Chi è Rocco Morabito, il capo della ‘ndrangheta che sarà estradato in Italia
Era il secondo, dopo Matteo Messina Denaro, nella lista dei latitanti più pericolosi, ed era stato arrestato un anno fa in Brasile
Rocco Morabito, uno dei più importanti narcotrafficanti del mondo e fino a un anno fa – quando fu arrestato in Brasile – secondo ricercato italiano più pericoloso, sarà presto estradato in Italia. La Corte federale brasiliana ha infatti respinto il ricorso degli avvocati che si erano opposti alla decisione, presa due mesi fa. Morabito è un capo della ‘ndrangheta celebre e temuto che, da giovanissimo, venne mandato dal suo clan a Milano per gestire gli affari nel Nord Italia e organizzare la rete del traffico di sostanze stupefacenti dall’America Latina all’Europa. A lungo è stato definito dai giornali «il re della cocaina di Milano».
Quando venne arrestato, il 24 maggio 2021 a João Pessoa, in Brasile, risultava essere il numero due nella lista dei latitanti di massima pericolosità del ministero dell’Interno, subito dopo Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, considerato il capo dei corleonesi e quindi della mafia siciliana.
Rocco Morabito è originario di Africo, nella locride, in provincia di Reggio Calabria, fa parte della ‘ndrina che porta il suo cognome e che ha ramificazioni in Italia a Milano, Varese, Como, Genova, oltre che in vari paesi europei e in Sud America. A comandare la cosca è stato a lungo Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu. Fu lui a stringere forti alleanze con altri clan calabresi ma anche con la mafia corleonese. Secondo alcuni pentiti Totò Riina trascorse alcuni periodi della sua latitanza ad Africo, protetto proprio dai Morabito: quando usciva e girava in paese, secondo le testimonianze, si vestiva da prete.
Nel 1982 un membro della famiglia, Santo Pasquale Morabito, fu mandato in un paese dell’hinterland milanese al soggiorno obbligato, come forma di provvedimento giudiziario nel tentativo di isolarlo dall’ambiente in cui era radicata la sua organizzazione criminale. Da lì però iniziò a creare contatti per allargare traffici e interessi anche al Nord Italia. Le inchieste a carico della ‘ndrina svelarono che la cocaina arrivava davanti alle coste calabresi a bordo di navi provenienti dal Sud America: veniva scaricata in mare e poi recuperata dagli uomini del clan che la inviavano nei laboratori perché venisse raffinata.
Nel 1996 l’erede designato di Giuseppe Morabito, il 39enne Domenico, venne ucciso ad Africo. Dopo lunghi appostamenti era stato catturato, ammanettato e caricato in auto dai carabinieri in borghese. La macchina fu circondata da molti abitanti del paese che protestavano contro l’arresto: i carabinieri spararono in aria e l’auto, senza contrassegni, andò via ad alta velocità. Superò quindi un’auto ferma a bordo strada, i cui occupanti intimarono di fermarsi: era una pattuglia del Nucleo anticrimine della polizia di Stato. I carabinieri non si fermarono, i poliziotti spararono e Domenico Morabito venne colpito da un proiettile che penetrò nella nuca e uscì dalla fronte. La storia è raccontata nel dettaglio nel libro La mala vita, scritto con Flavia Piccinni da Nino Maressa, carabiniere del Ros che per dieci anni è stato operativo in Calabria nella lotta alla ‘ndrangheta.
Il capo della cosca, Giuseppe Morabito u tiradrittu, venne arrestato nel 2004.
Intanto da tempo Rocco Morabito, parente del boss e nipote di Domenico Antonio Mollica, altro capo dell’organizzazione, aveva iniziato a mettersi in evidenza all’interno del clan. Nato nel 1966, nella seconda metà degli anni Ottanta era stato mandato a Messina per seguire alcuni traffici della famiglia nella zona. Si era anche iscritto all’università, alla facoltà di Economia e Commercio. Erano gli anni in cui i clan mandavano i giovani affiliati a studiare, soprattutto economia, in modo che fossero poi pronti a gestire anche traffici e affari complessi. Lo arrestarono nel 1988 per aver minacciato pesantemente, durante un esame, un suo professore. Le cronache raccontarono che aveva appoggiato una pistola sulla cattedra.
Scarcerato, tornò poi ad Africo ma non ci restò molto. Fu in quei mesi che iniziarono a chiamarlo u tamunga perché girava a bordo di un fuoristrada tedesco di fine anni Sessanta, utilizzato anche dall’esercito della Germania Ovest, il DKW Munga. A metà degli anni Ottanta iniziò la cosiddetta faida di Motticella (una frazione di Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria), guerra intestina al clan Morabito e ai clan alleati. Nel 1989 fu ucciso Leo Morabito, fratello di Rocco.
Nel 1991 Rocco Morabito visse per un certo periodo in Campania a Sessa Aurunca, protetto da alcuni camorristi attraverso i quali cominciò a prendere contatto con le organizzazioni internazionali. Nel 1991 arrivò a Milano, al seguito dello zio Domenico Antonio Mollica. Risultava residente in via Bordighera, nella zona sud della città, anche se secondo le indagini della polizia la sua base operativa era a Casarile, al confine tra Milano e Pavia, in una villetta a schiera che ora, come bene sequestrato alla mafia, è biblioteca comunale.
Rocco Morabito divenne presto il più importante broker italiano nel commercio di cocaina. Tra Milano e Pavia girava con autista e guardie del corpo, frequentava locali notturni spesso in compagnia dell’amico Hassen Khamayis, giordano, sospettato di traffico internazionale di droga e armi e parente di Waleed Issa Khamayis, detto “il Palestinese” perché aveva militato nel Fronte di liberazione della Palestina. Waleed Issa Khamayis visse a lungo a Bovalino, nella locride, ed era a tutti gli effetti un membro autorevole della ‘ndrangheta.
Nel 1994, durante l’operazione Fortaleza, molti appartenenti alla ‘ndrangheta del Nord Italia vennero arrestati. Rocco Morabito, che già viaggiava spesso tra Milano e Fortaleza, in Brasile, per gestire i traffici di cocaina, divenne latitante spostandosi tra vari paesi del Sud America. Assunse il nome di Francisco Antonio Capeletto Souza, cittadino brasiliano. Continuava a essere capo del suo clan e a coordinare il traffico di cocaina verso l’Europa.
Fu individuato in Uruguay, dove viveva tra Montevideo e Punta del Este. Lo trovarono grazie a una leggerezza per un latitante: aveva iscritto la figlia a scuola utilizzando il suo vero nome. Lo arrestarono nel settembre del 2017 mentre dormiva in un albergo perché aveva litigato con la compagna. Il suo avvocato, Alejandro Balbi, disse: «Dal 1994, il mio cliente ha una vita normale e non ha nulla a che fare con attività delittuose o organizzazioni criminali».
Morabito evase due anni dopo dal carcere di Montevideo. Secondo l’inchiesta della magistratura uruguayana pagò poco più di 500 dollari a testa ad alcune guardie carcerarie perché lo aiutassero. Fu arrestato di nuovo dopo due anni di latitanza in Brasile, il 24 maggio 2021. Era a João Pessoa, nello stato di Paraíba, assieme a un altro ricercato della ‘ndrangheta, Vincenzo Pasquino. L’operazione fu eseguita dal Ros dei carabinieri, Raggruppamento operativo speciale, con la polizia brasiliana e l’FBI americana. Due giorni fa la Corte suprema brasiliana ha confermato la decisione di estradare Morabito in Italia. La Corte ha ricordato alle autorità italiane che dovrà essergli applicata una pena massima di 30 anni, secondo le leggi brasiliane.
Ora, nella lista dei ricercati di massima pericolosità appartenenti alla ‘ndrangheta, il posto di Rocco Morabito è stato preso da Pasquale Bonavota, capo dell’omonima ‘ndrina di Sant’Onofrio, nel vibonese, con ramificazioni soprattutto in Piemonte, tra Torino, Moncalieri e Carmagnola.