L’invenzione del carrello della spesa
All'inizio non piacquero, poi invece ebbero successo e cambiarono la società, restando perlopiù sempre uguali
Da ormai diversi decenni, il carrello della spesa è parte integrante del consumismo e delle abitudini di vita di chiunque vada in un supermercato o in un centro commerciale. A volerlo considerare un veicolo, si può sostenere che sia tanto diffuso quanto le automobili e le biciclette. Spesso è usato, anche online, come simbolo e icona di spese e acquisti, e c’è chi lo considera una delle più importanti invenzioni del Ventesimo secolo, capace – con la sua sola presenza – di cambiare le abitudini di acquisto e di vita di intere generazioni. Tutto ciò benché sia un oggetto di incredibile semplicità, che nella maggior parte dei casi è ancora parecchio simile a come era già negli anni Cinquanta del Novecento.
Eppure, in genere si sa poco di come fu introdotto e di chi fu la principale parte di merito: «Tutti conoscono Henry Ford e i fratelli Wright», scrisse nel 1975 il New York Times, «mentre invece non esistono francobolli o monumenti dedicati a Sylvan Nathan Goldman», «il padre del carrello della spesa». Inoltre, per quanto oggi possa sembrare strano, quando negli anni Trenta Goldman introdusse i primi carrelli della spesa nei suoi supermercati, la novità non piacque per niente. Per far cambiare idea a chi doveva usarlo servirono una certa dose di tenacia e alcune azzeccate scelte promozionali.
Prima dei supermercati e dei carrelli, la spesa si faceva in genere in negozi più piccoli, chiedendo a chi ci lavorava i prodotti o gli alimenti di cui si aveva bisogno. Qualcosa iniziò a cambiare quando certi negozi avviarono la vendita self-service con successivo pagamento alla cassa: nei primi negozi di questo tipo, però, la spesa era messa in borse o cestini che per questioni di spazio e di peso limitavano la quantità di prodotti acquistabili. Non era di per sé un gran problema, visto che ancora non erano diffusi né i frigoriferi in cui conservare il cibo né le automobili in cui mettere quel che si era comprato. Peraltro, mancavano anche i comodi parcheggi in cui lasciarle, quelle auto.
Negli Stati Uniti, i primi esperimenti di negozi self-service arrivarono nel 1916. Uno dei primi negozi che adottarono questo nuovo approccio alla vendita fu quello gestito da Goldman. Nato nel 1898 a Ardmore, in Oklahoma, e figlio di un immigrato lettone proprietario di una merceria, Goldman aprì il suo primo negozio nel 1919, dopo che nella Prima guerra mondiale era stato in Francia occupandosi di approvvigionamenti alimentari per le truppe al fronte. Gli affari andarono bene e nel 1920 aprì, grazie anche all’aiuto della famiglia, un “supermarket” in Oklahoma. In pochi anni l’attività divenne una catena di decine di negozi, che Goldman riuscì peraltro a vendere prima della crisi del 1929 e della conseguente Grande Depressione.
Grazie ai soldi messi da parte, nel 1934 comprò due nuove catene. Intervistato anni dopo disse: «La cosa bella del cibo è che serve a tutti e si può usare una sola volta». Rispetto agli anni Venti, però, molte cose stavano cambiando, perché nel frattempo stavano arrivando frigoriferi e automobili: le persone potevano e volevano comprare di più, ma risultava difficile farlo da soli, in una singola spesa.
Anzitutto, secondo i resoconti che ne raccontano la storia (perché sebbene poco celebrato non è stato del tutto dimenticato), Goldman invitò i commessi dei suoi negozi a offrire ai clienti un secondo cestino qualora il primo fosse pieno, portando intanto il primo alla cassa. L’idea non bastò però a risollevare gli affari, che andavano sempre peggio.
Pare quindi, sempre secondo resoconti difficili da verificare, che guardando una sedia pieghevole Goldman ebbe l’idea di costruire dei carrelli della spesa. Insieme con il suo dipendente Fred Young, tra il 1936 e il 1937 progettò, costruì e perfezionò i suoi primi modelli di carrelli, che nelle prime versioni erano di fatto delle strutture pieghevoli, con ruote, nelle quali mettere due cestini mentre si fa la spesa.
In realtà, sebbene Goldman sia «ampiamente considerato l’inventore del carrello della spesa», in quegli stessi anni Trenta altri, altrove, avevano avuto idee simili, senza successo. C’era perfino chi aveva installato tra le corsie dei binari su cui far scorrere carrelli di altro tipo: un’idea che però si era rivelata poco pratica.
Restavano problemi comuni a molti: il primo era che i carrelli non erano ancora fatti per essere facilmente incastrati uno dentro l’altro e occupavano quindi molto spazio, il secondo – anche nel caso di carrelli pieghevoli e meno ingombranti – era che ai clienti non piacevano. Molti uomini li trovavano poco virili, e molte donne non sembravano convinte. In una lettera degli anni Settanta in cui raccontò la sua invenzione, Goldman scrisse:
«Andai nel nostro negozio più grande e non c’era nemmeno una persona che usava un basket carrier [un portacestino]. La maggior parte delle casalinghe diceva di aver già spinto abbastanza passeggini e di non volerne più sapere, gli uomini sostenevano di poter usare le loro forti braccia per portare i cestini. E quindi non li toccavano nemmeno, e fu un fallimento».
Le cose iniziarono a cambiare dopo che Goldman, sempre nel 1937, organizzò una serie di attività promozionali per i suoi carrelli, che oltre a usare nei suoi negozi puntava a vendere ai concorrenti. Alcune parlavano di una promettente innovazione che permetteva di non portarsi più appresso «ingombranti cestini della spesa».
Non furono però sufficienti, e Goldman pensò quindi di ingaggiare attori e attrici affinché girassero sorridenti e a pagamento con i carrelli tra le mani, e fece anche alcuni video promozionali che erano di fatto dei “tutorial” su come usarli. La cosa funzionò, i carrelli iniziarono a prendere piede e Goldman, che nel frattempo era riuscito a registrare il brevetto, iniziò a produrli in serie e rivenderli ad altri negozi, guadagnando una sorta di monopolio e sviluppando nel frattempo nuove e più aggiornate versioni.
Come tante altre storie d’invenzioni, anche quella di Goldman fu però seguita da problemi legali. In particolare con Orla E. Watson, progettista e inventore che nel 1946 ideò i carrelli telescopici, fatti cioè per incastrarsi l’uno nell’altro, già parecchio simili a quelli in uso ancora oggi. Le divergenze tra i due si risolsero nel 1949 con un accordo in cui, in breve, Goldman (il quale aveva nel frattempo brevettato un carrello simile) riconobbe a Watson l’invenzione (e un risarcimento), ma ottenne anche il diritto di poter continuare a vendere tutti i carrelli della spesa che voleva.
Grazie alla produzione e alla vendita dei carrelli della spesa Goldman si arricchì molto, e ancora nel 1975 disse, della sua invenzione: «Ha fatto tutta la differenza del mondo, ma se non l’avessi fatto io l’avrebbe inventato qualcun altro».
Parlando di recente con CNN, Andrew Warnes, professore universitario e autore del libro How the Shopping Cart Explains Global Consumerism, ha detto: «È difficile migliorarne il design, il metallo è resistente, la struttura trasparente, e lo spazio per i bambini [aggiunto dagli anni Sessanta] è una brillante soluzione». In effetti, sebbene negli anni siano talvolta cambiati forma e materiali, i carrelli della spesa sono restati essenzialmente sempre uguali, perché – nonostante qualche critica, nel tempo, agli incidenti, spesso a danno dei bambini, e alla scarsa igiene – ancora non si è trovato di meglio.
Goldman – la cui storia fu raccontata nel libro del 1978 The Cart That Changed the World – nel 1961 vendette le sue attività e si dedicò ad altro, morendo milionario nel 1984. La società da lui fondata esiste ancora oggi, seppur con un altro nome e una serie di altre attività che non riguardano più soltanto i carrelli della spesa.
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