In Australia si deve votare per legge
Argomenti a favore e contro il voto obbligatorio, utili per capire i processi elettorali di diversi paesi del mondo
Tra qualche ora in Australia si inizierà a votare per eleggere un nuovo parlamento: ad andare ai seggi saranno in molti, circa 17 milioni di persone su un totale di quasi 26 milioni di abitanti, perché in Australia il voto è obbligatorio dal 1924. Chi non può andare fisicamente a votare il giorno delle elezioni ha comunque altre possibilità, tra cui esprimere una preferenza per corrispondenza. In generale però l’unica situazione in cui è permesso non votare è quando si è in possesso di un’esenzione che viene data solo se ci sono motivi validi: la violazione della norma comporta il pagamento di una multa assai ridotta (20 dollari australiani, circa 13 euro), ma anche potenzialmente l’obbligo di presentarsi davanti a un giudice rischiando il carcere.
In Australia il voto obbligatorio fu introdotto dopo che nelle elezioni del 1922 andò ai seggi solo il 59% degli aventi diritto. Da allora la legge non è mai stata cambiata ed è stata di recente definita dai Laburisti e dai Verdi «la pietra angolare della democrazia australiana». È sostenuta anche dalla maggioranza della popolazione (da circa il 70 per cento, dicono gli ultimi dati).
I sostenitori e le sostenitrici del voto obbligatorio dicono che le percentuali molto alte ottenute sin dai primi anni dell’approvazione della misura sono una testimonianza della sua efficacia. Sebbene ci sia stata una leggera diminuzione della partecipazione nelle ultime tre elezioni, dall’introduzione del voto obbligatorio l’affluenza non è mai scesa al di sotto del 90%. Un’altra argomentazione a favore è che il voto obbligatorio rende il sistema politico più rappresentativo dell’intera popolazione, che dunque contribuisca alla legittimità politica dei vari governi: viceversa, proprio la bassa affluenza nei paesi dove il voto non è obbligatorio è spesso usata come argomento per sostenere la poca legittimità dei politici eletti.
Per chi difende il voto obbligatorio il parlamento e il governo così eletti sarebbero poi più portati ad agire in nome del bene comune e non per interessi di parte. Secondo alcuni l’obbligatorietà scoraggerebbe gli estremismi, facendo comunque e sempre emergere un voto moderato. Infine, permetterebbe di concentrare le campagne elettorali più sui contenuti che non sulle chiamate al voto.
Negli anni, in Australia, ci sono state molte proposte per rendere facoltativo il voto. I detrattori dell’obbligo sostengono che, benché le percentuali di votanti siano comunque alte, non corrispondano a un effettivo coinvolgimento ideale e politico: votare per non pagare una multa, e poi magari per annullare la scheda, non è insomma un successo democratico.
Non è detto dunque che l’obbligatorietà offra una soluzione alla “crisi delle democrazie” e, in generale, alla crescente sfiducia nelle istituzioni, sostengono i detrattori: ne sarebbe prova il fatto che i giovani elettori e le giovani elettrici australiane, secondo i dati, non sembrano essere più informati sulle questioni politiche rispetto ai loro colleghi nei paesi in cui c’è un sistema di voto volontario; inoltre obbligare le persone a votare comporterebbe un aumento rilevante del numero di voti non validi e in bianco. Mobilitare molti elettori disimpegnati politicamente potrebbe infine danneggiare la democrazia aumentando la percentuale dei “voti casuali”.
Infine, diverse argomentazioni contrarie fanno riferimento al fatto che l’obbligo rappresenti un’indebita violazione della libertà individuale, che sia antidemocratico o che violi il “diritto di non votare” delle persone.
In Italia il voto è ritenuto un dovere etico e morale, ma l’obbligo e le eventuali conseguenze per gli inadempienti furono eliminate all’inizio degli anni Novanta con l’abrogazione del decreto del presidente della Repubblica numero 361 del 30 marzo 1957, che, all’articolo 4, diceva: «L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese». Le sanzioni, comunque simboliche e poco applicate, in caso di astensione prevedevano l’istituzione di certificati di buona condotta dell’elettorato e liste pubbliche.
Prima dell’Australia, il voto obbligatorio era stato introdotto in Belgio, nel 1892, e in Argentina, nel 1914. Esiste poi in Grecia, Lussemburgo, Uruguay, Messico, Brasile, Perù, Singapore e in una ventina di altri paesi, ma solo in circa 14 di questi le leggi sono effettivamente applicate.
L’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (IDEA), un’organizzazione intergovernativa con sede a Stoccolma che sostiene e rafforza le istituzioni e i processi democratici nel mondo, dice che non è possibile dire con un unico numero i paesi che praticano il voto obbligatorio: «È infatti più costruttivo analizzare il voto obbligatorio come uno spettro». Lo spettro comprende paesi che hanno formalmente leggi sul voto obbligatorio, ma che non le applicano, paesi che invece sanzionano chi non rispetta l’obbligatorietà, paesi in cui queste sanzioni sono irrisorie, e paesi che offrono delle scappatoie all’obbligatorietà stessa (in molti paesi, cioè, è obbligatorio votare solo se si è registrati, ma non è obbligatorio registrarsi).
Secondo IDEA, insomma, ci sono leggi sull’obbligatorietà che hanno come reale obiettivo “solo” quello di esprimere una posizione su quale dovrebbe essere la responsabilità dei cittadini e che funzionano solo come incentivo.