La strategia “zero COVID” in Corea del Nord potrebbe fare disastri
Lo sostengono diversi esperti, che ritengono che il paese non abbia le risorse per replicare il modello cinese
È passata una settimana da quando il regime della Corea del Nord ha ammesso per la prima volta la presenza di casi positivi di coronavirus nel paese. È difficile valutare la gravità reale della situazione, ma si sa che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha ordinato al proprio governo di affrontare la crisi applicando la strategia “zero COVID” già messa in pratica dalla Cina, e che però proprio in queste settimane, soprattutto a Shanghai, sta mostrando grossi limiti e problemi. Secondo diversi medici ed esperti, inoltre, la Corea del Nord non avrebbe le risorse per applicarla in maniera efficace e le cose potrebbero andare molto male.
Nei primi due anni di pandemia, la Cina aveva imposto rigidi lockdown e test di massa, avviando dallo scorso anno un’ampia campagna di vaccinazione della propria popolazione, riuscendo in questo modo a contenere molto i contagi. In seguito alla diffusione della variante omicron nel paese nei primi mesi di quest’anno, la situazione è però cambiata: omicron è molto più contagiosa e difficile da contenere. Durante il recente lockdown a Shanghai, deciso per affrontare la crisi sanitaria più grave in Cina dai tempi di Wuhan, le autorità hanno distribuito alla popolazione scorte di cibo e aiuti, ma hanno comunque avuto difficoltà enormi a soddisfare le necessità e a tenere sotto controllo la situazione.
Anche Kim giovedì 12 maggio ha imposto un lockdown simile a quelli introdotti in Cina, chiedendo però alla popolazione di collaborare per tenere l’epidemia sotto controllo e per cercare di evitare una grave crisi alimentare, in un paese dove la scarsità di cibo è un problema costante per milioni di persone.
Nonostante il lockdown, infatti, Kim ha continuato a invitare i nordcoreani a «organizzare il lavoro e la produzione»: gli spostamenti tra città e province sono stati vietati, mentre sono consentiti quelli per andare a lavorare e per fare la spesa nei piccoli mercati, racconta Asia Press, un sito che si occupa di raccogliere notizie dalla Corea del Nord con l’aiuto di informatori all’interno del paese.
Il problema è che in Corea del Nord mancano sia test per verificare le infezioni da coronavirus, cosa che rende impossibile una rilevazione accurata dell’epidemia, sia le risorse per trattare i casi gravi di COVID-19 negli ospedali. Le persone con febbre o altri sintomi riconducibili alla malattia vengono messe in isolamento, ma non è chiaro se ci siano centri per la quarantena a sufficienza e ci sono dubbi sulle condizioni igieniche di quelli esistenti. Inoltre non ci sono notizie ufficiali sul tasso di vaccinati in Corea del Nord, ma si ritiene che la maggior parte dei 26 milioni di abitanti del paese non abbia ricevuto nemmeno una dose.
Nel paese comunque mancano le scorte di cibo necessarie per aiutare la popolazione in caso di grave emergenza, e il rischio concreto è che si possa arrivare a una nuova carestia come quella che negli anni Novanta uccise centinaia di migliaia di persone.
«Le persone sono più spaventate dai lockdown che dalla malattia», ha riassunto in maniera piuttosto efficace Asia Press.
Giovedì la Corea del Nord ha segnalato più di 262mila casi sospetti di contagio, dato che è impossibile verificare con certezza proprio a causa della mancanza dei test, oltre che della scarsissima trasparenza del regime (finora è stato possibile accertare solo pochissime infezioni riconducibili alla variante omicron del coronavirus). L’agenzia di stampa di stato KCNA ha detto che al momento ci sono almeno 740mila persone in isolamento e che dalla fine di aprile a oggi sono quasi 2 milioni i nordcoreani che hanno mostrato febbre e altri sintomi riconducibili alla malattia.
Finora i presunti morti per cause legate alla COVID-19 sarebbero 63, un numero ritenuto incredibilmente basso se rapportato al numero delle sospette infezioni.
Secondo Jacob Lee, specialista in malattie infettive del centro medico della Hallym University, in Corea del Sud, è probabile che per fini di propaganda le autorità nordcoreane stiano minimizzando il numero reale delle persone morte. In un’intervista al New York Times, Lee ha aggiunto che imporre in Corea del Nord rigidi lockdown prolungati nel tempo come quelli introdotti in Cina significherebbe tornare a dover razionare il cibo: ci sono però forti dubbi sul fatto che un sistema simile possa funzionare, visto che la stessa Cina – un paese decisamente più ricco e organizzato – aveva fatto fatica a garantire cibo a sufficienza.
Paesi come la Corea del Sud sono in grado di superare focolai legati alla variante omicron «con conseguenze relativamente contenute grazie a un sistema sanitario efficiente, a un alto tasso di vaccinazione e di medicinali, ma anche perché le persone sono relativamente in salute e nutrite», ha aggiunto Jung Jae-hun, professore di medicina preventiva all’università di Gachon (Corea del Sud): «la Corea del Nord non ha niente di tutto ciò».
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