A Buccinasco la ’ndrangheta preoccupa ancora
La cittadina milanese fu la base della criminalità organizzata in Lombardia: ora la situazione è un po' cambiata, ma i clan sono sempre lì
Buccinasco non è la più importante tra le 128 città lombarde in cui il 12 giugno si terranno le elezioni amministrative né, con i suoi 26.700 abitanti, la più popolosa: solo in provincia di Milano si voterà anche ad Abbiategrasso, Cernusco sul Naviglio, San Donato, Sesto San Giovanni, tutti comuni con un numero maggiore di abitanti. Eppure le elezioni di Buccinasco sono rilevanti anche perché la cittadina è stata a lungo considerata, e in parte è ancora, la base della ’ndrangheta in Lombardia.
La presenza di membri dell’organizzazione criminale è vissuta con preoccupazione e malcontento dai suoi abitanti, costretti a convivere con una fama che si deve principalmente alla ‘ndrina Papalia-Barbaro, originaria di Platì, in provincia di Reggio Calabria. Quando l’11 ottobre scorso Paolo Salvaggio, pluripregiudicato, fu assassinato alle nove del mattino in una strada trafficata con quattro colpi di pistola, molti avevano temuto il ritorno agli anni Settanta e Ottanta, quando le varie bande criminali si contendevano le piazze dello spaccio locali. La Direzione distrettuale antimafia di Milano sta investigando sull’omicidio che si suppone fosse un messaggio diretto a qualcuno.
Negli ultimi anni Buccinasco è stata al centro di diverse grandi operazioni antimafia condotte dalla magistratura. Molti beni (appartamenti, villette, negozi, box) sono stati confiscati alle cosche e assegnati ad associazioni di cittadini. Sotto al cartello stradale che annuncia l’inizio del comune campeggiano i cartelli “Qui la ’ndrangheta ha perso”. «Non si può ignorare», disse però il sindaco Rino Pruiti dopo l’omicidio avvenuto a ottobre, «che qui la ’ndrangheta preoccupa ancora».
Pruiti, sindaco uscente del centrosinistra, è uno dei tre candidati. Il centrodestra è rappresentato da Manuel Imberti della Lega, avvocato, mentre Alberto Schiavone è il candidato del Movimento 5 Stelle. Chiunque di loro vincerà avrà comunque un problema da risolvere con un esponente importante della famiglia Papalia, Rocco, che dopo aver trascorso 25 anni in carcere è tornato da poco a vivere a Buccinasco e ha con il Comune un contenzioso che si trascina da tempo.
I tre candidati sono consapevoli che la ’ndrangheta è ancora presente nel territorio di Buccinasco. Pruiti, il sindaco in carica, a cui i Papalia hanno spesso rivolto insulti e minacce, ha detto al Post: «Sono finiti i tempi in cui politici o amministratori potevano dire che il fenomeno della ’ndrangheta non riguardava il Nord Italia. Qui il fenomeno esiste, eccome. Solo che adesso lo combattiamo». Pruiti ha più volte denunciato l’assenza di aiuto da parte delle istituzioni: «Non è possibile che a Buccinasco ci siano più agenti della polizia locale che carabinieri».
Il candidato sindaco di centrodestra, Manuel Imberti, iniziò la sua campagna elettorale proprio dal luogo in cui a ottobre era avvenuto l’omicidio di Paolo Salvaggio. In quell’occasione attaccò il sindaco dicendo: «È il fallimento di chi ha fatto scrivere sui cartelli all’ingresso in città “Qui la ’ndrangheta ha perso”». Impegnato nella lotta alla ’ndrangheta è anche il candidato dei 5 Stelle, Alberto Schiavone, che nella scorsa legislatura è stato vicepresidente della commissione antimafia, anticorruzione, trasparenza e legalità collaborando proprio con il sindaco Pruiti.
Fu all’inizio degli anni Settanta che da Platì avvenne una forte immigrazione verso il Nord Italia. Secondo quanto scritto da Nando Dalla Chiesa e Martina Panzarasa nel libro Buccinasco, un quinto della popolazione del centro calabrese si spostò in Lombardia. Molti si stabilirono proprio a Buccinasco, a pochissima distanza da Milano. Oggi sono circa 2mila le famiglie originarie di Platì che ci vivono, tanto che Buccinasco venne soprannominata “la Platì del Nord”.
Nel 1974 arrivarono anche i tre fratelli Papalia: Domenico, Rocco e Antonio. Figli di Giuseppe Papalia, detto u carciutu, e di Serafina Barbaro, rappresentavano la perfetta unione delle due famiglie che componevano la cosca. Secondo quello che ha raccontato un pentito di ’ndrangheta, Saverio Morabito, la forza del clan è proprio quella dei matrimoni incrociati tra famiglie: non solo i Papalia e i Barbaro ma anche i Sergi, i Trimboli, i Paparo.
La ‘ndrina Papalia-Barbaro a metà anni Settanta entrò in guerra con il cosiddetto gruppo degli “zingari”. Il 9 ottobre 1976 venne ucciso davanti allo Skylab, una discoteca di via Massarani a Milano, Giuseppe De Rosa, uno dei capi del clan. Il delitto rimase irrisolto fino al 2012 quando nel corso di un’intercettazione effettuata durante l’inchiesta Platino, condotta dai carabinieri contro la ’ndrangheta in Lombardia, si scoprì che a sparare era stato Rocco Papalia, detto u ‘nginu, già detenuto in carcere per traffico di stupefacenti e sequestro di persona. Papalia scelse il rito abbreviato e fu condannato a 30 anni. È stato l’unico dei tre fratelli a non essere stato condannato all’ergastolo.
I Papalia-Barbaro vinsero la guerra contro il clan rivale e da Buccinasco estesero il loro controllo su Corsico, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Gaggiano. Controllavano il traffico di droga e le estorsioni, poi negli anni Ottanta iniziarono a fare affari nel campo dell’edilizia. Capi del clan erano Domenico e Antonio Papalia, entrambi tuttora in carcere: il primo è ancora il boss riconosciuto, il secondo oggi si dedica soprattutto alla poesia, e partecipa a concorsi letterari.
Domenico Papalia è in carcere ininterrottamente dal 1977, ma secondo i magistrati ha sempre gestito comunque gli affari del clan indirizzando gli affiliati rimasti in libertà. Uno degli ergastoli che ha ricevuto è legato all’omicidio nel 1990 di Umberto Mormile, educatore del carcere di Opera che si sarebbe rifiutato di stilare una relazione favorevole per fargli avere permessi premio. Ne aveva già ricevuto uno nel 1984 per l’omicidio di Antonio D’Agostino, boss emergente della ’ndrangheta, e un altro per aver ordinato l’omicidio dell’avvocato Pietro Labate, ucciso a Milano nel 1983. Nel 2017 la Corte d’Assise di Perugia ribaltò però totalmente la decisione presa dai giudici nel 1984, concludendo che non era stato Papalia a ordinare l’omicidio di D’Agostino né, secondo una perizia balistica, poteva essere stato lui a sparare. Don Micu rimane però in carcere, nonostante i molti appelli in suo favore e il fatto che sia malato.
Chi invece è uscito dal carcere dopo 25 anni, nel 2017, è Rocco Papalia, tornato a vivere a Buccinasco. Anche solo per un fatto anagrafico dovrebbe essere lui a comandare sul clan: ma la ‘ndrina, così come in generale tutte le cosche che operano nel Nord Italia, ha scelto da tempo un “basso profilo”. «Gli affiliati del clan», dice il sindaco Pruiti, «vivono qui, non se ne sono certo andati. Ma gli affari li fanno altrove, vogliono che il posto in cui abitano sia un luogo tranquillo». Dietro ai tre fratelli ci sono le nuove leve (il capo designato, Pasqualino, figlio di don Micu, morì nel 1993 per un proiettile vagante sparato durante i festeggiamenti di Capodanno).
Rocco Papalia è tornato con la moglie a vivere nella villetta dove ha sempre abitato. Una parte dell’edificio, due appartamenti, una taverna e un box, sono stati però confiscati: fanno parte degli oltre venti beni che a Buccinasco sono stati sequestrati alla ’ndrangheta. Nella parte confiscata il comune ha aperto un centro per minori: a Rocco Papalia la cosa non è piaciuta e se l’è presa con il sindaco. «È inutile che (Pruiti, ndr) dice mafia, mafia. Dice che la mafia a Buccinasco ha perso. Ha perso perché non è mai esistita» ha detto Papalia, sostenendo di aver fatto molto più per Buccinasco rispetto a chiunque altro: «Ho fatto più del sindaco perché io, coi miei mezzi di movimento terra, ho costruito mezza Buccinasco. Se c’è qualcuno che se ne deve andare è lui».
Papalia ha anche intentato una causa civile al comune perché vuole l’uso esclusivo del cortile della palazzina in cui abita e in cui deve convivere con il centro per minori. Ha detto che il cortile gli serve per fare grigliate e stendere i panni. Il sindaco Pruiti ha scherzato, ma nemmeno troppo: «Sono in causa con la ’ndrangheta», ha detto. Finora il giudice ha rimandato la decisione. I Papalia e il comune di Buccinasco, a prescindere da chi vincerà il 12 giugno, si troveranno di nuovo l’uno contro l’altro in tribunale il prossimo 15 settembre.