Cosa fu il Partito d’Azione

Venne fondato 80 anni fa e diede un contributo fondamentale alla Resistenza, ma si sciolse dopo poco a causa delle divisioni interne

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Il 4 giugno del 1942, 80 anni fa, venne fondato a Roma il Partito d’Azione, che negli anni successivi fu tra i principali gruppi politici protagonisti della guerra partigiana e della ricostruzione democratica dell’Italia.

Fu fondato clandestinamente, visto che all’epoca al governo c’era ancora il regime fascista e che l’organizzazione di partiti politici era vietata. Alla sua fondazione parteciparono politici e intellettuali con idee e provenienze politiche piuttosto distanti, che decisero di unirsi in un unico partito con l’obiettivo comune di combattere il fascismo e riportare la democrazia nel paese. Moltissimi leader del Partito d’Azione ebbero ruoli determinanti nei primi decenni della vita politica dell’Italia repubblicana.

Il partito ebbe storia piuttosto breve, circa cinque anni, ma anche dopo il suo scioglimento se ne continuò a parlare come un esempio da seguire: ancora oggi viene indicato da vari politici come un modello di partito ideale, che metta insieme esperienze e visioni politiche diverse, unendo forze socialiste con altre di tradizione liberale

Il Partito d’Azione venne fondato nella casa romana del socialista Federico Comandini. Tra i membri fondatori ci furono liberal-democratici come Ugo La Malfa, Piero Calamandrei, Adolfo Tino e Mario Bracci, liberal-socialisti come Guido Calogero, Norberto Bobbio e Tristano Codignola, e progressisti e radicali come Guido Dorso, Tommaso Fiore, Luigi Salvatorelli e Adolfo Omodeo. Vi confluì inoltre gran parte dei componenti di Giustizia e Libertà, movimento antifascista fondato a Parigi nel 1929 dai fratelli Carlo e Nello Rosselli assieme a Emilio Lussu e Alberto Tarchiani. In seguito aderirono anche il socialista Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, che nel 1937 era stato espulso dal Partito Comunista Italiano per le sue critiche allo stalinismo.

Venne stilato un manifesto programmatico di sette punti che prevedeva tra le altre cose la costituzione di una repubblica parlamentare, il decentramento amministrativo, la nazionalizzazione dei grandi gruppi industriali e la creazione di una federazione europea di stati. Il nome Partito d’Azione fu scelto in onore dell’omonimo partito fondato da Giuseppe Mazzini nel 1853 e sciolto nel 1867.

Diversi esponenti di Giustizia e Libertà aderirono al Partito d’Azione dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, quando poterono tornare in Italia dal loro esilio all’estero. Tra questi vi fu Emilio Lussu, di estrazione socialista. La componente di Giustizia e Libertà fu talmente numerosa e importante nel nuovo partito che il simbolo stesso venne ripreso da quello del vecchio movimento (una spada fiammeggiante) e che le brigate partigiane con cui il partito aderì alla Resistenza vennero chiamate “brigate Giustizia e Libertà”. Tra i principali comandanti delle brigate c’era Ferruccio Parri, a cui durante la Resistenza venne affidato il comando militare dell’intero Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), l’insieme di tutti i partiti antifascisti che contribuirono alla liberazione dell’Italia dai nazifascisti.

Già nel corso della Resistenza emersero alcune divisioni e divergenze d’opinione che rischiarono di spaccare il partito. La discussione più importante riguardò l’assetto istituzionale dell’Italia: alcuni membri del partito volevano rimuovere immediatamente la monarchia dei Savoia, mentre altri volevano aspettare la liberazione del paese.

La questione istituzionale ebbe ripercussioni anche sulla eventuale collaborazione del partito a un governo di unità nazionale guidato dal maresciallo Pietro Badoglio. Al congresso di Firenze del 5 settembre 1943, Parri presentò una mozione che subordinava la collaborazione del partito all’abdicazione del re Vittorio Emanuele III in favore dell’omonimo nipote minorenne.

A questa ipotesi si opposero però diversi altri membri del partito, tra cui La Malfa e Lussu, che rifiutavano ogni collaborazione con la monarchia. La discussione venne accantonata però in seguito alla cosiddetta svolta di Salerno, quando il segretario del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti indicò che l’obiettivo primario del CLN doveva essere la liberazione dell’Italia e che la questione istituzionale dovesse essere affrontata solo in seguito. Il Partito d’Azione si convinse e aderì quindi al secondo governo Badoglio, nell’aprile del 1944, insieme a tutti gli altri partiti antifascisti. Invece di abdicare, Vittorio Emanuele III si ritirò a vita privata e suo figlio Umberto venne nominato luogotenente generale del regno, senza diventare re.

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Dopo la liberazione d’Italia, il Partito d’Azione riuscì anche a guidare un governo, ma fu un’esperienza piuttosto breve: nel giugno del 1945 Ferruccio Parri venne nominato presidente del Consiglio, ma dopo appena sei mesi il suo governo cadde per il ritiro dell’appoggio del Partito Liberale.

Le divisioni del 1944 si ripresentarono due anni più tardi, in vista delle elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente. Al congresso del febbraio del 1946 gli esponenti liberal-democratici, in disaccordo con i liberal-socialisti, decisero di lasciare il partito per fondarne uno nuovo, la Concentrazione Democratica Repubblicana. Tra questi ci furono Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Bruno Visentini e Altiero Spinelli. Alle elezioni il Partito d’Azione ottenne solo l’1,45 per cento dei voti, e 7 eletti nell’Assemblea, mentre la Concentrazione Democratica Repubblicana lo 0,42 per cento e due seggi.

La fine del partito arrivò poco dopo: con la scissione dei socialisti italiani del 1947, alcuni membri del Partito d’Azione vollero confluire nel Partito Socialista Italiano, altri nel nuovo Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Dopo varie di trattative con entrambi i partiti, il 20 ottobre del 1947 il comitato centrale del Partito D’Azione, guidato dal segretario Riccardo Lombardi, decise la confluenza nel Partito Socialista Italiano. Il Partito d’Azione si sciolse, ma non tutti i suoi membri seguirono la linea del segretario: alcuni aderirono al Partito Socialista dei Lavoratori, altri al Partito Repubblicano Italiano e altri ancora al Partito Comunista Italiano, mentre Ernesto Rossi nel 1955 fondò il Partito Radicale.

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