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  • Giovedì 2 giugno 2022

Ricostruire l’Ucraina con i beni sequestrati alla Russia

È ciò che vorrebbero fare alcuni paesi occidentali, ma se ne discute molto perché non è chiaro se ci siano le basi legali per farlo

Edifici distrutti dai bombardamenti russi a Irpin, alla periferia di Kiev (AP Photo/Emilio Morenatti)
Edifici distrutti dai bombardamenti russi a Irpin, alla periferia di Kiev (AP Photo/Emilio Morenatti)
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Dopo aver bombardato e distrutto numerose città in Ucraina, nell’ultimo mese la Russia ha in parte cambiato strategia, rinunciando alla conquista dell’intero paese per concentrarsi al momento sulla regione orientale del Donbass. Oltre a migliaia di morti, con il suo ritiro dall’ovest e dal nord, l’esercito russo ha lasciato città completamente distrutte, e ora le autorità ucraine e dei paesi occidentali iniziano a discutere su come fare per ricostruirle. Tra i paesi occidentali si sta valutando la possibilità di utilizzare i beni sequestrati alla Russia per finanziare la ricostruzione, ma al momento è soltanto un’ipotesi: non è chiaro se sia davvero realizzabile e ci sono dubbi sulle basi legali per farlo.

Nei giorni scorsi diversi leader di paesi e istituzioni occidentali si sono comunque espressi piuttosto esplicitamente a favore del finanziamento della ricostruzione, alludendo quindi alla possibilità che i modi per attuarla esistano. L’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha definito «logica» l’idea di usare i beni economici sequestrati alla Russia dopo l’inizio della guerra per ricostruire l’Ucraina, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha detto che «i nostri legali stanno lavorando intensamente» per trovare un modo per usare quelle risorse senza violare la legge.

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Richieste simili sono arrivate anche da altri leader europei, ma le cose sembrano stare diversamente per quanto riguarda gli Stati Uniti: nei giorni scorsi la segretaria del Tesoro statunitense, Janet Yellen, ha detto che per quanto sia ovvio che la Russia debba pagare i danni che ha compiuto in Ucraina non sarebbe possibile per gli Stati Uniti utilizzare i beni russi che sono stati sequestrati. È una posizione che però non tutti nell’amministrazione del presidente Joe Biden condividono e, come hanno raccontato al New York Times fonti interne al governo, alcuni starebbero facendo pressioni su Biden per seguire la linea europea.

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Sul Financial Times la giornalista Gillian Tett ha fatto alcune ipotesi di come si potrebbero aggirare i problemi legali che un utilizzo dei beni russi comporterebbe. Secondo Tett una possibilità è che il governo ucraino faccia causa negli Stati Uniti alla Russia per i danni subiti in guerra, e che chieda come risarcimento di fruire dei beni russi sequestrati.

Un’altra possibilità è che il governo statunitense chieda espressamente al Congresso di approvare una legge che consenta di utilizzare i beni sequestrati alla Russia, oppure che il presidente Biden faccia ricorso all’International Emergency Economic Powers Act, legge statunitense del 1977 che lo autorizza a limitare le relazioni commerciali con alcuni paesi in caso di attacchi o minacce alla sicurezza nazionale. È la legge che aveva permesso in passato agli Stati Uniti di sequestrare e utilizzare i beni di Venezuela e Afghanistan, che erano depositati nelle banche statunitensi. Ma secondo alcuni esperti di legge, i casi di questi paesi sarebbero diversi da quello della Russia: Venezuela e Afghanistan avevano infatti governi non riconosciuti dagli Stati Uniti, al contrario della Russia.

C’è poi un’altra ipotesi, che è stata avanzata dalle autorità ucraine e che consisterebbe nel chiedere all’ONU la creazione di un regolamento valido per tutti i paesi che permettesse di sequestrare e utilizzare legalmente i beni di chi è legato a paesi che hanno causato una guerra. Il problema, come sottolinea Tett, è che la Russia ha il potere di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che le permette di bloccare qualsiasi decisione proposta, ed è decisamente improbabile che possa far approvare l’istituzione di una commissione del genere.

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