Che cos’è l’energia

Guida minima a uno dei concetti della fisica più difficili e sfuggenti da definire, e di cui però parliamo da mesi

di Emanuele Menietti

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C’è un passaggio della Fisica di Feynman, premio Nobel per la fisica e tra i più stimati scienziati del Novecento, che viene spesso citato quando si parla di energia: «È importante rendersi conto che, nella fisica odierna, non abbiamo idea di che cosa sia l’energia». I volumi che raccolgono le lezioni furono pubblicati quasi 60 anni fa e da allora abbiamo scoperto molte altre cose nella fisica, ma la frase di Feynman sull’energia è tutto sommato vera ancora oggi e per un motivo fondamentale: tra tutte le grandezze fisiche, l’energia continua a essere il concetto più difficile e sfuggente da definire, nell’ambito dell’estenuante lavoro di individuare e descrivere i principi e le leggi che fanno funzionare non solo il mondo, ma l’intero Universo.

Gli eventi degli ultimi mesi hanno reso l’energia un tema centrale e molto discusso, non solo tra i politici e gli addetti ai lavori, ma anche tra tutti noi, aprendo a nuove riflessioni su cose che diamo per scontate, come vedere illuminata una stanza buia appena premiamo un interruttore. L’aumento del costo del gas alla fine della scorsa estate e la prospettiva di averne meno per produrre energia in seguito all’invasione russa dell’Ucraina ci hanno portato a usare termini come consumo, potenza e megawatt, occupandoci soprattutto dell’elettricità e delle bollette che paghiamo per averla nelle nostre case.

Stretti da queste esigenze, abbiamo usato molto la parola “energia” senza avere il tempo di provare a cogliere che cosa sia davvero, nonostante sia ciò che ci permette di leggere questo articolo, di fare una corsa al parco o di inviare un robot per esplorare un pianeta lontano. L’energia è ovunque, permea ogni aspetto della nostra esistenza, eppure al tempo stesso è un concetto sfuggente sul quale si sono confrontati e talvolta scontrati filosofi e scienziati per secoli, alla ricerca della giusta definizione.

Definire l’energia
La definizione classica di energia, quella che si studia a scuola, dice che: l’energia è una grandezza fisica che misura la capacità di qualcosa di compiere lavoro, senza che necessariamente quel lavoro sia poi effettivamente svolto.

Sempre a scuola abbiamo imparato, o avremmo dovuto imparare, che nel corso del tempo abbiamo definito diverse forme di energia per spiegare in modo più pratico particolari fenomeni fisici e non solo. Per alcuni queste distinzioni possono apparire fuorvianti o disorientanti, proprio perché come diceva Feynman non possiamo veramente comprendere l’energia: e prima ce ne rendiamo conto, meglio riusciremo a padroneggiarla.

Nell’esperienza di tutti i giorni, abbiamo una certa familiarità per lo meno pratica con l’energia, e ce l’avevano già i primi esseri umani. Recuperare del legname da ardere richiede un certo dispendio di energie, così come gli stessi pezzi di legno quando bruciano producono calore e un trasferimento di energia. Ai primi orologiai venne in mente di sfruttare in modo ingegnoso l’energia che veniva conservata, per esempio, nelle molle impiegate per far funzionare i meccanismi dei loro orologi.

(Getty Images)

L’energia di per sé non fu però presa in considerazione in modo accurato fino alla fine del diciassettesimo secolo, anche se in precedenza filosofi e appassionati dei fenomeni naturali avevano iniziato a fare varie speculazioni sul tema. Keplero fu tra i primi a utilizzare “energia” per indicare una grandezza fisica a inizio Seicento, ma in modo sistematico il concetto fu introdotto nella letteratura scientifica solo a cominciare dal diciannovesimo secolo. Furono le diatribe scientifiche dei secoli precedenti sui concetti di forza e lavoro a portare l’energia via via sempre più al centro degli studi scientifici e in particolare di quelli fisici.

Nelle sue lezioni, Feynman riassunse con efficacia l’approccio da seguire per non farsi venire troppi mal di testa pensando all’energia:

C’è un fatto, o se preferite una legge, che governa tutti i fenomeni naturali a oggi conosciuti. Non c’è nessuna eccezione a questa legge per quanto ne sappiamo. La legge si chiama conservazione dell’energia. Dice che c’è una certa quantità, che chiamiamo energia, che non cambia rispetto alle grandi mutazioni in cui va incontro la natura. È l’idea più astratta che ci sia, perché è un principio matematico; dice che c’è una quantità numerica che non cambia quando succede qualcosa. Non è la descrizione di un meccanismo, o qualcosa di concreto; è solo uno strano fatto per cui possiamo calcolare un numero e quando abbiamo finito di osservare la natura che fa le sue cose e abbiamo calcolato nuovamente il numero, questo è uguale a prima.

Semplificando molto, l’energia si sposta tra oggetti e fenomeni, ma alla fine di tutti i processi che possiamo immaginare la sua quantità rimane invariata. Poiché può essere conservata, possiamo immaginare che esistano riserve di energia e vie per le quali questa viene trasferita.

Contenitori e vie
I contenitori riguardano vari tipi di energia come quella meccanica (potenziale e cinetica), termica, chimica e nucleare, mentre le vie sono l’elettricità, il suono, il movimento e la luce. Nel concreto, un contenitore di energia può essere una tazzina piena di caffè o un barile di petrolio, in linea generale: un oggetto.

Se sollevo una scatola e la metto su un ripiano, l’energia si sposta dal contenitore di energia chimica delle braccia e in generale del corpo alla scatola, che trovandosi più in alto di prima ha una maggiore energia potenziale. Questa è l’energia che la scatola possiede in virtù della sua posizione e del suo orientamento rispetto a un campo di forze, e sulla Terra questo campo è governato soprattutto dalla gravità. Nel caso in cui cada dallo scaffale, l’energia potenziale diventerà energia cinetica, derivante proprio dal suo movimento (ci sono altre variabili e complessità, naturalmente).

In altre circostanze i vari passaggi possono essere meno intuitivi. Tendiamo per esempio a non immaginarci una tazza di tè fumante come una riserva di energia, eppure la temperatura della bevanda deriva proprio dalla presenza di energia. Questa si sposta dal contenitore di energia (il tè caldo) alla ceramica della tazza che a sua volta diventa un contenitore di calore. L’energia si sposta inoltre nell’ambiente circostante, se questo è a una temperatura inferiore rispetto a quella del contenitore di partenza. L’effetto è che una tazza di tè fumante scalda una stanza fredda, anche se in modo pressoché impercettibile per chi si trova al suo interno.

In linea di massima, l’energia tende a spostarsi dai luoghi in cui ce n’è molta a quelli dove ce n’è meno. L’esempio classico è proprio quello dell’energia termica visto poco fa: un oggetto a più alta temperatura cede il proprio calore verso oggetti a una temperatura inferiore, fino a quando non si stabilisce un equilibrio. Questo fenomeno avviene costantemente da quando esiste l’Universo, i cui processi si esauriranno proprio quando tutta l’energia sarà uniformemente distribuita nel cosmo: ma niente paura, sarà necessario moltissimo tempo prima che ciò accada.

Misurare l’energia
L’unità di misura dell’energia (del lavoro e del calore) è il joule (J) e deriva il proprio nome da James Prescott Joule, un imprenditore britannico con il pallino per la scienza. Nella prima metà dell’Ottocento era conosciuto soprattutto per essere un produttore di birra e fu proprio da questa che gli venne in mente di provare a misurare l’energia in modo pratico.

Il suo birrificio utilizzava alcuni motori a vapore, alimentati a carbone, e Joule voleva capire se potesse risparmiare qualcosa utilizzando invece motori elettrici, alimentati da batterie allo zinco. Era quindi necessario costruire un sistema che gli consentisse di mettere a confronto la resa di uno e dell’altro tipo di motore. L’esperimento sarebbe dunque dovuto consistere nel misurare quanto carbone o zinco e acido (per le batterie) fosse necessario per sollevare un determinato peso a una certa altezza.

Il peso era una libbra (454 grammi) e l’altezza un piede (circa 30 centimetri), che di fatto portarono a una prima unità di misura per confrontare l’energia. Joule aveva trovato il modo di calcolare la quantità di energia necessaria per sollevare verticalmente una libbra di un piede, scoprendo infine che gli conveniva continuare a utilizzare i motori a vapore alimentati a carbone.

Oltre a produrre birra, Joule ebbe altri importanti meriti nello studio dell’energia e in particolare per aver trovato conferme al principio di conservazione per i sistemi termodinamici, dimostrando come il calore possa essere considerato una forma di energia meccanica. Inventò un dispositivo, il “mulinello di Joule”, con il quale misurare l’equivalente meccanico del calore prodotto in conseguenza al trasferimento di una quantità di energia meccanica nota.

Il mulinello di Joule

Il sistema era costituito da un contenitore d’acqua, all’interno del quale era inserito un mulinello che poteva ruotare su se stesso lungo il proprio asse verticale. Il mulinello era collegato a una coppia di pesi all’esterno del contenitore, bloccati in una certa posizione. Quando questi venivano sbloccati e iniziavano a scendere, mettevano in rotazione il mulinello attraverso un sistema di cordini e dischi (pulegge). Le rotazioni venivano rallentate dall’attrito esercitato dall’acqua, che si scaldava proprio in virtù di questo fenomeno. Joule aveva dimostrato che l’energia meccanica non “scompariva”, ma semplicemente si trasformava in un’altra forma.

Il joule, inteso come unità di misura, è definito come il lavoro svolto applicando una forza di un newton per la distanza di un metro (il newton è l’unità di misura della forza). Un esempio che si fa spesso per provare a visualizzare il joule, più ostico rispetto a unità di misura a noi vicine come quelle per la massa o la lunghezza, è di pensare che equivale più o meno al lavoro necessario per sollevare una mela per un metro, opponendosi alla forza di gravità terrestre.

Il joule è definibile come l’unità di energia di base e, come abbiamo visto, è la più importante in fisica, ma non viene molto utilizzata nelle attività di tutti i giorni. Negli ultimi mesi di crisi energetica abbiamo sentito parlare soprattutto di watt e kilowattora.

Potenza e consumo
Il watt (W) è l’unità di misura della potenza ed equivale a 1 joule al secondo (o in unità elettriche a un volt moltiplicato per un ampere). L’equivalenza ci dice quindi che la potenza è l’energia trasferita nell’unità di tempo. Un macchinario con “molti watt” riesce quindi a trasferire una grande quantità di energia in pochissimo tempo. La potenza può essere termica (trasferimento del calore), meccanica (trasferimento del lavoro) o elettrica (trasferimento di energia elettrica).

Il watt rappresenta l’energia prodotta o consumata istantaneamente, per questo viene spesso impiegato il wattora (Wh), che come suggerisce il nome serve per misurare la quantità di energia fornita in un’ora di tempo (per i consumi domestici si usa spesso il kilowattora, cioè il consumo di mille watt in un’ora).

Una centrale elettrica da 500 MW è un impianto da 500 milioni di watt, ma questo dato non ci dice quanto sia l’effettiva energia prodotta perché la centrale potrebbe essere impiegata a ritmi variabili nel corso delle giornate, a seconda della domanda. Sappiamo che in un’ora l’impianto genera fino a 500 MWh (megawattora), quindi per conoscere la sua produzione annuale è sufficiente moltiplicare quel dato riferito a un’ora per tutte le ore di attività dell’impianto a pieno ritmo. Stimando 6mila ore di attività in un anno, l’energia prodotta sarà di 3 milioni di MWh.

La centrale termoelettrica “Eugenio Montale” a La Spezia (Google Earth)

In breve: la potenza (W) indica la portata della centrale elettrica, ma per capire la quantità di energia prodotta (Wh) dobbiamo sapere per quanto tempo è in funzione l’impianto. I due dati sono molto importanti per comprendere quali sistemi siano più efficienti nel produrre energia elettrica e quali accorgimenti adottare per migliorarne la resa, soprattutto nel momento in cui si decide di attingere a fonti più sostenibili.

Un’ipotetica centrale a carbone da 100 MW e un parco eolico da 100 MW non producono la stessa quantità di energia in un anno. La centrale a carbone può infatti funzionare per la quasi totalità dell’anno, perché la materia prima che impiega per produrre energia elettrica è sempre disponibile e in quantità stabili, mentre il parco eolico funziona al meglio solo quando c’è vento. In termini di megawattora sarà sicuramente più produttiva la centrale a carbone, ma produrrà anche un’enorme quantità di anidride carbonica e altre sostanze inquinanti, che l’eolico non produce. Discorsi simili possono essere applicati ad altri impianti per la produzione di energia che fanno affidamento su fonti non stabilmente disponibili, come i parchi fotovoltaici.

L’alba dietro il parco eolico “Odervorland” nello stato tedesco del Brandeburgo (Patrick Pleul/picture-alliance/dpa/AP Images)

W e Wh sono importanti anche su scale più piccole per fare i conti con i propri consumi domestici. Tenendo accesa una stufetta elettrica con una potenza di 1.000 watt (un kilowatt) per un’ora consumeremo 1000 wattora, mentre se la utilizzassimo per 12 minuti consumeremmo un quinto dei 1000 wattora, quindi 200 wattora pari a 0,2 kWh (kilowattora). Se il costo dell’energia è di 20 centesimi di euro al kilowattora, spenderemmo 4 centesimi di euro (20•0,2) per tenere accesa la stufetta per 12 minuti.

Per semplicità nella vita di tutti i giorni si fa quasi sempre riferimento all’energia e ai suoi costi intendendo proprio l’energia elettrica e il lavoro (in termini fisici) necessario per produrla e distribuirla. Ciò deriva soprattutto dal fatto che il kilowattora è impiegato come unità di vendita per l’energia elettrica da parte di chi la produce e la fornisce poi agli utilizzatori finali. La presenza della parola “watt” nelle due unità di misura porta spesso a ulteriori confusioni.

E oltre
Tornando al concetto in generale, la definizione di energia ha subìto numerose evoluzioni soprattutto nel Novecento, grazie alle numerose scoperte nel campo della fisica, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Alcune teorie hanno trovato conferme grazie alle sperimentazioni, mentre altre attendono ancora di essere dimostrate nella pratica.

Una delle equazioni più note ed eleganti per definire l’energia è indubbiamente quella di Albert Einstein:

E=mc2

Derivata dalla teoria della relatività ristretta, mostra la sostanziale equivalenza di materia ed energia. Il decadimento dei metalli pesanti, come l’uranio, porta per esempio ad avere metalli più leggeri, con la massa mancante che corrisponde alla liberazione di energia sotto forma di radiazioni.

Molti aspetti dell’energia devono essere ancora indagati, e ci sono frontiere affascinanti e misteriose. L’energia oscura, per esempio, è una forma ipotetica di energia che non può essere rilevata direttamente e che sarebbe sparpagliata omogeneamente ovunque; si ipotizza che rappresenti da sola il 68 per cento della massa-energia dell’Universo. La sua esistenza aiuterebbe a spiegare l’espansione accelerata dell’Universo, ma a oggi se ne ignorano le caratteristiche e la stessa natura.