A che punto sono le indagini sull’incidente alla funivia del Mottarone
A breve sono attese le perizie che dovrebbero indicare i motivi per cui un anno fa si staccò la cabina uccidendo 14 persone
Entro il 30 giugno i periti incaricati dovranno consegnare le relazioni con i risultati degli esami tecnici effettuati sulla cabina 3 della funivia del Mottarone, precipitata un anno fa, il 23 maggio 2021, nell’incidente che uccise 14 dei 15 passeggeri a bordo. Il 14 luglio si svolgerà poi l’incidente probatorio, cioè il procedimento con cui si anticipa e si acquisisce la formazione di una prova (in termini legali si dice “cristallizzare”) emersa durante le indagini, e prima del processo vero e proprio. In realtà, le perizie dovevano essere consegnate entro la fine del 2021, ma la prima scadenza del 16 dicembre per discutere dei risultati era saltata.
Il lavoro dei tecnici è stato lungo e complesso e la cabina era stata rimossa da dove era precipitata solo l’8 novembre scorso. Questo aveva ritardato lo svolgimento delle perizie che fino a quel momento gli incaricati dell’accusa, della difesa, delle parti civili e del giudice per le indagini preliminari avevano dovuto svolgere nel luogo dell’impatto.
L’incidente della funivia Stresa-Alpino-Mottarone avvenne circa alle 12.30, quando si spezzò la fune traente dell’impianto, cioè il cavo che fa muovere la cabina. La rottura della fune avvenne quando la cabina stava per entrare nella stazione d’arrivo: improvvisamente la funivia iniziò ad andare indietro. Il freno d’emergenza, che avrebbe dovuto entrare in funzione, non si attivò. La cabina acquistò sempre maggiore velocità e quando incrociò uno dei piloni del tracciato si sganciò dalla fune portante e si schiantò al suolo dopo una caduta di venti metri, rotolando poi lungo il pendio fino a fermarsi contro alcuni alberi.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, che anticipa in parte le conclusioni di una delle perizie, la fune si sarebbe rotta vicino alla “testa fusa”, cioè il dispositivo che aggancia la cabina della funivia alla fune stessa. Quest’ultima non si sarebbe spezzata di netto ma rotta progressivamente a causa della corrosione interna. Sempre secondo quanto riportato dal Corriere la corrosione avrebbe potuto essere individuata attraverso la manutenzione.
La testa fusa deve essere sottoposta a controlli ogni tre mesi da parte di tecnici specializzati: deve essere smontato il manicotto che la protegge sostituendo il grasso in modo da proteggerla da eventuali infiltrazioni d’acqua. È la parte considerata più fragile dell’intero meccanismo: per legge la testa fusa deve essere sostituita ogni 5 anni. Quella della funivia del Mottarone avrebbe dovuto essere sostituita nell’ottobre del 2021, cinque mesi dopo l’incidente. Il processo dovrà però accertare se furono fatti i controlli periodici rispettando le scadenze previste, e capire come mai non fu rilevato il deterioramento.
Un altro elemento che venne evidenziato subito dalle indagini e che molto probabilmente ebbe un ruolo nell’incidente fu la presenza tra i rottami della funivia di oggetti simili a pinze, chiamati “forchettoni”. Si tratta di strumenti che servono a bloccare il freno di emergenza, ma non dovrebbero mai essere presenti se l’impianto è in movimento. Durante i primi interrogatori il capo degli operai della funivia, Gabriele Tadini, aveva ammesso di averli inseriti perché il sistema frenante non funzionava bene, e i forchettoni evitavano i continui blocchi dell’impianto. Tadini fece anche i nomi di chi era a conoscenza della cosa. Se i freni fossero entrati in funzione, anche dopo la rottura della fune, la cabina si sarebbe fermata quasi subito e non sarebbe corsa all’indietro per poi precipitare.
Le indagini sull’incidente erano state affidate alla procura di Verbania, che come prima cosa ordinò il sequestro dell’impianto. Il 25 maggio vennero convocati in procura alcuni dipendenti della società Ferrovie del Mottarone, che gestiva in concessione la funivia. Il titolare, Luigi Nerini, ed Enrico Perocchio, direttore di esercizio, furono inizialmente sottoposti al fermo, ma vennero scarcerati tre giorni dopo su decisione della giudice per le indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici. Tadini fu messo agli arresti domiciliari. Dopo aver letto gli atti e aver sentito i tre indagati aveva deciso che la motivazione presentata dalla procura per la custodia cautelare non era abbastanza motivata.
Ci fu, nei giorni e nelle settimane seguenti, un duro scontro tra procura e tribunale. La procura di Verbania fece ricorso, sui giornali le polemiche furono molte, tanto che il presidente del tribunale, Luigi Maria Montefusco, scrisse una nota in difesa della gip. Due settimane dopo revocò però l’incarico a Banci Buonamici e lo assegnò a un’altra giudice, Elena Ceriotti. A quel punto venne chiesto l’intervento del Consiglio superiore della magistratura. Il 28 ottobre fu accolto il ricorso della procura, ma due dei tre indagati, Nerini e Perocchio, fecero ricorso alla Corte di Cassazione che rinviò di nuovo tutto al tribunale. La vicenda è ancora in corso. Per Tadini invece il 25 novembre sono scaduti i termini per la custodia cautelare e ora è libero. La gip Ceriotti è andata nel frattempo in pensione, sostituita da Annalisa Palomba.
Ora, oltre alle tre persone indagate inizialmente, ce ne sono altre nove: Anton Seeber, presidente del consiglio di amministrazione della Leitner, la società di Vipiteno che aveva un contratto annuale di 150mila euro per occuparsi della manutenzione della funivia; Martin Leitner, consigliere delegato; Peter Rabanser, dirigente dell’assistenza ai clienti della Leitner e delegato alla sicurezza; e Rino Fanetti, dipendente Leitner.
Sono indagati anche Alessandro Rossi e Davide Moschitti, due operai della Sateco, la società che aveva effettuato le prove magneto-induttive nel 2019 e nel 2020. Si tratta di test che, facendo passare la fune in esercizio attraverso un campo magnetico, forniscono dati sulle condizioni della fune. Sono indagati anche Federico Samonini, legale rappresentante della Scf Monterosa, che avrebbe fatto interventi di manutenzione e controlli sulle teste fuse, Fabrizio Pezzolo, rappresentante legale della Rvs Srl che si occupava di manutenzione delle centraline idrauliche e il suo dipendente Davide Marchetto. Sono indagate anche due società, la Leitner che aveva costruito l’impianto e aveva il compito della manutenzione e la Ferrovie del Mottarone. Per tutti l’ipotesi di reato è omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime colpose e rimozione di sistemi di sicurezza.
Dell’incidente del Mottarone si è interessata anche la Corte dei Conti che deve accertare, visto che l’impianto è di proprietà pubblica, se una cattiva gestione abbia arrecato danni e impoverimento di un bene pubblico. Prima però bisogna accertare di chi sia effettivamente il bene: la proprietà, in origine della regione Piemonte, doveva passare al comune di Stresa che però, subito dopo l’incidente, disse che il passaggio non era stato ancora formalizzato.
Dopo l’incidente della funivia del Mottarone e la parallela l’inchiesta sulle responsabilità, c’era stato anche il caso che ha riguardato l’unico sopravvissuto: Eitan Biran, di 5 anni. Uscito dall’0spedale a metà giugno, il bambino era andato a vivere con la zia paterna, Aya, ed era stato iscritto a una scuola cattolica. A settembre il nonno materno, Shmuel Peleg, lo aveva rapito per portarlo in Israele sostenendo che fosse la volontà di sua figlia e del marito, morti nell’incidente. Peleg è indagato dalla procura di Pavia per sequestro di persona. Il 25 ottobre i giudici israeliani avevano deciso che il bambino doveva tornare in Italia, a casa della famiglia della zia paterna, dove si trova da dicembre.