L’Italia non vuole tenere aperta la centrale nucleare di Krško, in Slovenia
Il governo è contrario al prolungamento dell'attività della centrale oltre il suo ciclo di vita, nonostante le rassicurazioni sulla sicurezza
La commissione tecnica del ministero della Transizione ecologica ha dato un parere negativo al prolungamento dell’attività della centrale nucleare di Krško, in Slovenia, che si trova a poco più di 100 chilometri dal confine italiano. Il parere era stato richiesto nell’ambito della valutazione di impatto ambientale (VIA) transfrontaliera, cioè una procedura che oltre alla Slovenia ha coinvolto anche gli stati confinanti o vicini: Italia, Austria, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Ungheria.
Nelle ultime settimane la commissione ha raccolto diverse osservazioni e documenti a favore o contro la richiesta della Slovenia e martedì ha concluso il suo lavoro con il parere negativo, le cui motivazioni verranno rese note nei prossimi giorni. Il pronunciamento, comunque, non ha il valore di un veto: la Slovenia potrà continuare a lavorare per prolungare l’attività della centrale.
In Italia si discute della centrale di Krško già da molti anni perché è una delle più vicine al confine italiano. Venne costruita tra il 1975 e il 1981, in soli sei anni, ed entrò in funzione nel 1983, quasi quarant’anni fa. È gestita dalla società NEK, Nuklearna elektrarna Krško, controllata al 50 per cento dalla compagnia energetica pubblica slovena Gen Energija e per il restante 50 per cento dall’azienda pubblica croata Hrvatska elektroprivreda (HEP). Con il suo unico reattore da 700 megawatt, la centrale di Krško garantisce poco più di un terzo del fabbisogno di energia elettrica della Slovenia e un quinto di quello croato.
Quando fu costruita, il ciclo di vita previsto per la centrale era di 40 anni, con scadenza nel 2023. Nel 2015 la NEK chiese al governo sloveno di prolungare l’attività di altri 20 anni con una serie di interventi per rendere l’impianto più moderno e sicuro.
Oltre a iniziare il percorso per ottenere la proroga dell’apertura fino al 2043, l’anno scorso Gen Energija ha chiesto e ottenuto dal ministero delle Infrastrutture sloveno l’autorizzazione per iniziare a progettare un nuovo reattore nucleare, chiamato JEK2, da 1.100 megawatt. L’obiettivo è produrre ogni anno poco meno di 9.000 gigawattora. Secondo il ministero, il nuovo reattore avrà un ciclo vitale di 60 anni e l’operazione sarà economicamente vantaggiosa nonostante un investimento stimato tra 5 e 6 miliardi di euro.
Nelle ultime settimane Legambiente e alcuni tecnici, sismologi e geologi hanno presentato osservazioni al ministero della Transizione ecologica per chiedere al governo italiano di schierarsi ufficialmente contro il prolungamento del ciclo di vita della centrale nella procedura di VIA transfrontaliera. Legambiente ha collaborato con associazioni ambientaliste austriache e slovene per studiare in modo approfondito lo stato della centrale che definiscono «una struttura ormai vecchia e obsoleta, costruita in una zona sismica, priva di un deposito per smaltire i rifiuti radioattivi».
Secondo Livio Sirovich, uno dei sismologi italiani che più si sono occupati della centrale, Krško è quella con la più alta sismicità e il più elevato grado di rischio sismico in tutta Europa. «Quando la centrale fu progettata, non furono fatti studi probabilistici sul rischio sismico», ha detto. «Non fu neppure fatto uno studio del terremoto del 1917».
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Il ministero della Transizione ecologica ha dato parere negativo nonostante le diverse certificazioni di sicurezza e i rigidi protocolli che la centrale di Krško deve rispettare, come qualsiasi centrale nucleare.
Nell’ottobre del 2021 l’impianto è stato sottoposto a un’ispezione da parte dell’OSART, il team di revisione della sicurezza operativa dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Tra il 4 e il 14 ottobre, dieci tecnici provenienti da Belgio, Ungheria, Pakistan, Spagna, Svizzera, Regno Unito e tre membri dell’AIEA hanno esaminato i piani di sicurezza e l’organizzazione della centrale. L’OSART ha certificato che la gestione operativa si può considerare corretta e completa, senza criticità e con misure di sicurezza adeguate.
L’ispezione dell’OSART è stata citata più volte in molti dei documenti presentati nella valutazione di impatto ambientale. Sia l’ENEA, un ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia, sia l’ISIN, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, hanno spiegato che la centrale è sicura. La Slovenia, si legge nel documento presentato dall’ISIN, ha predisposto un piano per il Safety Upgrade Programme cioè l’insieme delle azioni per migliorare i livelli di sicurezza dell’impianto.
I principali miglioramenti riguardano l’introduzione di un sistema passivo di filtraggio del contenitore del reattore per renderlo più sicuro in caso di incidente grave e limitare il rilascio di radioattività nell’ambiente. Ma sono stati progettati anche una nuova sala di emergenza e sistemi mobili per garantire l’operatività nel caso in cui le funzioni di sicurezza primarie andassero fuori uso.
L’ISIN ha spiegato che l’invecchiamento dell’impianto viene costantemente monitorato e gestito «in conformità con gli standard internazionali» e che negli ultimi anni ci sono stati «significativi interventi migliorativi del sistema di regolamentazione e dei sistemi di sicurezza dell’impianto».
Secondo l’ENEA, il livello di sicurezza di NEK può dirsi molto elevato: dal settembre 2011 al dicembre 2021 la Slovenia ha fornito ogni anno i necessari documenti a supporto dei cosiddetti Stress Test post-Fukushima, e ha dato prova di aver commissionato diverse migliorie tecniche, necessarie non solo alla manutenzione ordinaria dell’impianto, ma anche per prolungare l’attività della centrale.
Fino a ieri l’unica posizione ufficiale contro l’estensione del ciclo di vita della centrale era stata presa dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia che lo scorso anno, a fine luglio, approvò una mozione presentata dal gruppo Patto per l’Autonomia che chiedeva alla Giunta regionale di opporsi. «Il nostro non è un “no” a priori», ha detto Fabio Scoccimarro, assessore regionale all’Ambiente. «Serve produrre energia pulita: le centrali di vecchia generazione devono essere chiuse e bisogna pensare a quelle nuove».
Per Debora Serracchiani, deputata del PD ed ex presidente del Friuli Venezia Giulia, il parere negativo era auspicato e atteso. «Troppe volte abbiamo dovuto preoccuparci per la sicurezza di quell’impianto per poterne accettare serenamente il raddoppio», ha detto. «E sia chiaro che questa posizione non ha nulla di ideologico, ma si nutre di analisi approfondite e di un diffuso buon senso. Guardiamo all’idrogeno, alle rinnovabili, prosegua la ricerca per l’energia pulita da fusione ma no a superati e rischiosi impianti nucleari».
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