L’occupazione russa dell’ex centrale di Chernobyl
È durata più di un mese e ha creato diversi problemi, a causa della scarsa attenzione per la sicurezza e di saccheggi di parti del sito
Nelle prime settimane dell’invasione dell’Ucraina, uno degli episodi più commentati e preoccupanti era stata l’occupazione da parte delle forze russe dell’ex centrale di Chernobyl, quella danneggiata nel catastrofico incidente del 1986. Il sito contiene materiale radioattivo e ha bisogno di costanti e regolari operazioni di manutenzione: nei giorni dell’occupazione, durata oltre un mese, arrivavano pochissime notizie e non era chiaro quanto la presenza militare russa avrebbe potuto provocare danni.
Non è successo, ma i russi hanno comunque creato vari problemi e ostacolato il normale svolgimento delle operazioni, oltre ad aver corso loro stessi alcuni rischi, su cui probabilmente non erano stati adeguatamente informati.
I russi erano arrivati a Chernobyl il 24 febbraio, all’inizio dell’invasione. Avevano fatto prigionieri i soldati ucraini che sorvegliavano l’ex centrale ed era poi iniziata una lunga contrattazione col personale addetto alla manutenzione su come gestire l’occupazione. Le maggiori preoccupazioni riguardavano il combustibile esausto conservato nel sito: per evitarne la dispersione servono operazioni che possono essere fatte solo da personale esperto, come era quello ucraino.
Valentin Geiko, uno dei dirigenti della centrale, ha raccontato all’Economist che le negoziazioni per la gestione dell’ex centrale erano andate avanti per quasi tre ore, e che lui e gli altri membri del personale avevano «stancato» i russi con descrizioni di protocolli, imprevisti e possibili incidenti dagli effetti devastanti per convincerli a lasciare a loro la direzione delle operazioni. La contrattazione era andata a buon fine e durante l’occupazione russa il controllo della manutenzione era rimasto agli ucraini. La presenza dei soldati russi, però, aveva causato altri problemi.
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Valerii Semenov, responsabile della sicurezza del sito di Chernobyl, ha raccontato che ai soldati russi erano stati rilasciati 170 pass per entrare nella centrale, solo 15 dei quali per accedere alle aree in cui ci sono le scorie nucleari. In molti casi però questi accordi non sono stati rispettati: Semenov ha raccontato che i russi aprivano tutte le porte e i cancelli che trovavano ed entravano anche dove non dovevano, nonostante i richiami e le raccomandazioni.
I problemi maggiori erano stati nei laboratori e negli uffici circostanti le parti più pericolose della centrale dimessa, dove i russi avevano invece mantenuto un atteggiamento più cauto: i soldati, ha detto Semenov, mettevano a soqquadro laboratori e uffici, rubavano computer, telecamere e apparecchiature di vario tipo, inclusi oggetti quotidiani come bollitori e posate dalle mense, oltre ad automobili, macchinari e attrezzature per il trasporto delle scorie nucleari. In sostanza qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Alcuni funzionari dell’azienda nucleare russa Rosatom, che erano arrivati a Chernobyl insieme ai soldati, si erano messi invece a spostare e rimuovere varie casse di materiali, secondo Semenov cercando prove del fatto che la centrale venisse usata come laboratorio di armi biologiche dagli americani, come suggerito dalla propaganda del governo russo. Una cuoca della centrale ha raccontato che, nelle pause in cui fumavano sigarette e scambiavano qualche parola col personale ucraino, i soldati russi chiedevano continuamente dove fossero le basi NATO, o gli estremisti che loro erano lì per cacciare. Oppure chiedevano come mai gli ucraini non volessero in nessun modo la pace. O anche si stupivano quando scoprivano che alcuni membri dello staff erano nati in Russia.
Altri ammettevano semplicemente di non sapere perché si trovassero lì, e sembrava che non avessero idea di quanto quel luogo fosse potenzialmente pericoloso, coerentemente con la scarsa attenzione dedicata dal governo russo al disastro del 1986 e alle sue conseguenze, sia nell’immediato che negli anni successivi.
Semenov ha raccontato che alcuni chiedevano dove comprare le sigarette, stupiti del fatto che lì intorno – una zona lontana dai centri abitati e controllatissima – non ci fossero negozi. Altri, ed è una cosa di cui nelle scorse settimane si è parlato molto, si muovevano liberamente nella cosiddetta “Foresta rossa”, un’area intorno al sito con livelli altissimi di radioattività, con bulldozer e mezzi corazzati, spesso senza indossare alcuna protezione e rischiando di sollevare polvere radioattiva. Se inalata, la polvere può creare danni all’organismo umano. Alcune foto e immagini satellitari mostrano che in quell’area i russi avevano scavato anche trincee, come raccontato in diverse occasioni anche dal personale ucraino.
Tempo fa Semenov aveva raccontato anche che a un certo punto un soldato russo aveva maneggiato senza guanti un oggetto che conteneva cobalto-60 – un materiale estremamente pericoloso – che era custodito in un deposito: nel giro di pochi secondi il contatore Geiger, lo strumento che misura la radioattività, aveva segnalato livelli altissimi.
Semenov ha spiegato che, nei giorni dell’occupazione, gran parte del suo lavoro è consistito nel cercare di evitare che coi soldati russi si creassero situazioni di eccessiva tensione, per concentrare il più possibile gli sforzi nel lavoro quotidiano di manutenzione. A volte «dovevo anticipare qualsiasi possibile malumore», ha detto Semenov, per evitare che iniziassero liti.
E anche se in effetti non sembrano esserci stati grossi scontri tra le due parti, il normale svolgimento delle attività è stato ostacolato prima di tutto dal fatto che c’era bisogno di negoziare coi russi ogni giorno, anche nelle operazioni quotidiane, compiute quindi con molta meno autonomia e facilità del solito. Per 25 giorni i russi avevano anche interrotto la rotazione dei turni del personale, che di solito cambia una volta a settimana, per ragioni di sicurezza: significa che gli ucraini che erano presenti nell’ex centrale al momento dell’arrivo dei russi ci sono rimasti, lavorando praticamente senza sosta, per quasi un mese.
Quanto la presenza russa avesse intralciato il normale svolgimento dei lavori all’ex centrale si era visto soprattutto nei giorni in cui era saltata la corrente a inizio marzo, non è ancora chiaro se per un sabotaggio o meno. Era stato un evento molto preoccupante: a Chernobyl ci sono ancora 22mila barre di combustibile esaurito, che devono essere mantenute a temperatura ambiente per evitare il rilascio di radiazioni. Normalmente queste barre vengono conservate in vasche d’acqua fresca, e per mantenerla tale c’è bisogno di elettricità.
Il blackout era durato tre giorni. Per cercare di risolvere il problema e far funzionare i generatori di emergenza si erano resi necessari una serie di rapidi e coordinati andirivieni di membri del personale da e per l’ex centrale: in parte tutti questi movimenti erano stati rallentati dai controlli ai vari checkpoint nei dintorni, o dalle incomprensioni, e a volte tensioni, coi soldati, che poi in un secondo momento avevano assistito gli ucraini nelle operazioni. Nel frattempo, ha raccontato Semenov, i generatori di corrente avevano bisogno costante di rifornimento di carburante, mediamente ogni quattro ore.
I russi hanno iniziato a ritirarsi da Chernobyl il 31 di marzo, portando con sé alcuni soldati ucraini come prigionieri di guerra. Mentre se ne andavano, ha raccontato Semenov, i pneumatici dei loro mezzi militari sollevavano altra polvere radioattiva. Gli ultimi soldati se ne sono andati il 2 aprile.
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