In Israele un lungo caso giudiziario si è chiuso con lo sfratto di un migliaio di palestinesi
La Corte Suprema ha deciso definitivamente che un'area occupata della Cisgiordania debba ospitare un poligono dell'esercito
In Israele un caso giudiziario durato più di vent’anni riguardo a un’estesa area a sud di Hebron, in Cisgiordania, si è chiuso con lo sfratto di un migliaio di palestinesi. Secondo gli attivisti filopalestinesi è uno dei più grossi sfratti compiuti da Israele dai tempi degli esodi forzati dopo la Guerra arabo-israeliana del 1948.
Il 5 maggio la Corte Suprema israeliana aveva deciso in via definitiva che l’area di Masafer Yatta, che secondo la stragrande maggioranza della comunità internazionale Israele occupa illegalmente come gran parte della Cisgiordania, avrebbe dovuto diventare un poligono di tiro per l’esercito israeliano. Nei giorni successivi erano iniziate le prime demolizioni. Nell’area ci sono 12 cittadine palestinesi, in cui abitano almeno mille persone (ma circolano stime più alte, fino a 1.800).
«Ci hanno dato mezz’ora per prendere quello che riuscivamo», ha raccontato al Washington Post Yusara al Najjar, che con la sua famiglia abitava ad Al Markez ed è stata sfrattata l’11 maggio: «In pochissimo tempo la nostra casa non c’era più».
Tutto iniziò nei primi anni Ottanta, quando l’esercito israeliano decise che la zona di Masafer Yatta, che misura circa 30 chilometri quadrati, sarebbe dovuta diventare un poligono di tiro per l’esercito. «L’importanza vitale di questa zona di tiro», ha spiegato l’esercito in alcuni documenti processuali letti dal Times of Israel, «deriva dalle sue uniche caratteristiche topografiche, che permettono di sperimentare strategie specifiche sia per piccoli gruppi di soldati sia per un battaglione».
L’intera area di Masafer Yatta si trova nella cosiddetta Area C della Cisgiordania, in cui secondo gli accordi di Oslo del 1993 fra israeliani e palestinesi il controllo civile e militare spetta al governo israeliano. La legge israeliana prevede che in Cisgiordania una certa zona possa essere riservata all’esercito nel caso in cui non sia abitata in maniera permanente.
I progetti dell’esercito israeliano su Masafer Yatta iniziarono a concretizzarsi negli anni Novanta. Nel 1999 l’esercito israeliano sfrattò circa 700 persone che vivevano a Masafer Yatta sostenendo che non fossero residenti permanenti, ma pastori nomadi che usavano l’area come pascolo per i propri animali. Nel 2000 i residenti chiesero e ottennero una sospensione dello sfratto, rimasta attiva fino a pochi giorni fa, quando la Corte Suprema israeliana ha preso la sua decisione definitiva.
Nel corso del processo, durato più di vent’anni, la tesi dell’esercito israeliano è rimasta sempre la stessa: i palestinesi che vivevano a Masafer Yatta erano nomadi che abitavano nell’area soltanto occasionalmente, mentre la maggior parte degli edifici nelle 12 cittadine è stata costruita dopo la decisione presa dall’esercito di costruire un poligono di tiro.
Molti dei residenti di Masafer Yatta sono stati difesi dall’ACRI (Association for Civil Rights Israel), una delle più antiche associazioni israeliane che si occupano di diritti umani. ACRI ha argomentato per anni che in realtà diverse persone palestinesi abitavano stabilmente nell’area prima degli anni Ottanta, e che inoltre per il diritto internazionale una potenza occupante non può compiere espulsioni e sfratti di massa nei territori occupati.
La Corte Suprema ha infine dato ragione all’esercito israeliano, sostenendo che gli abitanti di Masafer Yatta non possano essere considerati residenti permanenti.
Da alcune testimonianze sembra comunque che gli interessi israeliani sull’area non fossero soltanto di natura militare. In un resoconto di un incontro governativo del 1981 ritrovato negli archivi di stato nel 2020, l’allora ministro dell’Agricoltura israeliano Ariel Sharon, che vent’anni dopo sarebbe diventato primo ministro, suggerì l’idea di usare l’area di Masafer Yatta come poligono militare per via della recente «espansione dei residenti arabi di quelle colline». Il documento sembra indicare quindi che la decisione dell’esercito israeliano di istituire un poligono a Masafer Yatta sia successiva alla decisione di alcuni palestinesi di abitare quell’area più stabilmente.
Il resoconto era stato accettato dalla Corte Suprema fra le prove a sostegno della tesi dei residenti, ma alla fine i giudici hanno sostanzialmente deciso di ignorarlo.
Il sito di news +972 Magazine stima che dagli anni Settanta il governo israeliano abbia adibito a zona militare circa il 18 per cento della Cisgiordania. In queste zone vivono oggi circa 6.200 palestinesi, perlopiù membri di comunità di pastori.
La gestione dell’Area C da parte di Israele è da anni contestata da gran parte della comunità internazionale e dagli attivisti per i diritti dei palestinesi. L’Area C occupa circa il 60 per cento del territorio totale della Cisgiordania, e comprende i terreni più fertili e i pascoli migliori. I permessi che Israele concede ai palestinesi per costruire edifici nell’Area C sono rarissimi: permessi che invece assegna molto più volentieri agli israeliani che abitano nelle colonie in Cisgiordania, quasi tutte situate nell’Area C.
Non è raro inoltre che il governo israeliano faccia demolire case di palestinesi che secondo le proprie valutazioni sono state costruite in maniera irregolare: ma spesso sono casi che riguardano uno o pochi edifici, mentre nel caso di Masafer Yatta si parla di varie decine di case.
Non è chiaro a che punto siano arrivate le demolizioni dei villaggi di Masafer Yatta. In un comunicato stampa della settimana scorsa tre esperti dell’ONU che si occupano di violazioni di diritti umani dei palestinesi hanno scritto che per ora hanno riguardato le cittadine di Al Markez e Khribet al Fakhiet. Nel comunicato i tre esperti chiedono al governo israeliano e alla comunità internazionale di sospendere gli sfratti, criticando le basi legali su cui la Corte Suprema israeliana ha preso la sua decisione: ma al momento non c’è alcuna indicazione che il governo israeliano intenda accogliere questa richiesta.