La libertà secondo Lea Ypi, che da bambina abbracciò Stalin
Oggi insegna filosofia politica a Londra, nell'Albania della sua infanzia imparava a credere nella rivoluzione comunista
di Ludovica Lugli
All’ultimo Salone del Libro di Torino gli spazi espositivi delle grandi case editrici erano raccolti nell’Oval, il palazzetto poco lontano dai padiglioni del Lingotto propriamente detti. È una soluzione adottata dagli organizzatori della fiera da qualche edizione: fa sì che questa parte del complesso non sia trascurata dai visitatori. All’Oval comunque erano posizionati anche alcuni stand più piccoli, tra cui – un po’ defilato vicino all’ingresso – quello del Centro Albanese, un’organizzazione che promuove la cultura albanese in Italia.
Quest’anno oltre a esporre romanzi scritti in albanese e tradotti in italiano, e romanzi scritti in italiano da autori di origine albanese (come Anilda Ibrahimi, pubblicata da Einaudi), il Centro era coinvolto nella presentazione di un libro scritto in inglese che ha vinto un prestigioso premio letterario della Royal Society of Literature, l’Ondaatje Prize, assegnato ogni anno a un’opera capace di «evocare lo spirito di un luogo». Nella traduzione italiana il libro in questione s’intitola Libera. Diventare grandi alla fine della storia: è un’autobiografia che racconta di un’infanzia tra gli ultimi anni del regime comunista di Enver Hoxha e il caos politico, economico e sociale dell’Albania del 1997. Pubblicato da Feltrinelli, lo ha scritto una docente di filosofia politica della London School of Economics, esperta del pensiero di Karl Marx, che si chiama Lea Ypi.
Ypi ha 42 anni e ha un modo di fare amichevole e informale. L’abbiamo incontrata nella hall dell’hotel NH del Lingotto, prima che presentasse Libera al Salone con il direttore della Stampa Massimo Giannini. Parla veloce, e sorridendo molto, in italiano: ha studiato alla Sapienza di Roma, e prima ancora, da bambina, seguiva un corso di lingue straniere trasmesso ogni giorno dalla televisione albanese. Nel booktrailer di Libera realizzato dall’editore americano W.W. Norton & Company la si vede a 11 anni, in un’intervista andata in onda su Rai 1 in occasione delle prime elezioni libere albanesi nel 1991, mentre dice che da grande le piacerebbe fare la scrittrice o anche la presidente, che «niente male non è».
Libera è lungo circa 300 pagine: la prima metà è ambientata nell’Albania comunista, che nel 1990 era rimasta l’ultimo paese stalinista del mondo; la seconda in un paese povero che cerca di adattarsi al capitalismo e intanto si svuota perché per molti dei suoi abitanti (compresa parte della famiglia della stessa Ypi) l’emigrazione appare come l’unico modo per ottenere condizioni di vita migliori.
È raccontato dal punto di vista della bambina (poi ragazza) che fu Ypi e si legge come un romanzo di formazione. All’inizio la protagonista crede fermamente nei principi del socialismo reale che le vengono insegnati a casa e a scuola; piange quando il padre non la porta con sé ai funerali di Hoxha nel 1985; si arrabbia perché ha lo stesso cognome di un politico degli anni Venti che nel 1939 accolse i fascisti italiani che invasero l’Albania. Per questo sulla copertina italiana del libro – che riprende quella americana – si vedono le mani di una bambina che abbraccia una statua di Stalin: è quello che Ypi racconta di aver fatto un giorno del 1990, smarrita di fronte alle proteste contro il regime. Ma la statua a quel punto era già stata decapitata dai manifestanti.
Il mondo della giovane Lea Ypi viene stravolto: le parole «liberalizzazione» e «privatizzazione» prendono il posto di «centralismo democratico» e «collettivizzazione», i suoi genitori mostrano di avere idee dissidenti rispetto a quelle con cui è cresciuta, le viene rivelato che «l’altro Ypi», l’ex primo ministro vicino al fascismo, non era altri che il suo bisnonno. Arrivano le elezioni libere, i prigionieri politici vengono liberati, ma arrivano anche tanti problemi economici. La migliore amica della protagonista scappa di casa e si imbarca per l’Italia con un ragazzo: qualche tempo dopo si scopre che sta a Milano e per vivere si prostituisce. In questo contesto «diventare grandi» significa mettere in discussione sé stesse e le cose attorno in modo particolare.
– Leggi anche: Lo sbarco di 20mila albanesi a Bari, trent’anni fa
Ma Libera è anche un romanzo filosofico, perché Ypi usa la storia personale sua e della sua famiglia per indagare sul concetto di libertà. All’inizio infatti avrebbe dovuto essere un saggio, non un’autobiografia.
«Mi è sempre interessato voler dimostrare come l’interesse per il concetto di libertà fosse centrale a tradizioni politiche solitamente considerate opposte, come il liberalismo e il socialismo», ha spiegato Ypi, con l’entusiasmo e la convinzione tipici di quei professori che restano impressi molto positivamente nella memoria dei propri studenti: «Di solito quando si insegna la filosofia politica si dice che il principio cardine del socialismo è l’uguaglianza e quello del liberalismo la libertà, ma per me è problematico perché ho sempre visto nella tradizione di pensiero di sinistra una radicalizzazione dell’idea di libertà che si trova nel pensiero liberale: una forma di critica della società per cui nel capitalismo non ci può essere vera libertà perché una forma istituzionale che si basa sulla competizione tra individui sopprime la libertà di alcuni per il profitto di altri, e dunque è in realtà una libertà promessa a livello istituzionale che però nella società non viene mai realizzata».
In corso d’opera il libro ha cambiato forma anche a causa della pandemia da coronavirus. «Iniziai a lavorarci a Berlino, durante il lockdown: le biblioteche erano chiuse e i miei figli erano a casa, quindi scrivevo chiusa in un armadio. Ero nel centro di una grande città nel cuore di un grande paese dell’Unione Europea, con tutte le garanzie liberali del mondo, eppure mi trovavo in condizioni di mancanza di libertà, letteralmente chiusa in un armadio».
Riflettendo sulla particolare condizione in cui gran parte delle persone del mondo si trovavano in quel periodo Ypi cominciò a vedere dei parallelismi con l’Albania della sua infanzia e invece di scrivere un saggio accademico si trovò a raccontare una versione della propria storia personale in cui i personaggi di suo padre, sua madre e sua nonna incarnano diverse visioni del concetto di libertà.
«Mia madre rappresenta l’idea della libertà negativa, “libertà da”»: con la fine del regime comunista la madre di Ypi cerca in tutti i modi di ottenere la restituzione delle proprietà che appartenevano alla sua famiglia prima della Seconda guerra mondiale, entra nel principale partito d’opposizione, vuole investire il denaro di famiglia con una società finanziaria, infine fugge dal paese. «Mio padre invece rappresenta un’idea di libertà positiva, più socialista. E mia nonna l’idea della libertà morale. I diversi personaggi del libro rappresentano un punto di vista sulla società, sulla politica e sui rapporti tra persone, tra istituzioni».
Usare sempre il punto di vista di una bambina e poi di una ragazza corrisponde a una scelta ben precisa quando si legge Libera come romanzo filosofico: «Non c’è una voce narrante adulta che dice al lettore “la libertà vera è questa”». Al contrario i dialoghi tra i personaggi sono un esempio di convivenza tra posizioni diverse, in conflitto tra loro ma all’interno di un dibattito aperto. «Questo è uno dei motivi per cui il libro ha avuto recensioni ottime da destra e da sinistra: non si era mai visto nel Regno Unito che sia la recensione del Daily Mail [come tutti i tabloid britannici di orientamento conservatore] che quella di Jacobin [rivista anticapitalista] fossero entrambe molto positive. Ognuno si è trovato rappresentato nel suo punto di vista».
Non è insomma un romanzo a tesi, e anche per questo non rischia mai di essere noioso. Al contrario è molto divertente nonostante i tanti momenti drammatici, perché molti episodi sono raccontati con ironia. In uno dei capitoli della prima parte del libro ad esempio Ypi dice che la sua famiglia «nutriva un vivo interesse per le persone che finivano l’università» e poi racconta che durante feste e ritrovi con la famiglia allargata i suoi genitori facevano lunghe conversazioni apparentemente molto noiose su chi si fosse laureato, su chi avesse abbandonato gli studi a metà corso, su chi studiasse relazioni internazionali, chi economia, chi filosofia: solo in un capitolo successivo viene svelato che tutti i discorsi universitari erano in codice, le persone di cui si parlava erano in realtà in carcere per motivi politici.
Ypi ha detto di non aver ricercato intenzionalmente l’umorismo, le è venuto naturale perché tipico della cultura albanese, e non solo: «Nei paesi dell’Europa dell’est, che sono il risultato di grandi tragedie storiche, c’è un senso di scetticismo e nichilismo che viene alleggerito dal senso dell’umorismo: si scherza e ci si burla della morte e di altre cose molto serie, è un modo di riappropriarsi tramite l’ironia di un punto di vista diverso da quello della vittima e così ci si fa beffe della Storia».
È molto divertente anche il racconto di una lite tra la sua famiglia e un’altra, causata da una lattina di Coca-Cola: nell’Albania comunista le lattine di Coca-Cola (vuote) erano oggetti esotici, che quando venivano abbandonate dai rari turisti occidentali erano scambiate o vendute come rari e preziosi soprammobili. La copertina dell’edizione britannica di Libera mostra proprio una lattina usata come oggetto decorativo, a mo’ di vaso per una rosa recisa. «È una ricostruzione realizzata dalla graphic designer di Penguin che è di origine polacca. Peraltro anche la mia editor e l’ufficio stampa di Penguin che ha seguito il libro nel Regno Unito hanno origini dell’Europa dell’est, quindi c’è stato tutto un team di persone che conoscevano contesti simili a quelli in cui sono cresciuta che hanno letto questo libro, ci si sono ritrovate e hanno ricreato questa immagine suggestiva: trasmette un senso di romanticismo, ma anche di delusione, perché è una rosa che non può crescere». Le lattine di Coca-Cola che un tempo erano usate come soprammobili invece sono finite «tutte nella pattumiera» con l’arrivo del capitalismo in Albania.
Libera è stato pubblicato anche in Albania, non in una vera e propria traduzione, ma in una versione riscritta dalla stessa Ypi nella sua lingua madre. «La ricezione del libro è stata generalmente positiva però ci sono state anche critiche che non c’erano state in altri paesi. In parte credo siano dovute al senso di leggerezza con cui ho raccontato parte della storia, all’ironia di fondo presente nel libro, che secondo molte persone era un modo sbagliato di rappresentare il passato».
Dato che Libera ha avuto molto successo nel mondo dell’editoria anglosassone ed è stato tradotto in venti lingue, ha avuto molta risonanza in Albania e anche per questo ci sono state voci critiche: «In un certo senso il mio è diventato il punto di vista sull’Albania comunista e giustamente molti intellettuali albanesi hanno avuto un’esperienza diversa e non si sentono rappresentati».
Quella della rappresentanza di punti di vista diversi è una questione su cui Ypi si interroga in molti modi diversi. Anche ripensando all’amica con cui era cresciuta, andando nelle stesse scuole e giocando nella stessa strada, e che emigrata in Italia ha dovuto prostituirsi, mentre Ypi nonostante tante difficoltà ha continuato gli studi ed è diventata una docente universitaria. «Queste due storie sono in parte il risultato della sorte, ma anche del trauma della transizione che l’Albania ha attraversato: sono il risultato di un modello sociale che produce sia quelli che ce la fanno sia quelli che non ce la fanno, o che muoiono in mare. Ma solo i primi hanno una voce, sentiamo solo le loro di storie. Per me la sfida di questo libro era riuscire a raccontare anche le storie di chi non può raccontare la propria, riconducendole a un modello sociale».