Nelle città ucraine occupate la “russificazione” va avanti con la violenza
In città come Kherson, dove le forze russe sono presenti da mesi, ci sono testimonianze di abusi e assimilazione culturale forzata
Ormai da oltre tre mesi diverse parti dell’Ucraina sono occupate e governate dall’esercito russo, che pur avendo dovuto abbandonare il piano di una rapida e completa conquista del paese è comunque riuscito ad assicurarsi il controllo di alcune aree nel sud e nell’est. Non è facile sapere cosa stia succedendo nelle città occupate dai russi: il grosso delle notizie arriva soprattutto da Kherson, nel sud, che è l’unico grande centro cittadino ucraino dove la presenza russa è ormai stabile da mesi.
La vita quotidiana sembra essere fatta soprattutto di violenze, intimidazioni e tentativi di assimilazione forzata della cultura ucraina.
Kherson, che prima della guerra aveva quasi 300 mila abitanti, è un capoluogo piuttosto grosso. Si trova a metà tra Odessa e la penisola di Crimea, nel sud dell’Ucraina, e i russi ne avevano preso il controllo all’inizio dell’invasione, dopo lunghi combattimenti: fino alla conquista di Mariupol poche settimane fa, Kherson era stato l’unico grande centro occupato dai russi. Fin dai primi giorni di occupazione, a Kherson c’erano state diverse proteste, che avevano reso chiaro come, pur essendo quasi la metà degli abitanti russofona e di etnia russa, la popolazione fosse in gran parte contraria all’invasione.
Sapere cosa succede nelle zone occupate dai russi è molto difficile: i civili hanno paura di parlare, e chi fugge spesso cancella foto e video dai propri telefoni per paura di essere fermato nei posti di blocco dei soldati russi. Sono arrivate, però, alcune testimonianze che permettono di farsi un’idea.
Anzitutto ci sono state esperienze di violenze piuttosto brutali compiute dai soldati russi contro i civili ucraini. BBC ha raccontato per esempio di Olexander Guz, abitante di un piccolo centro abitato vicino a Kherson. Guz ha raccontato che lui e sua moglie sono sempre stati espliciti nelle loro posizioni anti-russe, e che nei giorni in cui i russi entravano in città avevano partecipato alle proteste. Guz ha raccontato, mostrando a BBC prove fotografiche, che i russi erano andati a cercarlo poco dopo, lo avevano catturato e gli avevano inflitto varie violenze nel corso di brutali interrogatori.
Anche Oleh Baturin, un giornalista locale di Kherson, ha raccontato di essere stato picchiato brutalmente dai soldati russi, durante una prigionia durata otto giorni: ha detto che i russi lo hanno incappucciato, gli hanno legato le mani dietro la schiena e lo hanno picchiato col calcio di una mitragliatrice rompendogli quattro costole.
Un medico di Kherson che ha preferito rimanere anonimo ha raccontato invece di aver visitato civili con segni di evidenti mutilazioni, ematomi, lividi, tagli e altri segni di torture, come ustioni, segni di scariche elettriche e di strangolamento. Dalle zone che erano state occupate dai russi sono arrivate anche varie testimonianze di stupri, a dimostrazione di quanto, come in altre guerre, la violenza sessuale venga usata come strumento per colpire la popolazione civile, umiliandola.
Sono arrivate anche testimonianze di civili ucraini scomparsi, da Kherson ma soprattutto dalle aree che erano state occupate dai russi nei dintorni di Kiev, in cui diversi civili erano spariti da un giorno all’altro, spesso portati via da soldati russi, forse come atto di rappresaglia o come strumento per futuri scambi di prigionieri.
Altre persone che hanno lasciato Kherson hanno raccontato anche di quotidiane intimidazioni e minacce contro la popolazione locale. Secondo Belkis Wille dell’organizzazione Human Rights Watch, nelle zone occupate dai russi sono frequenti le detenzioni arbitrarie di chi si oppone all’occupazione.
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Oltre alle violenze, arrivano anche notizie dei tentativi, da parte del governo russo, di «russificare» a forza le zone ucraine sotto occupazione.
Un segnale piuttosto evidente è la cosiddetta “passaportizzazione”, il rilascio cioè di documenti russi ai cittadini ucraini. È una pratica che la Russia aveva già ampiamente avviato soprattutto a partire dal 2019 nel Donbass, con l’obiettivo di far risultare come russi gli ucraini che vivevano nelle aree filorusse del paese, e sostenere poi di doverli difendere da un “genocidio” ai loro danni: genocidio mai realmente avvenuto, ovviamente, ma usato da Putin come pretesto per giustificare future incursioni nel territorio ucraino.
La settimana scorsa Putin ha ulteriormente facilitato le procedure con cui si possono rilasciare passaporti russi ai cittadini ucraini: secondo Matti Maasikas, a capo della delegazione dell’Unione Europea in Ucraina, il governo russo sta ripiegando su questa pratica dopo aver dovuto abbandonare, almeno temporaneamente, l’idea di organizzare a Kherson un finto referendum come quello che si svolse in Crimea nel 2014. L’ipotesi di un’annessione di Kherson, simile a quella della Crimea 8 anni fa, è stata fatta in più occasioni: almeno per ora, comunque, non sembrano esserci sufficienti indizi per considerarla una possibilità imminente.
Oltre al rilascio di documenti russi ai cittadini ucraini, il governo russo ha anche iniziato a sostituire la moneta ucraina, la grivnia, con il rublo: anche in questo caso le notizie arrivano soprattutto da Kherson, dove, ha detto l’agenzia di stampa russa RIA Novosti, a partire da giugno gli stipendi dei dipendenti pubblici saranno pagati in rubli, e dove pare che alcuni esercizi commerciali, tra cui benzinai e farmacie, abbiano già iniziato ad accettare pagamenti nella valuta russa.
Radio Free Europe ha raccontato che sono anche state attuate misure per sostituire i prefissi telefonici delle sim ucraine in vendita col prefisso +7, quello russo, e per rendere più convenienti le chiamate internazionali verso la Russia rispetto a quelle all’interno dell’Ucraina. A Kherson, il governo russo occupante ha anche annunciato che alcuni social media potrebbero venire bloccati, come accade in Russia, con l’obiettivo di controllare più facilmente la circolazione di informazioni e il loro allineamento con la propaganda del presidente russo Vladimir Putin.
I tentativi di assimilazione forzata alla cultura russa sono avvenuti anche nelle scuole: CNN ha raccontato di casi di intimidazione e minacce nelle scuole ucraine, in cui i soldati russi hanno fatto pressioni su insegnanti e dirigenti scolastici affinché adattassero i contenuti dei programmi scolastici alla propaganda russa, consegnassero tutti i libri di lingua e storia ucraina, o smettessero di parlare ucraino per parlare invece il russo. In un’area che era stata occupata dai russi nel nord del paese, una dirigente scolastica era stata anche rapita, interrogata e minacciata dai soldati russi: successivamente era riuscita a fuggire.
Serhii Khlan, consigliere regionale del distretto di Kherson, ha detto a CNN che i russi hanno annunciato la sostituzione di molti insegnanti locali con insegnanti provenienti dalla Crimea, che contrariamente a quelli ucraini sono disponibili a lavorare su programmi scolastici russi. Un giornalista di Kakhovka, sempre nel distretto di Kherson, ha detto che in una scuola locale il preside era stato rapito e sostituito.
Tra gli sforzi per compiere una «russificazione» forzata delle zone occupate, ha raccontato Radio Free Europe, c’è anche l’esposizione di grossi schermi allestiti su furgoni parcheggiati nelle strade di varie aree ucraine occupate dai russi, su cui vengono proiettati canali televisivi e notiziari russi: sempre con l’obiettivo di diffondere, nel modo più capillare possibile, la versione russa dei fatti sull’occupazione di parte dell’Ucraina.
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