cose più inventive del pop britannico: il risultato fu che Dudley collaborò a buona parte del primo disco degli ABC, quello di The look of love e poi formò con Horn gli Art of noise, grandi precursori di elettronica e appiccicatori di suoni che ebbero un breve ma notevole successo. Da lì Dudley mise le mani in tantissimo pop britannico e poi iniziò a tornare a cose più classiche (tra l’altro, coincidenze, in questa bella intervista racconta quanto amasse ” the sound of Philadelphia “).
Quattro anni fa mise insieme le due cose con un disco di versioni dei pezzi degli Art of noise per pianoforte e poco altro , dimostrando che non era solo una questione di tecnologia ed elettronica. Il disco è bello (qui su Spotify ) e si conclude con una cosa che non è esattamente degli Art of noise, ma viene dallo stesso ceppo ed è – di quel ceppo – forse quella più famosa, insieme a Relax dei Frankie goes to Hollywood : e la sua storia l’avevo invece raccontata qui.
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