La battaglia legale per l’immagine di Einstein
L'uso del suo volto per scopi commerciali sta facendo arricchire chi ne detiene i diritti, ma probabilmente il celebre scienziato non avrebbe approvato
Una delle fotografie più famose e rappresentative di Albert Einstein, probabilmente lo scienziato più importante del Ventesimo secolo, è quella che fu scattata il 14 marzo del 1951 dopo la festa del suo 72mo compleanno, in cui rivolge il proprio sguardo verso l’obiettivo facendo una linguaccia. Oggi chiunque voglia utilizzare per scopi commerciali questa o altre immagini del celebre fisico tedesco deve però fare richiesta all’organizzazione che detiene i suoi diritti, oppure rischia di incorrere in lunghe e complesse cause legali.
Quando era in vita Einstein fu particolarmente attento all’uso che veniva fatto del suo nome e della sua immagine. Vari decenni dopo la sua morte – avvenuta il 18 aprile del 1955 – lo sfruttamento commerciale della sua immagine è invece al centro di varie critiche: come ha raccontato di recente il Guardian, probabilmente il celebre scienziato non ne sarebbe stato troppo contento.
Einstein fu conosciuto e ammirato per il suo genio e per la personalità carismatica, così come per il suo aspetto eccentrico e inusuale, contraddistinto dai capelli scompigliati e dai baffi folti e disordinati. Dopo la morte il suo testamento chiarì che tutti i suoi manoscritti, le pubblicazioni e i diritti d’autore dovessero essere riconosciuti alla segretaria Helen Dukas e alla figliastra Margot Einstein, e che al momento della loro morte sarebbero passati all’Università Ebraica di Gerusalemme, che aveva contribuito a fondare nel 1918. Il testamento però non conteneva alcuna indicazione su come dovesse essere gestita la sua immagine dopo la morte o se potesse essere associata a pubblicità di qualsiasi tipo di prodotto.
A ogni modo, da metà anni Ottanta l’Università Ebraica di Gerusalemme cominciò a decidere chi potesse usare il nome e l’immagine dello scienziato per preservarne il ricordo e l’importanza e soprattutto a quale prezzo, facendo valutare di volta in volta a una commissione interna le proposte che arrivavano dalle varie società che erano interessate a farlo.
Nel 1997 Apple pagò 600mila dollari per avere il permesso di utilizzare una fotografia di Einstein in una pubblicità insieme al famoso slogan “Think different” (pensa in maniera diversa), mentre nel 2005 la Walt Disney Company accettò di spendere più di 2,5 milioni di dollari per una licenza della durata di 50 anni che le dava il diritto di chiamare “Baby Einstein” una linea di libri e DVD educativi per bambini.
Molte aziende che hanno utilizzato la faccia di Einstein per stamparla sulle T-shirt o per farla finire su poster, libri o altri prodotti senza l’apposita autorizzazione invece hanno dovuto affrontare lunghe e onerose cause legali.
Nonostante sia morto da oltre sessant’anni, in tempi recenti Einstein è comparso per 12 anni consecutivi nella classifica dei personaggi famosi non più in vita più ricchi messa insieme da Forbes, con una media di 12,5 milioni di dollari guadagnati ogni anno. Secondo una stima citata dal Guardian, nel tempo l’Università Ebraica di Gerusalemme avrebbe incassato circa 250 milioni di dollari rivendicando i diritti associati alla sua immagine.
Tutto ciò fu possibile grazie a Roger Richman, un avvocato americano che si era costruito un’intera carriera proprio attorno alla gestione dei diritti delle celebrità morte, partendo dal comico statunitense W.C. Fields e arrivando ad avere tra i propri “clienti” Marilyn Monroe, Bela Lugosi e Sigmund Freud. Richman, che nel 1984 contribuì peraltro alla stesura della legge della California sulla regolamentazione dei diritti dei personaggi famosi morti (il “California Celebrity Rights Act”), decise di dedicarsi anche a quelli di Einstein, che peraltro era stato un amico di suo padre Paul.
Richman cominciò a raccogliere pubblicità, foto di prodotti e articoli di giornale che raffiguravano Einstein, mandandoli all’esecutore testamentario del celebre scienziato, suggerendo di trovare un modo per «prevenire questo tipo di abusi». L’esecutore testamentario a sua volta inoltrò il materiale all’Università Ebraica, che quindi nominò Richman «agente esclusivo mondiale» di Einstein, incaricandolo di occuparsi dei suoi diritti e firmando con lui un accordo di collaborazione. L’università cominciò a incassare una commissione del 65 per cento su ogni contratto concluso da Richman per l’utilizzo dell’immagine dello scienziato, e metà delle somme ottenute in caso di vittoria nelle cause legali contro le aziende che l’avevano usata senza permesso.
L’Università e Richman stabilirono anche rigidi criteri che riguardavano come e quando il nome o la faccia di Einstein potessero essere usati a scopi commerciali. Nessuna sua immagine doveva essere associata a tabacco, alcol o gioco d’azzardo, come non poteva essere accompagnata da citazioni inventate; si poteva invece sfruttare per affiliazioni che esaltassero la figura di Einstein come «fisico, benefattore, filosofo e pacifista», ma sempre dietro concessione dell’Università e il pagamento di una licenza.
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Richman e l’Università Ebraica sostenevano di operare in questo modo sia per un diritto legale che per un dovere morale, cioè quello di impedire che un’azienda si potesse approfittare dell’immagine di Einstein facendone un uso ritenuto da loro inappropriato. Vari critici dal canto loro accusarono sia l’avvocato sia l’università di essere opportunisti che sfruttavano questi diritti precisamente per trarne profitto.
A complicare la faccenda ci fu il fatto che Einstein morì nel New Jersey, uno degli stati americani in cui non esiste una legge che stabilisce la durata precisa dei diritti relativi all’immagine di una persona defunta, che in altri stati cessano alcuni anni dopo la sua morte (in Virginia dopo vent’anni e in Indiana dopo cento, per esempio). Nei primi anni Duemila Richman convinse peraltro l’Università Ebraica a depositare il marchio registrato “Albert Einstein” per quasi 200 prodotti, racconta il Guardian, tra cui ombrelli, giocattoli e decorazioni natalizie.
Varie persone hanno osservato però che probabilmente Einstein avrebbe disapprovato il modo in cui la sua immagine è stata gestita dopo la sua morte. Una di queste è Ze’ev Rosenkranz, storico e curatore dell’archivio di Einstein all’Università Ebraica di Gerusalemme, che fino al 2003 era la persona che aveva l’ultima parola nella decisione di concedere o meno un permesso per usare l’immagine dello scienziato. Secondo Rosenkranz, Einstein sarebbe stato contrario a prestare la propria immagine nella maggior parte dei casi in cui è stata utilizzata dopo la sua morte, se non tutti, anche perché generalmente quando era in vita si era dimostrato restio ad associarsi a iniziative o attività per scopi puramente commerciali.
Nel 2011 anche la nipote adottiva di Einstein, Evelyn, decise di citare in giudizio l’Università Ebraica, dicendosi «offesa» dal fatto che l’istituto avesse guadagnato milioni di dollari rilasciando i permessi per commercializzare prodotti che sfruttavano l’immagine dello scienziato, che probabilmente avrebbe disapprovato. Evelyn Einstein, figlia adottiva del secondo figlio di Einstein (Hans Albert), propose all’università di trovare un accordo economico per potersi permettere le proprie spese mediche; morì pochi mesi dopo, a 70 anni, prima di poter arrivare in tribunale.
Rosenkranz, intervistato dal Guardian, ha detto che forse Einstein sarebbe stato contento di sapere che l’università si è potuta finanziare attraverso la sua immagine. Poi però, riferendosi soprattutto alla questione dei marchi registrati («Non c’è simbolo migliore della commercializzazione e della mercificazione, non è vero?») ha concluso che «probabilmente gli avrebbe dato fastidio. No, non sono sicuro che ne sarebbe stato contento».
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