La crisi dei fertilizzanti
Facciamo affidamento su di loro per sfamare il mondo, ma sono sempre più costosi e meno disponibili
Il prezzo in aumento dei fertilizzanti e la loro minore disponibilità, in parte a causa della guerra in Ucraina, potrebbero peggiorare ulteriormente la crisi alimentare dovuta soprattutto alle minori forniture di grano e altri cereali. Il costo dei fertilizzanti era già aumentato sensibilmente lo scorso anno, anche a causa della pandemia da coronavirus, ma la crisi energetica e l’invasione russa dell’Ucraina hanno creato le condizioni per un ulteriore peggioramento della situazione.
Negli ultimi 60 anni i fertilizzanti hanno avuto un ruolo fondamentale nella cosiddetta “rivoluzione verde”, che ha permesso di aumentare sensibilmente la resa dei campi consentendo di sfamare molte più persone in tutto il mondo. Come ha segnalato l’Economist in una recente analisi, nel 1960 i campi coltivati senza fertilizzanti sfamavano circa l’87 per cento della popolazione mondiale. Nel 2015 la percentuale si è ridotta al 52 per cento, proprio grazie alla maggiore diffusione dei fertilizzanti, ai miglioramenti nelle loro formulazioni e a un impiego più responsabile da parte degli agricoltori.
I fertilizzanti più utilizzati sono quelli a base di azoto, la potassa (carbonato di potassio) e i fosfati. Quelli a base di azoto sono piuttosto impegnativi da produrre dal punto di vista energetico, perché sono prodotti impiegando il gas naturale. Proprio per questo motivo la loro produzione è stata limitata in Europa a partire dalla fine della scorsa estate, quando il gas è iniziato a scarseggiare e il suo prezzo ad aumentare.
Nel complesso, il prezzo dei fertilizzanti era iniziato ad aumentare sensibilmente già nel 2021, a causa dei maggiori costi dell’energia e dei sistemi di trasporto delle merci, dovuti soprattutto alla pandemia da coronavirus. Le cose erano ulteriormente peggiorate alla fine del 2021 quando erano state imposte sanzioni economiche nei confronti della Bielorussia, per aver facilitato l’arrivo di migranti al confine con la Polonia. La Bielorussia da sola produce poco meno del 20 per cento di tutta la potassa impiegata in campo agricolo, di conseguenza le sanzioni avevano reso più difficile la compravendita dei fertilizzanti in diversi paesi europei e non solo.
A inizio anno, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia aveva poi peggiorato ulteriormente le cose, perché negli impianti chimici russi si produce una quota rilevante dei fertilizzanti impiegati in giro per il mondo. Nel 2021, 25 paesi avevano per esempio ottenuto in media più del 30 per cento dei fertilizzanti dalla Russia. Alcuni paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, storicamente molto dipendenti dai fertilizzanti russi, li utilizzavano per oltre il 50 per cento delle loro attività agricole.
Alcuni paesi si stanno organizzando per approfittare della crisi dei fertilizzanti per ampliare la loro presenza nel settore. Qatar e Nigeria, dove il gas naturale non manca, hanno annunciato l’apertura di nuovi impianti per la produzione di fertilizzanti a base di azoto, mentre il Canada ha in programma un aumento della produzione di potassa. Realizzare nuovi impianti o potenziare quelli esistenti richiederà comunque tempo, di conseguenza gli analisti non si attendono particolari cambiamenti della situazione nel breve periodo.
Gli agricoltori potrebbero quindi trovarsi nella condizione di utilizzare meno fertilizzanti, riducendo la resa dei loro campi e la qualità dei raccolti. Questa circostanza potrebbe peggiorare la crisi alimentare, specialmente per quanto riguarda grano e altri cerali. A causa della guerra, la produzione in Ucraina è fortemente rallentata e il blocco navale da parte della Russia di buona parte del Mar Nero impedisce di esportare il grano già raccolto. Le sanzioni economiche contro la Russia hanno rallentato l’acquisto del grano russo, specie in Occidente.
L’Ucraina e la Russia messe insieme forniscono circa il 28 per cento del grano commerciato in tutto il mondo, il 29 per cento dell’orzo (impiegato soprattutto negli allevamenti), il 15 per cento di mais e il 75 per cento di olio di semi di girasole, tutte coltivazioni che richiedono l’impiego di fertilizzanti per compensare il forte impatto che hanno sul terreno, in termini di consumo di minerali e altre risorse.
Messi davanti alla prospettiva di raccolti più poveri a causa della minore disponibilità di fertilizzanti, molti agricoltori stanno valutando di passare a coltivazioni che rendono necessario un minore impiego di fertilizzanti, come la soia. L’abbandono della coltivazione di grano e mais potrebbe acuire ulteriormente la crisi alimentare, facendo aumentare il prezzo di queste materie prime via via meno disponibili.
Negli Stati Uniti i produttori pianteranno circa 370mila chilometri quadrati di soia quest’anno, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2021. Le piantagioni di mais si ridurranno invece del 4 per cento, mentre per ora non ci sono previsioni su particolari cambiamenti per il grano.
Le alternative per ridurre il consumo di fertilizzanti esistono e negli ultimi anni ne sono state esplorate di vario tipo. Una consiste nell’effettuare analisi molto più accurate del terreno, in modo da rilevare la carenza di specifiche sostanze da compensare, facendo quindi un uso molto più mirato dei fertilizzanti. Altri approcci prevedono di effettuare una maggiore rotazione dei raccolti, in modo da non impoverire velocemente il suolo, ma questa tecnica comporta tempi lunghi e soprattutto non garantisce sempre ritorni economici adeguati per i coltivatori, specialmente nei confronti dei concorrenti che invece impiegano i fertilizzanti.