Il PSG fa quello che vuole
Ogni anno sposta l’asticella di quanto può spendere una squadra di calcio: succede se dietro si ha uno stato ricchissimo a cui non interessano le perdite
In Francia il campionato di calcio è stato vinto dal Paris Saint-Germain già ad aprile, eppure l’ultima giornata, disputata il 21 maggio, era ugualmente attesa per la decisione di Kylian Mbappé (che in molti hanno paragonato a quella di LeBron James, dodici anni fa). L’attaccante francese, uno dei giocatori più ambiti dai club europei e più amati dalle nuove generazioni, era in scadenza di contratto e da mesi sembrava dovesse finire al Real Madrid. Quando però è arrivato il momento di decidere, ha scelto di restare al PSG, la squadra della sua città.
Mbappé ha spiegato di essere stato vicino al Real Madrid, ma di aver scelto di restare perché il PSG è la sua squadra e la Francia il paese in cui vuole vivere. Secondo le ricostruzioni più condivise, a convincerlo sarebbero stati familiari e conoscenti, addirittura un intervento del presidente francese Emmanuel Macron, ma soprattutto la famiglia reale qatariota proprietaria del PSG, determinatissima a tenerlo accanto agli altri due campioni già in squadra, il brasiliano Neymar e l’argentino Lionel Messi. Insieme, i tre giocatori sono l’immagine nel mondo del PSG e lo saranno anche dei Mondiali in Qatar, voluti e organizzati a qualsiasi costo dalla stessa famiglia reale.
Non si sa di preciso quali accordi Mbappé abbia strappato alla proprietà del PSG e difficilmente si conosceranno, ma con ogni probabilità sono superiori a quelli che il Real Madrid era disposto a concedergli, ovvero 25 milioni di euro netti a stagione e un bonus alla firma di 100 milioni lordi.
Il mancato trasferimento di Mbappé al Real Madrid ha segnato un altro momento di scontro tra il campionato spagnolo e il PSG, dopo quello nato dal trasferimento di Neymar da Barcellona a Parigi nel 2017. In un comunicato pubblicato il 21 maggio, la dirigenza della Liga ha scritto: «Questi accordi attaccano la stabilità economica del calcio europeo, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e l’integrità dello sport, non solo nelle competizioni continentali, ma anche nei campionati nazionali». Il comunicato prosegue dicendo: «È uno scandalo che un club come il PSG, che nella passata stagione ha avuto perdite per più di 220 milioni di euro — e prima ancora di 700 milioni complessivi — abbia una squadra che costa 650 milioni e possa ancora concludere accordi del genere».
Il campionato spagnolo ha quindi presentato un esposto alla UEFA per violazioni delle norme finanziarie — come aveva fatto in passato ottenendo inizialmente delle sanzioni, annullate però dal Tribunale Arbitrale dello Sport — in difesa dei «club che avrebbero potuto permettersi l’ingaggio di Mbappé senza compromettere i loro bilanci». In questo caso la Liga fa un chiaro riferimento al Real Madrid e indica qual è il punto della questione, da parte sua: non la quantità di soldi che una squadra decide di investire, anche su di un singolo giocatore, ma la sostenibilità di questi investimenti e la conformità con le regole che dovrebbero mantenere un minimo di competitività nel calcio europeo.
Prima della pandemia il Real Madrid era una delle squadre di calcio con il fatturato più alto al mondo e si stava avvicinando, anno dopo anno, al miliardo di entrate a stagione. Il PSG nel 2019 aveva toccato il punto più alto della sua storia con oltre 600 milioni di euro di fatturato, reso però possibile in gran parte da entrate derivate da gruppi qatarioti legati alla sua proprietà, una pratica che la UEFA ha poi interrotto o perlomeno limitato.
– Leggi anche: Ma come fa il PSG?
Nell’ultimo anno, a causa della pandemia, i ricavi sono generalmente calati, ma il Real Madrid rimane fra le prime squadre al mondo, con 640 milioni di fatturato nel 2021, mentre il PSG resta dietro, con entrate per poco più di 500 milioni. Eppure quest’ultima continua a spendere più di ogni altra squadra in Europa, tanto da essere riuscita a riunire i tre giocatori più tifati e famosi al mondo — ad eccezione di Cristiano Ronaldo — senza peraltro ottenere i successi che si aspettavano, anche a causa dell’evidente sbilanciamento offensivo della squadra costruita.
Quello che sembra dividere maggiormente il PSG da club che spendono altrettanto come Real Madrid, Barcellona (almeno prima della sua crisi finanziaria) e Manchester City (altra squadra con proprietà riconducibile a una famiglia reale, degli Emirati Arabi Uniti) è la natura dell’investimento. Le prime due hanno una storia solidissima e sono arrivate ad essere quello che sono in oltre un secolo di vittorie. Come il City, competono per vincere e per ottenere profitti, e spesso ci riescono. Nel PSG la ricerca del profitto è stata spesso veicolata da stratagemmi e il costo della vittoria è spropositato: nella passata stagione, per arrivare secondo in campionato dietro il piccolo Lille, spese in media 6 milioni di euro per ogni punto ottenuto in campionato, più di qualsiasi altra squadra in Europa. E questo prima di ingaggiare Messi, Donnarumma, Ramos e Hakimi in una sola estate.
Da quando è di proprietà del Qatar, la condotta economica del PSG è finita sotto esame più volte, ma il club ha sempre evitato le sanzioni più pesanti. Nel 2014 venne inizialmente punito per aver alzato gli incassi attraverso contratti di sponsorizzazione stipulati con società vicine o controllate dalla proprietà stessa, ma già l’anno successivo le sanzioni vennero alleggerite per “premiare” la nuova condotta della società, che fra le altre cose dovette diminuire la ricchissima sponsorizzazione della Qatar Tourism Authority, ente governativo legato alla proprietà.
Negli ultimi due anni le perdite causate dalla pandemia hanno spinto la UEFA ad alleggerire le sue norme finanziarie come forma di sostegno ai club. Inoltre, il cosiddetto Fair play finanziario è in una fase di revisione che di fatto sta creando un vuoto normativo, in attesa del nuovo regolamento che entrerà in vigore dalla stagione 2023/2024. Il PSG, come successo in passato, sta approfittando di questa zona grigia e da oltre un anno è tornato a spendere con grande disinvoltura: nel mezzo della pandemia si è permesso l’ingaggio del più famoso giocatore al mondo, Messi, e poi ha convinto Mbappé a restare.
Alla presentazione di Messi, il presidente Al-Khelaifi disse: «Seguiamo i regolamenti finanziari fin dal primo giorno. Prima di agire esaminiamo sempre gli aspetti commerciali e finanziari delle operazioni. Sapevamo di poter ingaggiare Messi e oggi quello che Messi sta portando al club è enorme». Nel resto del calcio europeo, però, quello che sta facendo il PSG viene definito sempre più spesso come «doping finanziario» sostenuto da uno stato minuscolo con meno di 3 milioni di abitanti che però può contare sul nono fondo sovrano più ricco al mondo e una disponibilità di oltre 320 miliardi di dollari, che rende ininfluenti anche le perdite più grosse di un investimento secondario e non strategico come il PSG.
Anni fa l’ambasciatore statunitense a Doha scrisse in un rapporto che il Qatar «si sarebbe trovato con talmente tanti soldi da non saperne cosa fare». Una parte di quel gigantesco surplus è stata impiegata nello sport e soprattutto nel calcio, ritenuto uno dei mezzi più immediati ed efficaci per ottenere visibilità, e in particolare buona visibilità. Queste ambizioni hanno portato all’assegnazione di un Mondiale che si dovrà giocare in inverno per la prima volta e in luoghi in cui prima del 2010 non c’era nulla se non deserto. L’acquisto del PSG fu concluso l’anno successivo, e da allora la squadra parigina è diventata di fatto l’investimento che ha introdotto il Qatar nel calcio in attesa dei Mondiali.