Cosa fare dei funzionari nei comuni sciolti per mafia
Quando vengono rimossi sindaci, giunte e consiglieri, i dirigenti comunali rimangono solitamente al loro posto: ma a volte hanno un ruolo nell'infiltrazione
La legge sullo scioglimento per mafia dei consigli comunali ha più di 30 anni: entrò in vigore nel luglio del 1991, e regola in sostanza le procedure per rimuovere i sindaci, le giunte e i consigli nei comuni in cui siano documentati concreti collegamenti con la criminalità organizzata, cioè quando le indagini documentano palesi infiltrazioni mafiose. Ma secondo politici, amministratori e associazioni antimafia sarebbe ora di modificare e aggiornare soprattutto per ciò che riguarda le misure da adottare nei confronti dei funzionari e dei dirigenti che lavorano nei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa.
Chi chiede modifiche alla legge sostiene che mentre si procede allo scioglimento dell’intero consiglio comunale, colpendo sia i politici della giunta che governa sia quelli dei partiti d’opposizione, i funzionari del comune sciolto restano quasi sempre al proprio posto e spesso quei dirigenti o dipendenti che sbrigano le pratiche amministrative sono complici dei politici corrotti oppure erano al corrente delle infiltrazioni ma non hanno denunciato. Il punto, dicono i critici dell’attuale legge, è che difficilmente possono esserci collegamenti evidenti della criminalità organizzata con un ente pubblico senza che chi sbriga, segue e orienta le pratiche amministrative sia coinvolto o perlomeno lo sappia.
La legge (il decreto 164 del 1991 è stato abrogato nel 2000 e adesso il testo è contenuto nel Tuel, Testo unico enti locali) prevede già che in caso ci siano «elementi, univoci e rilevanti, sulle infiltrazioni mafiose o similari con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale», il ministro dell’Interno su proposta del prefetto possa «adottare ogni provvedimento utile (…) ivi inclusi provvedimenti riguardanti i dipendenti suddetti (quali la sospensione dall’impiego o la destinazione ad altro ufficio o ad altra mansione) con obbligo di avvio di procedimento disciplinare». Questo però avviene raramente.
Francesco Emilio Borrelli di Europa Verde, consigliere regionale della Campania, è tra i promotori nella sua regione delle modifiche alla legge: «Il vero potere spesso risiede proprio in chi amministra la burocrazia», dice. «Ci sono casi in Campania di comuni sciolti due o più volte e in cui alcuni funzionari pubblici sono rimasti al loro posto. Non solo, abbiamo riscontrato casi in cui un comune è stato sciolto più volte e con amministrazioni politiche di segno opposto. Questo significa che era l’intera macchina amministrativa a essere infiltrata dalla criminalità organizzata».
Secondo Borrelli non basta colpire duramente la classe politica coinvolta, ma è necessario intervenire con decisione sui funzionari: «la verità è che ai clan fa molto più comodo avere all’interno di un comune dipendenti inamovibili piuttosto che sindaci, assessori e consiglieri che possono essere mandati a casa».
Marano, in provincia di Napoli, è il comune italiano con il record di scioglimenti: quattro, nel 1991, nel 2004 (poi annullato), nel 2016 e nel 2021. Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa e Grazzanise in provincia di Caserta sono stati sciolti tre volte, così come Arzano e San Gennaro Vesuviano nel napoletano. In Calabria hanno tre scioglimenti Taurianova, Rosarno, Roccaforte del Greco, San Ferdinando, Platì, Melito di Porto Salvo, Gioia Tauro e Africo in provincia di Reggio Calabria, Briatico e Nicotera in provincia di Vibo Valentia, e ancora Lamezia Terme in provincia di Catanzaro. In Sicilia è stato sciolto tre volte Misilmeri in provincia di Palermo. In totale i comuni che hanno più di uno scioglimento sono 79.
«Quello che noi proponiamo» dice ancora Borrelli, «è l’immediata sospensione di quei dipendenti che sono coinvolti nel decreto di scioglimento. Purtroppo in passato ci siamo trovati di fronte all’impossibilità, anche per l’opposizione dei sindacati, di allontanare dipendenti i cui nomi erano contenuti nelle relazioni seguite alle indagini dei prefetti». La proposta di modifica alla legge sullo scioglimento dei comuni prevede anche che venga adottata una rotazione straordinaria di tutto il personale con destinazione ad altri uffici, ad altre mansioni o con trasferimenti anche temporanei in altri settori della pubblica amministrazione.
Questo servirebbe, secondo i promotori della modifica alla legge, a “bonificare” la macchina burocratica infiltrata dalla criminalità, ma anche come deterrente: «Il funzionario del comune che tende a tacere e a far finta di niente se vede irregolarità o reati probabilmente invece denuncerebbe se si trovasse di fronte alla prospettiva di essere mandato in un altro comune, magari non troppo vicino a casa, a lavorare», dice Borrelli. Per poter adottare il sistema della rotazione, la commissione prefettizia incaricata di insediarsi nel comune sciolto dovrebbe poter sostituire il personale utilizzando le liste di mobilità o le graduatorie.
Negli oltre trent’anni di applicazione della legge sono stati 276 gli enti commissariati: i provvedimenti hanno interessato 5 milioni di cittadini. Condizione perché si arrivi allo scioglimento è che, appunto, ci siano «elementi concreti, univoci e rilevanti» su collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali «oppure su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali», incidendo sui servizi oppure in grado di originare un «grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica».
Per arrivare allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi reati, ma basta che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Gli indizi raccolti devono essere ovviamente documentati, concordanti tra loro e indicativi dell’influenza dei clan sull’amministrazione. Quando c’è il sospetto di infiltrazione di tipo mafioso le indagini sono affidate a una commissione nominata dal prefetto competente per territorio. Quindi il dossier viene inviato al ministro dell’Interno, che propone lo scioglimento al presidente della Repubblica che ne decide l’attuazione con un decreto. Il prefetto nomina poi una commissione straordinaria composta da tre persone: due solitamente vengono dalla carriera interna alle prefetture e uno è un dirigente amministrativo. La commissione può gestire il comune per un periodo iniziale di 12 o 18 mesi, prorogabile fino a 24.
Durante un incontro promosso dall’associazione Avviso Pubblico, il docente di Sociologia dell’Università di Torino Vittorio Mete ha spiegato come un altro problema della legge è che «ha una natura preventiva molto bassa, perché alla lunga gli scioglimenti godono di un deficit di popolarità e di consenso». Insomma, rischiano di diventare strumenti impopolari visti come sostituti delle regolari elezioni.
C’è poi la questione dell’opposizione, che decade assieme alla maggioranza con lo scioglimento del consiglio comunale, anche se non è coinvolta nelle inchieste. Enzo Ciconte, ex parlamentare e docente di Storia della criminalità organizzata, spiega che «con lo scioglimento la responsabilità giudiziaria e politica cade su tutti gli amministratori in carica, a prescindere dal ruolo che hanno avuto nelle cause che hanno portato alla misura». Il risultato è che lo stigma dello scioglimento per mafia «pesa anche sui consiglieri di minoranza e addirittura in opposizione al sindaco responsabile».
Ad aprile è stato presentato il rapporto della Commissione antimafia che ha criticato estesamente la gestione delle commissioni straordinarie nei comuni sciolti per infiltrazioni della criminalità: «Dall’analisi compiuta», è scritto nella relazione, «è emerso che le gestioni commissariali non prestano la dovuta attenzione o, comunque, non riescono ad affrontare in maniera adeguata gli aspetti della trasparenza e della prevenzione della corruzione, che appaiono invece essenziali per consentire un graduale ritorno verso la legalità dei Comuni».
Dice ancora Ciconte: «I commissari straordinari che vengono inviati a gestire il comune colpito da scioglimento spesso sono inadeguati. Si fermano 18 o 24 mesi, per operare una sorta di risanamento tagliano tutto il tagliabile, indiscriminatamente, e poi se ne vanno senza che il problema all’origine dell’infiltrazione mafiosa sia stato risolto».
Tra le proposte formulate da Avviso Pubblico c’è anche quella rendere maggiormente trasparente tutto il percorso che porta fino al decreto di scioglimento: si dovrebbero pubblicare integralmente i documenti che hanno portato alla decisione. Andrebbe poi dato risalto alle misure di risanamento adottate dalla commissione straordinaria, in modo da tenere aggiornati i cittadini di quel comune sui vari passaggi di ripristino della legalità. Infine servirebbe, ed è una proposta che viene da più parti, un albo del personale, composto da funzionari pubblici di provata competenza amministrativa, e dedicato in via esclusiva alle Commissioni straordinarie. In pratica un albo di dirigenti pubblici molto capaci a cui affidare, come commissari, la gestione dei comuni commissariati.