In Croazia si discute molto sull’aborto
Il caso di una donna a cui è era stata inizialmente rifiutata l'interruzione di gravidanza, nonostante il feto avesse un tumore, ha portato a proteste e manifestazioni
In Croazia è in corso un’accesa discussione sul diritto all’aborto, che ha portato anche a proteste e iniziative nelle piazze. Migliaia di persone hanno manifestato giovedì e venerdì a Zagabria e in diverse altre città croate, a sostegno di una donna a cui era stata inizialmente negata l’interruzione di gravidanza, nonostante il feto avesse gravissimi problemi di salute. La sua vicenda, che si era prolungata per settimane, aveva fatto molto discutere.
Mirela Cavajda era al sesto mese di gravidanza quando i medici l’avevano informata, ad aprile, che il feto aveva un grave tumore al cervello. Le avevano detto che era molto improbabile che nascesse vivo, e che se anche fosse successo, non c’era alcuna possibilità che vivesse a lungo e avesse una vita normale. Cavajda, che ha 39 anni e già un altro figlio, ha detto ad Associated Press che dopo la diagnosi i medici le avevano suggerito di andare in Slovenia per interrompere la gravidanza.
In Croazia l’aborto è sempre legale fino alla decima settimana di gravidanza, dopo la quale è possibile abortire solo in casi di stupro, incesto e gravi rischi per la salute della donna o del feto. L’obiezione di coscienza è prevista, come in Italia, ma ogni ospedale sarebbe comunque tenuto a garantire il servizio.
Cavajda, però, racconta che nonostante la diagnosi che aveva ricevuto, quattro ospedali pubblici di Zagabria a cui si era rivolta per abortire si sono rifiutati di praticare l’intervento, senza darle spiegazioni oppure dicendole che non c’erano le condizioni necessarie per interrompere la gravidanza.
Il caso di Cavajda aveva ricevuto molta attenzione e varie manifestazioni di solidarietà. Mercoledì 11 maggio, il ministro della Salute croato Vili Beroš aveva infine detto in una conferenza stampa che una commissione medica aveva autorizzato l’interruzione di gravidanza dicendo che «i requisiti medici e legali per l’approvazione dell’aborto» erano presenti. Cavajda era quindi riuscita ad abortire.
La sua vicenda ha richiamato l’attenzione di attivisti e organizzazioni per la difesa dei diritti riproduttivi: giovedì 12 maggio, a Zagabria e in altre città della Croazia si sono tenute partecipate manifestazioni in difesa del diritto all’interruzione di gravidanza.
A queste manifestazioni hanno risposto sabato i gruppi antiabortisti, che hanno organizzato una “Marcia per la vita” a Zagabria, a cui, anche in questo caso, hanno partecipato migliaia di persone.
Quasi il 90 per cento dei croati (che sono poco meno di quattro milioni) è di religione cattolica, e la Chiesa cattolica ha una grande influenza nel paese.
La legge che regola l’interruzione di gravidanza nel paese risale al 1978, quando la Croazia faceva ancora parte della Jugoslavia. La Croazia è indipendente dal 1991: da allora le pressioni per vietare l’aborto sono aumentate.
Nel 2017 la Corte suprema croata aveva stabilito che la legge che consente l’aborto non viola la Costituzione, respingendo di fatto un tentativo di abolire il diritto all’aborto portato avanti da gruppi conservatori. Aveva tuttavia incaricato il Parlamento di emanare entro due anni una nuova legge, indicando quella del 1978 come obsoleta. La nuova legge non è ancora arrivata, ma gli attivisti per i diritti riproduttivi temono che, considerato il clima nazionale, potrebbe essere più restrittiva della precedente.