La ricerca durata più di vent’anni di uno dei latitanti più ricercati al mondo
Protais Mpiranya, uno dei principali responsabili del genocidio in Ruanda, è stato trovato sepolto in Zimbabwe
Per oltre vent’anni le autorità del Ruanda hanno cercato di rintracciare uno dei principali responsabili del genocidio avvenuto nel paese nel 1994, Protais Mpiranya. Mpiranya era comandante della guardia presidenziale: al termine della guerra civile era fuggito e di lui non si avevano avute più notizie. Le ricerche si sono concluse solo poche settimane fa, quando ad Harare, in Zimbabwe, è stata scoperta la tomba in cui era seppellito sotto il falso nome di Sambao Ndume.
Dopo il ritrovamento della tomba, erano stati fatti accertamenti sull’identità della persona seppellita, e si era scoperto che era Mpiranya, morto nel 2006 per complicazioni dovute alla tubercolosi. Mpiranya era accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità ed era tra i latitanti più ricercati al mondo, il più rilevante tra i 93 incriminati dal Tribunale internazionale creato dall’ONU nel 1994 per stabilire le responsabilità del genocidio in Ruanda.
La causa scatenante del genocidio era stato l’abbattimento dell’aereo che trasportava il presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana, e il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, avvenuto il 6 aprile 1994. Dopo quell’episodio l’odio tra hutu, hutu “moderati” e la minoranza tutsi aveva portato al massacro di almeno 800mila persone, principalmente a danno dei tutsi ma anche di molti hutu “moderati”. Mpiranya, in quanto capo della guardia presidenziale, aveva consegnato ai suoi uomini liste di persone da uccidere, che comprendevano anche i loro familiari, ed aveva avuto un ruolo centrale nelle atrocità che erano seguite. Il gruppo di ricerca che ha scoperto la morte di Mpiranya era stato organizzato per risolvere i casi rimasti irrisolti dopo che nel 2015 era stato chiuso il Tribunale internazionale che fino ad allora aveva condotto le ricerche.
Per lungo tempo il leader del gruppo, Serge Brammertz, e i suoi collaboratori erano convinti che Mpiranya fosse ancora vivo, e avevano seguito varie piste poco promettenti o testimonianze che li avevano portati in diversi paesi del continente africano. «I suoi familiari e le persone a lui vicine hanno nascosto per anni la morte di Mpiranya e la sua presenza ad Harare» ha detto Brammertz parlando con il Guardian. «Il dossier su di lui era pieno di informazioni relative ai suoi affari in vari paesi, e sembrava essere piuttosto attivo. I miei predecessori si erano concentrati su quelle piste, e forse anch’io all’inizio feci lo stesso».
Dal 2015 in poi il gruppo aveva ripreso in esame l’intera indagine su Mpiranya, ricontrollando i dati, intervistando di nuovo tutti i testimoni, vagliando ogni ipotesi e mettendo in discussione le proprie convinzioni. Erano partiti dall’unico dato certo, cioè che Mpiranya fosse in Congo nel 2002, e da lì avevano tentato di ricostruire ogni dettaglio della sua vita, cercando di provare a ragionare come lui e ipotizzare le sue azioni. Nonostante gli sforzi, la ricerca era stata lenta e non aveva avuto significativi progressi, almeno fino a pochi mesi fa.
Su questo punto delle indagini ci sono poche informazioni. Si sa che a settembre del 2021 il gruppo di ricerca era entrato in possesso di un computer, recuperato in un paese europeo non meglio identificato. All’interno del computer avevano trovato centinaia di fotografie e diverse email che in base alle informazioni in possesso degli investigatori sembravano riferirsi a Mpiranya e ai suoi familiari. Alcune fotografie risalenti al 2006 ritraevano un funerale. C’erano foto anche del feretro e del corpo, che somigliava a Mpiranya.
Nel computer gli investigatori avevano trovato anche un disegno fatto a mano di una lapide, che probabilmente era servito come modello per la tomba: fu il dettaglio decisivo, dato che la lapide era dedicata a un certo Sambao Ndume, nato nello stesso giorno di Mpiranya, il 30 maggio 1956. Nel cimitero di Granville, nella periferia sud di Harare, la mattina dello scorso 7 febbraio il gruppo aveva individuato la tomba, quasi invisibile in mezzo all’erba alta. «Ricordo il momento in cui un mio collega ci ha chiamato esclamando “trovata!”» ha detto uno dei membri della squadra. «Siamo rimasti lì a guardarla, era proprio come ce l’aspettavamo. Tutto il duro lavoro, gli alti e i bassi, avevano portato fino a quel momento».
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Le autorità dello Zimbabwe hanno poi concesso al gruppo il permesso di riesumare il corpo di Mpiranya per effettuare gli accertamenti. Il 27 aprile gli investigatori, un medico legale dell’ONU e tre investigatori locali sono andati alla tomba per prelevare un campione dal corpo. La spedizione è stata accompagnata da 20 agenti di polizia, che hanno attirato molte attenzioni da parte dei residenti, radunati in una piccola folla intorno al cimitero.
Il lavoro di ricerca di Brammertz e dei suoi collaboratori non è ancora finito, sono alla ricerca di altri cinque incriminati di genocidio. Secondo Brammertz il ritrovamento di Mpiranya potrebbe aumentare la pressione sui governi dei paesi che fin qui hanno coperto le loro tracce. «Il nostro obiettivo è arrestare i latitanti» ha detto Brammertz. «Ma devono anche rendere conto delle loro responsabilità, in un modo o nell’altro […]. Il fatto che questa persona sia morta significa che non può più fare del male, e che non sta vivendo la sua vita da fuggitivo, da qualche parte, mentre le vittime stanno cercando di ricostruire le loro».
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