Quanto dobbiamo preoccuparci per il vaiolo delle scimmie?
Sono stati segnalati alcuni casi in Italia, Regno Unito, altri paesi europei e Stati Uniti, ma non c'è da allarmarsi
Negli ultimi giorni in Italia, in altri paesi europei e negli Stati Uniti sono stati segnalati alcuni casi di vaiolo delle scimmie, una malattia causata da un virus appartenente alla stessa famiglia del vaiolo. Le notizie sui casi rilevati sono state riprese dai giornali, talvolta con titoli e toni piuttosto allarmati, anche se nella maggior parte dei casi la malattia si diffonde poco ed è meno grave rispetto al vaiolo. I nuovi casi di infezione non devono essere sottovalutati, ma al momento le principali autorità sanitarie non hanno indicato particolari rischi e gli esperti invitano a non fare allarmismo.
Il caso di vaiolo delle scimmie confermato in Italia riguarda un uomo tornato di recente dalle Canarie, che si è presentato al Policlinico Umberto I di Roma dopo avere notato la comparsa di numerose pustole sul viso e in altre aree del corpo, benché non avesse altri particolari sintomi. Successive analisi condotte presso l’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” avevano poi confermato la presenza del vaiolo delle scimmie. Il paziente è stato messo in isolamento e le sue condizioni sono state definite “discrete” dai medici. Allo Spallanzani sono nel frattempo in corso verifiche su altri due casi sospetti.
Nei giorni precedenti altri casi di vaiolo delle scimmie erano stati identificati in Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito, Australia, Canada e negli Stati Uniti. Solo nel Regno Unito negli ultimi giorni sono stati rilevati almeno nove casi, uno ricondotto a un recente viaggio in Nigeria, mentre per gli altri l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sospetta «infezioni locali». I casi in Spagna finora segnalati sono almeno sette, mentre in Portogallo sono cinque; anche per questi non è chiara la fonte dell’infezione.
Il vaiolo delle scimmie è una malattia infettiva causata dal virus MPXV (Monkeypox virus) e non va confusa con il ben più rischioso vaiolo, malattia dichiarata eradicata nel 1980 dall’OMS in seguito a una massiccia campagna di vaccinazione condotta tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta. Le vaccinazioni hanno permesso di salvare milioni di vite, considerato che solo nel 1967 la malattia aveva interessato almeno 15 milioni di persone, causando la morte di circa due milioni di infetti.
In generale, il vaiolo delle scimmie è diffuso nei primati non umani (come suggerisce il nome) e in alcune specie di piccoli roditori, soprattutto in Africa. L’infezione si trasmette da questi animali agli esseri umani attraverso la saliva e altri fluidi, oppure in seguito a un contatto diretto. Una persona infetta può in alcune circostanze contagiarne un’altra, per esempio attraverso gocce di saliva, contatti con ferite o liquidi biologici infetti, ma le vie di trasmissione umano-umano non sono ancora completamente chiare e sono considerate rare dagli esperti.
Nel giro di pochi giorni chi contrae il virus sviluppa sintomi tipici delle infezioni virali come febbre, dolori muscolari, mal di testa, spossatezza e ingrossamento dei linfonodi. La malattia causa poi la comparsa di vescicole e pustole sul viso e in seguito sulle mani e sui piedi, che possono rivelarsi molto pruriginose e con la formazione di croste.
Il vaiolo delle scimmie ha nella maggior parte dei casi un decorso positivo. I sintomi si attenuano e scompaiono in un paio di settimane, senza la necessità di dover seguire particolari terapie, se non quelle per ridurre alcuni fastidi dovuti ai sintomi. In alcuni casi vengono utilizzati farmaci antivirali per rallentare la replicazione del virus all’interno dell’organismo, in modo da consentire al sistema immunitario di contrastare più facilmente l’infezione.
Le infezioni da virus del vaiolo delle scimmie sono poco frequenti al di fuori dell’Africa, anche se nel 2003 era stata segnalata un’epidemia negli Stati Uniti con diversi casi. Le indagini epidemiologiche avevano consentito di ricondurre la fonte delle prime infezioni all’importazione di alcuni animali dall’Africa, che non avevano ricevuto controlli accurati prima del loro arrivo negli Stati Uniti.
Il vaccino contro il vaiolo somministrato fino all’inizio degli anni Ottanta sembra offrire una buona protezione anche contro il vaiolo delle scimmie: secondo alcune ricerche ha un’efficacia intorno all’85 per cento. La popolazione vaccinata ha però ormai più di 40 anni, considerato che in molti paesi la somministrazione del vaccino fu interrotta dopo la dichiarazione di eradicazione da parte dell’OMS. In Italia la vaccinazione contro il vaiolo era obbligatoria e fu abolita nel 1981. Questa circostanza è stata segnalata su alcuni giornali associandola a potenziali maggiori rischi per i più giovani. In generale comunque proprio perché non si vaccina contro il vaiolo da molto tempo è difficile fare valutazioni accurate sulla protezione offerta dalla vaccinazione su una malattia simile, che però ha delle caratteristiche proprie e uniche.
Non è ancora chiaro che cosa abbia determinato i nuovi casi di vaiolo delle scimmie registrati fuori dall’Africa, anche se molti sono riconducibili a viaggi nel continente avvenuti nell’ultimo periodo. Negli ultimi anni il maggior numero di casi era stato rilevato nell’Africa centrale e occidentale e in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, con circa 2mila casi all’anno nel periodo tra il 2011 e il 2014. I casi potrebbero essere di più a causa della difficoltà nel tracciarli tutti, soprattutto nelle aree rurali poco presidiate dal personale sanitario.
Nel 2018 un focolaio di vaiolo delle scimmie era stato rilevato nel Regno Unito e poi ricondotto a una persona di ritorno da un viaggio in Nigeria, e i casi rilevati erano stati nel complesso quattro. Nel 2021, sempre nel Regno Unito, erano stati rilevati altri tre casi e un altro era stato scoperto negli Stati Uniti, una persona di ritorno sempre dalla Nigeria.
Si stima che in generale i casi siano in aumento su scala globale, complice la maggior circolazione delle persone, se si esclude la riduzione nei viaggi degli ultimi due anni a causa della pandemia da coronavirus. Quasi tutti i casi si sono comunque rivelati lievi e con sintomi che si sono risolti entro un paio di settimane, spesso senza rendere necessario il ricorso ai farmaci antivirali.