Le contestate leggi che limitano i discorsi sul genere nelle scuole americane
Quella approvata in Florida in particolare ha innescato proteste e successive campagne denigratorie rivolte dai conservatori ai gruppi LGBT+
In queste settimane il Partito Repubblicano statunitense ha promosso o approvato una serie di nuove leggi pensate per limitare le discussioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle scuole americane, e ha parallelamente costruito una retorica denigratoria contro chi vi si oppone che ha introdotto nel dibattito politico l’espressione “groomer”. È una parola intraducibile ma che, nel significato originario, indica qualcuno che costruisce una relazione basata sulla fiducia e sulla connessione emotiva con un bambino o un teenager per poterlo manipolare, sfruttare e poterne abusare.
Politici progressisti, persone LGBT+ e sostenitori della loro comunità che esprimono preoccupazione per queste leggi vengono definiti “groomer”, con un’accusa che riprende uno stereotipo infondato ma storicamente molto diffuso che assimila le persone trans o omosessuali a predatori sessuali determinati a “reclutare” bambini tra le proprie fila.
È una storia che sta dentro il più ampio contesto degli scontri politici tra conservatori e progressisti americani sui diritti e sulle questioni di genere e razziali, e su come debbano essere trasmesse e comunicate ai bambini, e si sta sviluppando a partire da una contestata legge approvata a fine marzo dal governatore repubblicano della Florida Ron DeSantis, chiamata Parental rights in education bill (Legge sui diritti dei genitori nell’educazione).
L’opposizione l’ha presto soprannominata Don’t say gay bill (Legge “Non dire la parola gay”) perché il testo, molto vago, vieta ogni insegnamento «sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere» che «non sia adeguato all’età o allo sviluppo degli studenti» dalle scuole materne alla terza elementare, senza definire però quali insegnamenti lo siano. Il testo obbliga anche le scuole ad informare i genitori della presenza di eventuali servizi di supporto psicologico offerti agli studenti, permettendo ai genitori di negare l’accesso a questi servizi ai propri figli.
Secondo i suoi sostenitori, la legge serve a consentire ai genitori di decidere quando e come introdurre i loro figli alle questioni di genere sempre più presenti nel dibattito pubblico, ma che percepiscono per vari motivi come pericolose. Negli ultimi tempi questo genere di preoccupazioni da parte dei genitori conservatori ha riguardato anche altre questioni, in particolare quelle razziali. Dal 2020, ad esempio, si parla ciclicamente della cosiddetta “Critical Race Theory”, un’espressione usata per descrivere un approccio accademico che indaga il ruolo del razzismo sistemico nelle istituzioni americane, attribuendogli un’importanza centrale nella definizione della società statunitense contemporanea. Un filone di ricerca e approccio critico alla storia e alla giurisprudenza che viene condiviso da un ristretto numero di accademici a livello universitario, ma che dal 2020 ha cominciato ad essere associato dalla destra alla discussione di temi legati al razzismo sistemico nelle scuole.
Da un anno sono emersi in tutto il paese progetti di legge che propongono di impedire o limitare l’autonomia degli insegnanti nell’insegnamento di questi temi, tanto che le organizzazioni che se ne occupano faticano a tenerne traccia. La Parental rights in education bill è una di queste leggi, e sta sollevando allarmi e timori tra il personale scolastico, tra gli esperti di istruzione e tra molti elettori progressisti.
Il problema centrale è che il testo della legge è giudicato troppo vago tanto che, teoricamente, potrebbe limitare la discussione di un grandissimo numero di temi di cui è normale parlare in classe anche nei primi anni di scuola elementare. L’opinionista Monica Hesse ha notato sul Washington Post che il testo non parla mai di persone gay, lesbiche, trans o non binarie, ma solo di “orientamento sessuale o identità di genere” in senso ampio. «Tutti hanno un orientamento sessuale. Gay e bisessuale sono orientamenti sessuali, ma anche eterosessuale lo è. Transgender o non binario sono identità di genere, ma lo sono anche maschio e femmina. Tecnicamente, il progetto di legge vieta ogni discussione su tutti gli orientamenti sessuali e le identità di genere», scrive Hesse.
«Ma qualcuno crede che sarebbe considerato un indottrinamento inappropriato all’eterosessualità se una classe di prima elementare leggesse di una famiglia che includeva una mamma e un papà?» si chiede retoricamente Hesse, ribaltando la prospettiva rispetto ai casi che invece sono contestati, come «la storia di una famiglia che include due papà, o un genitore che una volta era conosciuto come “mamma” ma ora viene chiamato “papà”». Conclude Hesse che «queste leggi sono scritte come se dovessero essere ugualmente applicate a tutte le discussioni sul genere e sulla sessualità, ma non serve che specifichino a quale orientamento sessuale fanno riferimento. Tutti sanno quali violazioni verranno denunciate».
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Gli oppositori della legge prevedono che tra le cose che potrebbero essere considerate “non adatte all’età o allo sviluppo degli studenti” e quindi perseguibili non ci saranno solo i libri con personaggi LGBT+, ma anche le conversazioni in classe sulla propria famiglia, nel caso in cui uno degli studenti o dei docenti avesse una famiglia non “tradizionale”. Per esempio, e benché la legge non sia ancora in vigore, a marzo un gruppo di genitori aveva chiesto che un maestro della Florida subisse conseguenze disciplinari per aver menzionato in classe di essere sposato con un uomo.
Nel testo di una causa intentata da un gruppo di residenti e attivisti LGBT+ della Florida contro il disegno di legge si avverte che l’effetto della Parental rights in education bill potrebbe essere quello di «congelare i diritti di insegnanti, studenti e funzionari, che, come ogni persona razionale, eviteranno la zona di pericolo creata dalla censura imposta dallo Stato», autorizzando i genitori a citare in giudizio i consigli scolastici, «i cui membri saranno quindi motivati ad evitare azioni legali reprimendo o punendo qualsiasi discorso potenzialmente rischioso».
Oltre a questo, vari studi suggeriscono che limitare significativamente le possibilità di conversare sull’orientamento sessuale o l’identità di genere a scuola peggiori la situazione per gli studenti LGBT+, il cui benessere mentale è correlato all’accettazione dell’ambiente in cui si trovano.
Diverse celebrità si sono schierate contro la legge, ma ha ottenuto particolare attenzione la posizione di Disney, uno dei più grandi conglomerati mediatici al mondo, che gestisce diversi grossi parchi divertimento ad Orlando, tra cui Disneyland. Inizialmente l’azienda – che da anni finanzia il Partito Repubblicano in Florida – non si era unita a una lista di 150 grandi società statunitensi che avevano pubblicato una lettera aperta contro il disegno di legge. Dopo settimane di proteste e scioperi da parte di decine di propri dipendenti il CEO di Disney, Bob Chapek ha espresso «disappunto e preoccupazione» nei confronti del progetto di legge.
Prendendo esempio dalla Florida, molti altri Stati controllati dai Repubblicani stanno presentando disegni di legge simili alla “Don’t say gay bill”, o ci stanno provando. In Ohio si sta discutendo un disegno di legge quasi identico a quello firmato da DeSantis. In Alabama è stata proposta una legge che vieterebbe “l’istruzione precoce sull’identità sessuale e sul genere” in classe. In Arizona un disegno di legge chiede che il curriculum statale sull’educazione sessuale si concentri solo sul sesso biologico e non tratti le identità di genere. In Louisiana e in Carolina del Sud una proposta di legge limiterebbe le discussioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere in classe. In Iowa, il Senato ha proposto di chiedere ai genitori di acconsentire per iscritto a qualsiasi lezione “relativa all’identità di genere”. In Missouri, Indiana e Kentucky si vuole vietare del tutto “la formazione al genere o alla diversità sessuale” nelle scuole pubbliche. Sono inoltre stati documentati estesi tentativi di rimuovere dalle biblioteche scolastiche i libri che parlano di queste tematiche.
Queste iniziative politiche sono una delle tante manifestazioni di un dibattito che va avanti da alcuni anni con toni molto spesso duri e polarizzati, e che riguarda gli approcci da preferire coi bambini e i ragazzi per quanto riguarda i temi di genere. Non soltanto a scuola: uno dei terreni di scontro più sentiti riguarda i percorsi psicologici e medici dei ragazzi che mostrano segni di disforia di genere, cioè segnalano in vari modi di non identificarsi con il genere corrispondente al sesso biologico. Uno degli approcci diffusi in questi casi negli Stati Uniti è noto come “modello affermativo”, e consiste nell’aiutare i bambini e i ragazzi che si identificano come trans ad affermare socialmente il genere in cui si riconoscono. Questo metodo è fortemente contestato da chi, specialmente tra i conservatori ma non solo, crede che sia attualmente adottato in maniera troppo disinvolta negli Stati Uniti, soprattutto quando prevede la somministrazione di farmaci per ritardare lo sviluppo dei caratteri sessuali ai ragazzi che si avvicinano all’adolescenza.
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In risposta alle tante critiche ricevute, i Repubblicani stanno ora accusando chi critica la legge “Don’t say gay” di voler deviare i bambini. Firmando il disegno di legge, DeSantis – indicato come un probabile candidato alle primarie Repubblicane del 2024 – ha detto che chi si oppone alla misura «sostiene la sessualizzazione dei bambini all’asilo» e sta «camuffando le proprie vere intenzioni». «Se sei contro il disegno di legge anti-grooming», ha detto a inizio marzo Christina Pushaw, addetta stampa di DeSantis, riferendosi alla Legge sui diritti dei genitori nell’educazione, «sei probabilmente tu stesso un groomer, o quanto meno non denunci il grooming di bambini tra i 4 e gli 8 anni».
Il grooming, che in italiano si potrebbe tradurre imperfettamente con “adescamento”, è una tattica manipolatoria che viene effettivamente messa in pratica da parte di chi intende abusare sessualmente di bambini e adolescenti. Secondo il Network nazionale statunitense contro lo stupro, l’abuso e l’incesto, rientrano nel termine quei «comportamenti manipolatori che l’aggressore utilizza per accedere a una potenziale vittima, costringerla ad accettare l’abuso e ridurre il rischio di essere scoperto».
Il termine, usato storicamente anche per associare uomini gay e donne transgender alle molestie sui minori con evidenti intenti discriminatori e diffamatori, è stato ripescato dalla destra statunitense per accusare da un lato l’opposizione politica di pedofilia, come fanno da anni i seguaci della teoria del complotto QAnon, e dall’altro per equiparare all’adescamento sessuale quello che è percepito come un indottrinamento della sinistra. Alejandra Caraballo, che insegna alla Cyber Law Clinic di Harvard ed è attivista per i diritti delle persone transgender, ha detto che la scelta di questo linguaggio «è un tentativo di disumanizzazione e delegittimazione delle identità delle persone queer, associate alla pedofilia e all’adescamento dei bambini».
Ad utilizzarlo non sono stati solo DeSantis e la sua addetta stampa. Soltanto tra il 6 marzo e il 6 aprile, Fox News ha mandato in onda cinquanta segmenti televisivi lunghi un’ora ciascuno sul grooming, la pedofilia e i reati sessuali, raggiungendo secondo le stime almeno 81,8 milioni di spettatori.
Una delle presentatrici più celebri di Fox News, Laura Ingraham, a marzo si è chiesta in televisione: «Quand’è che le nostre scuole pubbliche, tutte le scuole, sono diventate essenzialmente centri di adescamento per i radicali dell’identità di genere?». Tucker Carlson, il più famoso presentatore della destra americana, parlando dell’opposizione di Disney alla legge della Florida ha accusato l’azienda di essere «fissata con la sessualità dei bambini», paragonando nello stesso discorso il percorso di transizione alla castrazione chimica. Sempre su Fox News il drammaturgo David Mamet ha detto che «i bambini non stanno venendo indottrinati, ma adescati» e che «gli insegnanti, soprattutto gli uomini perché gli uomini sono predatori, sono inclini alla pedofilia».
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«L’attuale panico morale è radicato nella paura, coltivata con cura dai legislatori Repubblicani e dai media conservatori, che le scuole stiano indottrinando gli studenti con una pericolosa ideologia anti-americana» ha scritto Christian Paz su Vox. «Intercettano le preoccupazioni dei genitori sul fatto che le correnti culturali stiano portando i loro figli più al largo, lontano dalle coste della moralità tradizionale. Proprio come alcuni genitori non vogliono che i loro figli imparino a conoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, altri non vogliono che scoprano il razzismo strutturale, Jim Crow e la schiavitù. Questo movimento si sta già spostando verso la censura di tutte le idee che li offendono, inclusa l’esistenza del comunismo, del sessismo e dell’ateismo».
Questa retorica non è diffusa solo su Fox News. Dal famoso polemista Ben Shapiro a podcaster, canali YouTube e radio di estrema destra, le accuse di grooming si sono moltiplicate nel mese di aprile. La deputata Repubblicana Marjorie Taylor Greene, nota sostenitrice di QAnon, ha twittato che «i Democratici sono il partito che uccide i bambini, li adesca, fa fare loro la transizione, e sostiene politiche pro-pedofilia». In Texas, il procuratore generale Ken Paxton ha firmato un parere legale secondo cui i genitori o i medici che aiutano i minori ad intraprendere un percorso di transizione di genere dovrebbero essere indagati dalle forze dell’ordine per abusi sui minori – e sta già succedendo.
Alcune delle persone accusate di grooming si sono difese con forza: è diventato virale, per esempio, un discorso della senatrice Democratica del Michigan Mallory McMorrow, chiamata groomer da una collega Repubblicana per essersi opposta al passaggio di una legge contro l’insegnamento della Critical Race Theory e le questioni di genere nelle scuole elementari.
“Sono una mamma eterosessuale, bianca, cristiana, sposata e di periferia, che sa che l’idea che imparare a conoscere la schiavitù, il razzismo o il razzismo sistemico significhi che ai bambini viene insegnato a sentirsi male o a odiarsi perché sono bianchi è un’assurdità assoluta”, ha affermato McMorrow. “Non siamo responsabili del passato. Non possiamo nemmeno cambiare il passato. Non possiamo fingere che non sia successo, o negare alle persone il loro stesso diritto di esistere. Voglio che mia figlia sappia che è amata, sostenuta e vista, chiunque diventi. Voglio che sia curiosa, empatica e gentile. Voglio che ogni bambino si senta visto, ascoltato e sostenuto, non emarginato e preso di mira se non è etero, bianco e cristiano”.