La squadra di “Moneyball” non se la passa bene
A vent’anni dalla stagione raccontata nel famoso film sul baseball, gli Athletics giocano in uno stadio vuoto e valutano di trasferirsi
«Ci sono squadre ricche e povere. Poi ci sono venti metri di schifo e poi ci siamo noi. È un gioco sleale» diceva Brad Pitt in una delle prime scene di Moneyball, uno dei più famosi film sul baseball prodotti dal cinema americano. Pitt interpretava Billy Beane, general manager degli Oakland Athletics, squadra minore californiana — un cosiddetto “small market team” — del miglior campionato di baseball al mondo, la Major League.
Beane divenne famoso per come ampliò l’uso della sabermetrica, l’analisi statistica del baseball, contribuendo in modo decisivo a farla diventare uno standard nella gestione di tutte le squadre. Quando Beane e i suoi collaboratori iniziarono ad applicarla ad Oakland, i risultati furono eccezionali, tanto che la stagione del 2002 fu una delle migliori nella storia della squadra. Su quella stagione fu poi scritto un libro di successo, dal quale venne tratto un film che fece conoscere la storia al grande pubblico.
Negli anni successivi gli Athletics non hanno più raggiunto quei livelli, ma hanno continuato a disputare di tanto in tanto delle buone stagioni, arrivando anche ai playoff. Ma soprattutto, hanno continuato a massimizzare in ogni modo possibile le scarse risorse a disposizione, se confrontate con quelle delle grandi squadre di Los Angeles, Boston e New York. A vent’anni di distanza, però, le cose ad Oakland hanno smesso di funzionare, nonostante Beane sia ancora lì. I problemi vengono soprattutto dalla città e da quella zona della California, dove la squadra sta vivendo una profonda crisi di popolarità.
Fino a poche stagioni fa, gli Athletics erano una delle tre grandi squadre di cui Oakland andava fiera, e grazie alle quali rivaleggiava con città ben più grandi e famose. Nel basket c’erano infatti i Golden State Warriors, la miglior squadra di basket dello scorso decennio, e nel football i famosi Raiders, vincitori di tre Super Bowl della NFL. Tutte e tre giocavano nella stessa area, costruita negli anni Sessanta: Athletics e Raiders condividevano il Coliseum, i Warriors erano alla Oracle Arena, a pochi metri di distanza, nella parte più interna della baia di San Francisco.
Nel corso degli ultimi anni, però, la città di Oakland — già di per sé messa in secondo piano dalla vicina San Francisco — si è trovata alle prese con seri problemi economici e sociali, comuni in quella parte di Stati Uniti. È diventata una delle aree più diseguali, invivibili e costose del paese, e si è trovata a gestire nel giro di pochi anni una grossa emergenza dei senzatetto, la crisi delle piccole attività commerciali e il degrado inesorabile delle periferie.
Alle prese con tutti questi problemi, le amministrazioni locali non hanno potuto sostenere il bisogno di investimenti delle squadre cittadine, a differenza di altre località concorrenti ed economicamente più in salute. Come risultato, i Warriors hanno lasciato la Oracle Arena e si sono trasferiti nel nuovo Chase Center a San Francisco, un impianto moderno da oltre 1 miliardo di dollari. Hanno mantenuto il nome di Golden State e rimangono la squadra dalla Bay Area — che comprende Oakland – ma di fatto ora sono la squadra di San Francisco.
L’impossibilità di avere in tempi brevi un nuovo stadio al posto del vecchio e malridotto Coliseum ha spinto al trasferimento anche i Raiders, storica squadra di football rappresentata dal pirata con l’elmetto. Ora hanno sede a Las Vegas, in Nevada, e giocano in uno stadio costato quasi due miliardi di dollari il cui investimento è stato sostenuto volentieri dall’amministrazione locale.
Gli Athletics, squadra di baseball meno esposta alla grande competitività degli altri due maggiori campionati d’America, sono stati in un certo senso protetti dalla loro dimensione più contenuta: ma ora anche il loro tempo a Oakland sembra essersi esaurito. Nella stagione appena iniziata si sono ritrovati a giocare davanti a poche migliaia di spettatori. Lo scorso 2 maggio le 2.488 persone presenti al Coliseum hanno stabilito il record negativo di pubblico a una partita nei quarant’anni di storia della squadra. La media stagionale non arriva nemmeno a 9mila presenze, in uno stadio che potrebbe contenere 57mila persone a partita.
Di conseguenza la squadra, che non sta andando nemmeno così male in campionato, si trova spesso a giocare nella desolazione, e con vari disagi. Il Coliseum, rimasto l’unico impianto operativo in un’area completamente costruita di diversi chilometri quadrati, è così malridotto che i fari non funzionano, i seggiolini si staccano, le panchine vengono sommerse dal liquame quando piove, gli avversari ne deridono le condizioni e i pochi spettatori che lo frequentano trovano topi morti all’interno dei distributori di cibi e bevande.
C’è chi pensa che lo stadio sia lasciato in questo stato di degrado volutamente dalla dirigenza degli Athletics, che così facendo starebbe forzando l’amministrazione locale a sostenere la costruzione di un nuovo stadio, o nel peggiore dei casi il trasferimento a Las Vegas, sempre più probabile. In una recente votazione, la commissione per la conservazione e lo sviluppo della baia di San Francisco ha stabilito che l’area portuale in cui il presidente degli Athletics, Dave Kaval, sperava di costruire il nuovo stadio non farà parte dei piani per lo sviluppo del porto marittimo. Ora la squadra attende un’altra decisione da parte dell’amministrazione, questa volta sul sostegno economico alla squadra. Se anche da lì dovesse uscire un parere negativo, ha detto Kaval al New York Times, per gli Athletics a Oakland non ci sarebbe più niente da fare.
Divisi tra l’atmosfera un po’ squallida delle partite al Coliseum e la prospettiva di un trasferimento a Las Vegas, i tifosi hanno perso entusiasmo, a maggior ragione dopo che in inverno, come sempre, la squadra ha ceduto due dei suoi migliori giocatori, Matt Chapman e Matt Olson, alle più competitive Toronto e Atlanta. «Il nostro modello di gestione si basa su cicli che costruiamo su più stagioni con gruppi di giocatori sempre nuovi, e durante questi cicli a volte i tifosi non capiscono o non apprezzano quello che sta succedendo», ha detto l’attuale allenatore, Mark Kotsay. Nel frattempo la stagione degli Athletics continua nella desolazione del Coliseum, dove per l’ultima partita di campionato non c’erano nemmeno 3mila spettatori.
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