Il nuovo e discusso ministro dell’Educazione nazionale francese
Pap Ndiaye è uno storico di origini senegalesi che viene accusato da molte personalità di destra di essere “woke”
La sera della sua vittoria, Emmanuel Macron aveva promesso «un presidente nuovo, un mandato nuovo e un popolo nuovo». L’ultima espressione aveva suscitato molta curiosità e diversi giornali francesi si erano chiesti che cosa significasse esattamente. Dopodiché, le prime scelte fatte dal presidente – quella di Élisabeth Borne come prima ministra o gli altri nomi che circolavano per il futuro governo – si erano dimostrate piuttosto in continuità con il suo primo mandato e, soprattutto, con il suo progressivo spostamento verso destra.
La grande sorpresa è stata invece la nomina di Pap Ndiaye a ministro dell’Educazione nazionale. Ndiaye è uno storico di origini senegalesi esperto di storia sociale degli Stati Uniti e di diritti delle minoranze. Soprattutto, è lontanissimo dalle campagne contro la presunta erosione della cultura francese portate avanti dal suo predecessore, Jean-Michel Blanquer e in parte condivise anche da Macron. Non a caso, Ndiaye è stato da subito soprannominato l’anti-Blanquer. Non sono chiare le ragioni della decisione di Macron, ma in molti pensano che si tratti di una mossa politica in vista delle elezioni legislative che si terranno su doppio turno il 12 e il 19 giugno.
Pap Ndiaye ha 56 anni ed è sempre stato definito un intellettuale “engagé”, cioè impegnato politicamente, anche se non direttamente nella politica istituzionale. È nato il 25 ottobre del 1965 ad Antony, nel dipartimento dell’Hauts-de-Seine, da padre senegalese e madre francese. Ha prima studiato all’École normale supérieure di Saint-Cloud e poi, all’inizio degli anni Novanta, all’Università della Virginia, importante centro dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti. Tornato a Parigi, nel 1996 ha conseguito un dottorato in storia presso l’École des hautes études en sciences sociales (EHESS) dove ha insegnato come professore associato, prima di diventare docente universitario di storia del Nord America all’università di Parigi Sciences Po.
Nel frattempo, Ndiaye ha fondato con altri intellettuali il Circolo d’Azione per la Promozione della Diversità in Francia e il Consiglio di Rappresentanza delle Associazioni Nere (CRAN). Nel 2009 ha scritto un libro intitolato La Condition noire : essai sur une minorité française, “La Condizione nera: saggio su una minoranza francese”, che viene considerato come uno dei testi più importanti dei “black studies” alla francese (Marie Ndiaye, sua sorella, Prix Goncourt nel 2009, ne ha scritto la prefazione). Nel 2019 il Musée d’Orsay lo ha inserito nel comitato scientifico della mostra “The Black Model, from Géricault to Matisse”, grande successo culturale dell’anno, e nel 2021 Macron lo aveva nominato alla guida del Museo nazionale francese di storia dell’immigrazione di Parigi.
La scelta di Ndiaye come nuovo ministro dell’Educazione nazionale, scrive Libération, rappresenta «una svolta» rispetto alla precedente scelta di Macron. Tra Ndiaye e Blanquer non c’è infatti solo una differenza di stile o di tono. I due hanno posizioni nettamente differenti. Blanquer ha spesso parlato contro l’islamo-gauchisme, la presunta e non meglio definita vicinanza di intellettuali e partiti della sinistra agli ambienti islamisti (gauche significa “sinistra”). Aveva fatto della difesa del modello universalista francese un punto centrale del proprio mandato, un modello in cui, semplificando, la cittadinanza e il senso di appartenenza alla nazione trascendono razza, genere e religione.
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Infine, Blanquer aveva fondato un’associazione per combattere la presunta diffusione dell’ideologia “woke” nelle università francesi, assumendo questo termine non tanto nel suo significato originario, e cioè come la consapevolezza su una serie di questioni e problemi legati al razzismo e al sessismo sistemico, ma nel suo significato più deteriore: quello usato dalla destra americana per identificare un atteggiamento considerato dogmatico, intollerante e censorio nei confronti delle parole e delle idee che vanno contro le più moderne sensibilità sulle questioni delle minoranze e dei diritti civili.
A pochi minuti dall’annuncio della nomina di Pap Ndiaye, molte personalità di estrema destra hanno criticato la scelta. Per Marine Le Pen, la nomina di Pap Ndiaye «è l’ultimo passo verso la decostruzione del nostro paese, dei suoi valori e del suo futuro». Tra le altre cose, poi, Ndiaye è stato accusato di essere un «antiflic», ossia un odiatore di poliziotti (per aver criticato le violenza della polizia in occasione dell’uccisione di George Floyd, negli Stati Uniti), gli è stato rinfacciato di aver partecipato a “riunioni segregazioniste” cioè proibite ai bianchi (cosa però non vera), di essere un “comunitarista nero” (cioè di portare avanti l’obiettivo di creare delle società parallele, indipendenti dall’entità statale alla quale appartengono) e di essere, soprattutto, un difensore dell’ideologia “woke”.
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Il sociologo e critico della wokeness Mathieu Bock-Côté ha affermato che la nomina di Ndiaye «legittima» in Francia l’imposizione di concetti presi in prestito dagli Stati Uniti, mentre sarebbe opportuno organizzare la resistenza alla «colonizzazione delle università francesi da parte della sinistra americana»: «Sia gli Stati Uniti che la Francia rivendicano l’universalismo. Ma i francesi aspirano a definire i cittadini al di là dell’etnia e non ad assegnarli alle loro comunità», ha affermato. E ancora: «Non posso diventare nero e una persona di colore non può diventare bianca, ma possiamo entrambi essere francesi e condividere la stessa cultura, lingua e storia».
Le posizioni di Ndiaye sono in realtà molto più moderate, come hanno fatto notare diversi osservatori. I difensori dello storico affermano che le accuse contro di lui sono esagerate e un’espressione del razzismo latente presente in Francia. Jean-Luc Mélenchon, del partito di sinistra La France Insoumise, ha parlato di una scelta «audace» da parte di Macron e molte reazioni positive sono arrivare anche dalle associazioni degli insegnanti e dai sindacati della scuola.
Il nuovo ministro ha definito la cosiddetta “ideologia woke” come uno «spaventapasseri, più che una realtà sociale». Ha poi spiegato di condividerne «la maggior parte delle cause, come il femminismo, la lotta per la protezione dell’ambiente o l’antirazzismo» ma ha anche detto di non approvare «i discorsi moralistici o settari» di alcuni degli attivisti. Ndiaye è favorevole alla creazione di spazi sicuri per le persone non bianche, ha affermato che la Francia soffre di «razzismo strutturale», nel 2018 ha pubblicamente criticato la rimozione della parola “razza” dalla Costituzione francese, ritenendo che potesse danneggiare la lotta antirazzista e ha difeso l’introduzione di “statistiche etniche” per misurare in termini più realistici l’impatto della discriminazione. Dall’altra parte si rifiuta però di usare termini come «privilegio bianco» o «razzismo di stato».
Denis Lacorne, docente di Sciences Po e ex collega di Ndiaye, ha spiegato a sua volta che «è assolutamente possibile essere patriottici, aderire ai propri doveri civici e rimanere molto attaccati alle proprie comunità religiose e culturali». Secondo Lacorne, Ndiaye è «un moderato» e «credere che sia legato agli Stati Uniti che stanno cercando di penetrare in Francia con l’obiettivo di distruggere la civiltà francese è grottesco». Ndiaye non è un pericoloso estremista, ha commentato a sua volta Mediapart: «Chi lo sostiene evidentemente non ha mai letto una riga di quello che ha scritto».
Pur rifiutando il concetto stesso di islamo-gauchisme, ma consapevole delle preoccupazioni suscitate dalla sua nomina, Ndiaye ha fatto la sua prima visita come ministro nella scuola dove il professor Samuel Paty era stato decapitato il 16 ottobre del 2020 in un attentato terroristico perché accusato di aver mostrato ai suoi studenti alcune caricature del profeta Maometto – accusa rivelatasi falsa. Ha poi cercato di prendere le distanze dalle discussioni nate intorno alla sua nomina, parlando concretamente delle molte questioni di cui si dovrà occupare.
In molti si sono chiesti quale sia la logica che ha portato Macron a nominare Ndiaye. In passato, il presidente francese si era di fatto allineato alle battaglie culturali portate avanti dal suo precedente ministro dell’Educazione nazionale. Anche nella formazione del nuovo governo, il presidente ha affidato gli incarichi più importanti a figure conservatrici, nominandole al ministero dell’Interno, al ministero dell’Economia, a quello della Difesa e degli Affari esteri.
In vista delle elezioni legislative di giugno, per Macron è però fondamentale ottenere la maggioranza all’Assemblea Nazionale e poter così governare come negli ultimi cinque anni. Per questo, Macron ha un assoluto bisogno di accreditarsi a sinistra. Nella nomina di Ndiaye in molto vedono dunque il tentativo del presidente di conquistare gli elettori più progressisti.