L’inchiesta del New York Times sugli ucraini uccisi a Bucha dall’esercito russo
Dimostra l'uccisione di otto prigionieri ed è una prova ulteriore dei crimini commessi dai soldati russi
Mercoledì il New York Times ha pubblicato un’inchiesta che mostra come, il 4 marzo, un gruppo di soldati russi abbia ucciso almeno otto prigionieri ucraini disarmati a Bucha, la città non lontano da Kiev dove durante l’occupazione russa è avvenuto un terrificante massacro di civili. L’uccisione, di cui il New York Times mostra prove piuttosto schiaccianti, è un crimine di guerra.
L’inchiesta – basata su settimane di ricerche e verifiche incrociate di video, foto, documenti e racconti di testimoni oculari – costituisce una prova ulteriore e molto circostanziata dei massacri compiuti dalle forze russe in quella zona, e contribuisce a smentire le falsità e le teorie complottiste diffuse dal governo russo, che continua a sostenere che il massacro di Bucha sia tutta una montatura.
– Leggi anche: Le teorie complottiste del governo russo sul massacro di Bucha
Tra le prove ottenute dal New York Times ci sono due video, girati rispettivamente da una telecamera di sicurezza e da un testimone oculare il 4 marzo. Il primo video mostra nove uomini che camminano in fila indiana, con una mano sulla testa e una sulla cintura dell’uomo di fronte a loro, scortati da due soldati russi armati. Il secondo video mostra i momenti successivi, in cui gli stessi uomini – uno dei quali identificabile grazie a una felpa blu elettrico – vengono accompagnati dai russi di fronte a un edificio che usano come base. Di sottofondo al video si sente la voce della persona che registra che conta i civili e dice che i russi li stanno facendo mettere a terra, lungo la recinzione dell’edificio.
This is what happened in #Bucha. #Russia soldiers lead at least 8 civilians to be executed pic.twitter.com/CfzX7uTkwm
— Lesia Vasylenko (@lesiavasylenko) May 20, 2022
Il video poi si conclude, ma quello che è successo negli istanti successivi è stato raccontato al New York Times da otto testimoni, tra cui uno dei prigionieri, che si era salvato fingendosi morto ed era poi scappato, e altri sette prigionieri ucraini tenuti in ostaggio poco lontano da lì. Il New York Times ha poi sentito moltissime altre persone, tra cui i famigliari delle persone uccise e alcuni abitanti del luogo.
L’uomo sopravvissuto, un muratore di 43 anni, ha raccontato che lui e gli altri prigionieri erano stati costretti a inginocchiarsi a terra e a tirar fuori magliette e felpe dai pantaloni per usarle come cappuccio, pratica descritta anche da un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch di qualche tempo fa. Ad alcuni uomini erano state legate le mani, e uno di loro era stato ucciso sul momento. Altri erano stati interrogati e picchiati all’interno dell’edificio, prima di essere portati all’esterno, nel cortile sul retro. Lì i russi avevano sparato anche agli altri. Di Ivan Skyba, il muratore sopravvissuto, il New York Times ha visto sia le foto delle ferite che la conferma di un certificato medico che ne certificava l’origine.
Il racconto di Skyba e degli altri testimoni, a sua volta, sembra essere confermato anche da un terzo video, stavolta ottenuto da un drone e datato 5 marzo, il giorno successivo alle uccisioni. Il video mostra la strada in cui si trova l’edificio, il suo cortile sul retro e i corpi a terra, tra cui c’è anche quello dell’uomo con la felpa blu elettrico che compariva nei primi due video.
New evidence — including three videos obtained by The New York Times — shows how Russian paratroopers rounded up and executed at least eight Ukrainian men in Bucha on March 4, a likely war crime. https://t.co/mgWmJYgPJF pic.twitter.com/ZGrldnhht6
— The New York Times (@nytimes) May 20, 2022
Quei corpi, scrive il New York Times, sono gli stessi comparsi in alcune delle fotografie che erano state diffuse dalle agenzie fotografiche internazionali nei giorni successivi alla liberazione di Bucha, che erano circolate moltissimo ed erano state pubblicate anche dal Post (qui c’è quella dell’uomo con la felpa blu): il governo russo, che non ha risposto alle richieste di commenti da parte del New York Times, le aveva definite al tempo «un fake e una provocazione».
Gli uomini uccisi a Bucha erano tutti civili maschi che erano dovuti restare in Ucraina a causa della legge marziale e che si erano uniti alle forze di difesa locali. All’arrivo dei russi, il 3 marzo, si erano nascosti in un edificio. I russi li avevano trovati il giorno dopo e uccisi quasi immediatamente.
Il New York Times ha ottenuto prove anche dell’arrivo dei russi a Bucha il 3 marzo: un altro video girato da una telecamera di sicurezza e ottenuto dal giornale (visibile qui) mostra i soldati russi, un po’ a piedi e un po’ su carri armati, che entrano a Bucha. Il quotidiano ha mostrato il video agli esperti di due istituti specializzati in analisi militare, che hanno confermato che i carri armati che appaiono nel video sono usati quasi esclusivamente dall’esercito russo.
Ulteriori prove che confermano la responsabilità dei russi per il massacro sono state raccolte dal New York Times visitando il luogo dell’esecuzione: i proiettili a terra, innanzitutto, che sono compatibili con alcuni fucili e mitragliatrici normalmente in dotazione all’esercito russo. Ma anche alcuni documenti di trasporto relativi alle stesse armi, corrispondenti secondo il New York Times a quelle usate da uno specifico reggimento dell’esercito russo.
Il New York Times ha definito le prove pubblicate nell’inchiesta «definitive», oltre che utili a dimostrare che l’esercito russo ha compiuto crimini di guerra in Ucraina. Per ottenerle ci sono volute settimane di lavoro, interviste a testimoni, sopravvissuti, familiari di vittime, medici, soldati, oltre ad attente perlustrazioni di moltissime chat Telegram, pagine Facebook e altri social, anche russi, e all’esame di documenti di vario tipo: certificati di morte, risultati di autopsie, avvisi di persone scomparse, documenti della polizia e dell’esercito. E ovviamente le foto e i video, su cui in alcuni casi si è reso necessario il confronto con esperti.