Abbiamo sempre sottovalutato le fan
A furia di considerarle solo ragazzine "isteriche" e urlanti, ci siamo persi una parte della storia
Le folle di giovani, soprattutto donne, che si ritrovano per vedere dal vivo i propri idoli musicali sono un fenomeno noto e che non è cambiato molto da quando nacque, attorno agli anni Sessanta. Gli archivi fotografici della storia della musica sono pieni di fan urlanti ammassate una sull’altra, in estasi solo per il fatto di poter stare a pochi metri di distanza da Elvis Presley, dai Beatles, dai Backstreet Boys, dagli One Direction o, per fare un esempio più recente e più italiano, da Mahmood e Blanco.
In inglese esiste un verbo per descrivere questo tipo di comportamento, to fangirl, traducibile in italiano con “fare la fan”, che lo connota come qualcosa di tipicamente femminile, e in quanto tale anche irritante e frivolo. In un articolo sull’Atlantic, la giornalista americana Kaitlyn Tiffany ha analizzato il modo in cui la stampa americana – composta per lo più da giornalisti maschi bianchi – ha negli anni condizionato il modo in cui si parla ancora oggi delle fan dei grandi fenomeni musicali, sminuendole senza mai riuscire a capirle realmente. «Urlare», ha scritto, «non è tutto ciò che le fan fanno. Non lo è mai stato».
Tutto iniziò con quello che fu probabilmente il primo grosso fenomeno di “fangirling” della storia della musica: i Beatles. Secondo Tiffany, «Ai tempi, la stampa non riuscì a capire la Beatlemania [l’ossessione per i Beatles]». Non nega che negli anni di massimo successo del gruppo ci fu effettivamente quella che molti definirono un'”isteria” (un termine che per la sua etimologia e per l’utilizzo che se n’è fatto rimanda specificamente al genere femminile), ma sostiene che la stampa di allora contribuì ad accrescere il fenomeno e costruirci sopra una specie di mito. Alcuni dei coloriti resoconti di quegli anni, secondo Tiffany, suonano oggi poco credibili: per esempio quello del critico musicale Al Aronowitz, che scrisse che quando i Beatles atterrarono a Miami oltre 7mila fan crearono un ingorgo fuori dall’aeroporto e mandarono in frantumi 23 finestre e una porta a vetri.
Allison McCracken, docente della DePaul University di Chicago che ha scritto un libro su come negli anni Trenta il cantante Rudy Vallee venne criticato per aver conquistato milioni di fan con le sue canzoni giudicate poco “virili”, ha spiegato all’Atlantic che «essere una fan è molto associato all’eccesso femminile, alla classe lavoratrice, alle persone di colore e in generale alle persone le cui emozioni vengono viste come fuori controllo. Tutto questo va contro l’idea di mascolinità bianca ed eterosessuale, dove le emozioni e il corpo sono controllati».
Secondo Tiffany, il fatto di ricondurre tutte queste manifestazioni allo stesso trascurabile fenomeno – ragazze con le mani protese e le facce deformate da lacrime e grida – fa sì che venga trascurato il contesto che c’è dietro, che ogni volta è diverso e non è detto che si esaurisca lì. «L’immagine delle fan urlanti è diventato così familiare e drammatico da non suscitare curiosità», scrive Tiffany, «ma per decenni le fan non si sono solo passivamente e rumorosamente godute l’oggetto del loro fanatismo. L’hanno anche trasformato e rimesso in circolo, usandolo come ispirazione per una gamma di prodotti creativi così vasta – e per la gran parte non catalogata – che non può nemmeno essere afferrata».
Per esempio, le fan degli One Direction, la giovane band britannica che ha raggiunto il suo massimo successo tra il 2012 e il 2015, hanno prodotto numerosissime opere di fan fiction online, racconti che hanno come protagonisti i componenti della band e che li immaginano in mondi paralleli offrendo agli altri fan materiali infiniti per la loro ossessione. La serie di romanzi dell’autrice americana Anna Todd After, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo e ha ispirato quattro film, nasce proprio da racconti di fan fiction ispirati al cantante del gruppo, Harry Styles. E l’imitazione da parte delle fan dello stile del cantante ha creato un vero e proprio filone di cosplay: secondo Tiffany questa è «un’espressione di devozione ma è anche un esercizio creativo prolungato».
Anche le fan dei Beatles fecero dei primi tentativi di fan fiction: un gruppo di ragazze di Encino, in California, fondarono Beatlesaniacs per offrire una «terapia di gruppo» e un ritiro letterario alle fan che sentivano di aver perso il controllo delle proprie emozioni. La rivista Life raccontò questa storia, ma secondo Tiffany la prese eccessivamente sul serio e non colse l’ironia e il divertimento che c’erano dietro.
A gennaio, la giornalista Hasina Khatib aveva scritto su Vogue un articolo sullo stesso tema, facendo notare che le fan sono da sempre ridotte a una massa isterica nonostante abbiano dato dimostrazione del proprio potere – nel bene e nel male – in più di un’occasione. Cita per esempio il movimento per la revoca della tutela di Britney Spears e la mobilitazione fatta nel 2020 su TikTok dai fan dei BTS, la band di pop coreano più famosa al mondo, per sabotare il primo comizio di Donald Trump dopo la pandemia: il comizio non è fallito solo per questo, ma i fan dei BTS hanno certamente contribuito.
Nell’articolo di Vogue viene poi fatto notare che mentre i fanatici di sport vengono spesso rassicurati sul fatto che possono trasformare il proprio hobby in un lavoro, facendo i commentatori in televisione o su YouTube per esempio, gli interessi di una fan di un gruppo musicale non vengono considerati altrettanto legittimi pur avendo, a guardar bene, le stesse opportunità e lo stesso mercato.