Prima regola del surf: non si parla di dove fare surf
Ma con Instagram è sempre più difficile, e posti pieni di onde a lungo noti a poche persone sono ora affollatissimi
Tra gli aspetti più soddisfacenti per chi ama praticare surf c’è quello di scoprire una spiaggia dove “c’è onda”, cioè dove le condizioni sono adatte, e soprattutto nascosta o sconosciuta ai più. Quando i surfisti nello stesso posto sono tanti, infatti, surfare diventa molto più difficile e pericoloso: i tratti di mare dove le onde sono migliori si affollano, e tutti cercano di alzarsi nello stesso momento, intralciandosi a vicenda. Per questa ragione una delle regole non scritte della disciplina, probabilmente quella più importante, prevede che non si condividano troppe informazioni sui posti più isolati dove si può fare surf, in modo da evitare che diventino troppo conosciuti e sovraffollati, attraendo surfisti occasionali e normali bagnanti.
Come aveva scritto qualche anno fa il magazine australiano dedicato al surf Tracks, mantenere la segretezza dei posti migliori in cui fare surf è una delle cose «più a rischio» nel mondo contemporaneo. C’entra la crescente popolarità dello sport, che ha contribuito a snaturare alcune delle sfumature della cultura che ci stava dietro, ma c’entrano in particolare i social network. Il New York Times ha scritto che diffondere la posizione o i dettagli dei posti dove fare surf, specialmente quelli fuori mano, è un po’ come violare la prima regola del Fight Club, alludendo al celebre romanzo di Chuck Palahniuk – e all’omonimo film diretto da David Fincher – in cui un gruppo di persone si incontra segretamente per picchiarsi, ma anche in un certo senso per redimersi.
Tradizionalmente sia le persone che praticano surf, sia le riviste specializzate e i fotografi che seguono lo sport, mantengono uno stretto riserbo sui punti poco conosciuti dove farlo: l’invito più o meno implicito è non scattare troppe foto, non farle girare troppo ed eventualmente riferirsi ai posti fotografati in maniera vaga, senza specificare la città in cui si trovano e in qualche caso nemmeno la provincia o il paese. La stessa rivista Tracks per esempio aveva raccolto alcune regole utili per evitare di far scoprire il proprio posto segreto: scegliere con cautela le persone con cui se ne parla, imparare a usare la diplomazia per convincere gli spettatori occasionali a non rivelarne l’esistenza e, soprattutto, stare alla larga dai social network.
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Facebook e Instagram sono «il tormento» dei surfisti un po’ dappertutto, scriveva Tracks, osservando che l’idea stessa dei social media era «in diretta contrapposizione con i princìpi di spiritualità e umiltà» diffusi originariamente tra chi faceva surf. Oggi infatti basta un solo post geolocalizzato sui social network per far conoscere virtualmente a decine di migliaia di utenti un posto noto in precedenza a una manciata di persone.
Alcuni posti molto famosi dove fare surf, come Teahupoo, a Tahiti, nella Polinesia francese, o Salina Cruz, nel sud-ovest del Messico, si sono trasformati completamente dopo essere stati scoperti attraverso il passaparola; altri sono diventati così affollati che per i surfisti professionisti non vale nemmeno più la pena andarci.
C’è però un altro problema: chi diffonde foto o informazioni che permettono di riconoscere e far scoprire i punti più nascosti a troppe persone rischia anche di subire minacce, ritorsioni e aggressioni.
È capitato per esempio all’americano Chris Burkard, che su Instagram ha 3,8 milioni di follower e si è fatto conoscere proprio per le sue foto di luoghi remoti, tra cui quelli dove praticare surf. Burkard ha raccontato al New York Times di avere cominciato a interessarsi al surf proprio perché era attirato dal «mistero e dall’anonimità» di molti dei posti in cui si praticava: intanto però la sua auto è stata danneggiata e lui ha ricevuto minacce di morte.
Le comunità di surfisti comunque continuano a cercare di mantenere la segretezza sui posti più nascosti, con varie accortezze. Josh Mulcoy, surfista professionista e fotografo, ha detto al New York Times che se si imbatte in qualche posto particolare e vuole fare in modo che rimanga un segreto non lo dice a nessuno, se non a uno o due amici, e tra di loro c’è il patto implicito di non dirlo ad altre persone. Altri decidono invece di stabilire le proprie regole, per esempio chi può fare surf e quando, mettendole subito in chiaro con chi dovesse scoprire i loro posti segreti.
Grant Ellis, photo editor della rivista specializzata The Surfer’s Journal, dice invece di stare attento a non mostrare porzioni di paesaggio che potrebbero permettere di riconoscere chiaramente il posto dalle foto che sceglie di pubblicare. Racconta anche che cerca di non far capire bene la direzione del vento e delle onde, informazioni che chi si interessa di surf saprebbe interpretare per farsi un’idea di dove sono state scattate.
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