L’Ungheria fa ostruzionismo
Il primo ministro Viktor Orbán sta frenando l'approvazione delle sanzioni europee contro il petrolio russo, rischiando di rimanere isolato
L’Unione Europea sta faticando a trovare una linea comune sulle nuove sanzioni da imporre alla Russia per l’invasione dell’Ucraina, che comprendono l’interruzione delle importazioni di petrolio russo. Le difficoltà sono in buona parte dovute all’opposizione del primo ministro ungherese Viktor Orbán, da poco rieletto e contrario al provvedimento, per via della forte dipendenza dell’Ungheria dalle forniture russe e per una certa vicinanza con il governo russo. Le sanzioni devono essere approvate all’unanimità dai governi dell’Unione Europea ed è necessario il voto favorevole di Orbán, che sta quindi cercando di sfruttare la propria posizione per mostrarsi rilevante nel dibattito politico europeo.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte russa, Orbán ha mostrato di avere un approccio piuttosto cauto nei confronti della Russia. Se da un lato il suo governo di destra e populista ha sostenuto le sanzioni decise dall’Unione Europea, dall’altro si è rifiutato di inviare armi all’esercito ucraino e ha visto con favore la circolazione di tesi e idee a sostegno della Russia nel dibattito pubblico interno.
L’approccio a tratti ambiguo ha complicato le già difficili relazioni dell’Ungheria con buona parte degli altri paesi europei, deteriorando i rapporti con alcuni dei propri alleati all’interno dell’Unione, come la Polonia. In seguito all’annuncio delle nuove sanzioni da parte della Commissione europea, Orbán aveva commentato sostenendo che una messa al bando del petrolio russo sarebbe come una «bomba atomica» per l’economia dell’Ungheria, e aveva chiesto tempi più lunghi per l’interruzione delle esportazioni rispetto a quelli annunciati in ambito europeo.
L’Ungheria ha una forte dipendenza dal petrolio russo, ma secondo vari osservatori potrebbe farne a meno in breve tempo, passando ad altri fornitori e potenziando nel frattempo il passaggio ad altre fonti energetiche, possibilmente più pulite e sostenibili.
Il piano della Commissione europea prevede che entro sei mesi i paesi europei interrompano le importazioni del petrolio greggio dalla Russia, e che entro un anno facciano altrettanto per quello raffinato. Nel corso delle trattative, Ungheria e Slovacchia hanno rimediato la possibilità di rinviare alla fine del 2024 la messa al bando, mentre la Repubblica Ceca potrebbe avere tempo fino alla metà del 2024.
La mediazione non è però ritenuta sufficiente da Orbán, che chiede almeno cinque anni per rinunciare al petrolio russo e nuovi fondi da parte dell’Unione Europea per finanziare il passaggio ad altre fonti energetiche. Lunedì, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha raggiunto la capitale ungherese Budapest per confrontarsi direttamente con Orbán, nel tentativo di sbloccare la situazione.
This evening’s discussion with PM Viktor Orban was helpful to clarify issues related to sanctions and energy security.
We made progress, but further work is needed. I will convene a VC with regional players to strengthen regional cooperation on oil infrastructure.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) May 9, 2022
La visita di Von der Leyen è stata ripresa con grande enfasi dai canali comunicativi del governo ungherese, con il chiaro scopo di mostrare alla popolazione il ruolo determinante dell’Ungheria nelle prossime decisioni dell’Unione. Al di là della propaganda, Orbán deve però fare i conti con una situazione diplomatica complessa e destinata a diventarlo sempre di più nel caso in cui continui a mostrarsi inflessibile.
Gli altri paesi del Gruppo di Visegrád (l’alleanza politica di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) non hanno condiviso la posizione del governo ungherese sulla Russia, mostrando invece di essere favorevoli alla linea mantenuta dall’Unione Europea. Sui rapporti ha influito la recente campagna elettorale in Ungheria, in cui Orbán aveva mantenuto toni duri, che secondo vari osservatori dovrebbero ora ammorbidirsi in seguito alla propria riconferma al governo del paese.
Il primo ministro ungherese deve fare inoltre i conti con la decisione della Commissione europea di impiegare il nuovo meccanismo che lega l’emissione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto da parte dei paesi membri, in seguito alle varie leggi che sotto il governo di Orbán hanno reso l’Ungheria un paese a guida semi-autoritaria. Orbán ha bisogno dei fondi per portare avanti le promesse fatte in campagna elettorale e sta cercando di sfruttare l’attuale situazione di stallo sulle nuove sanzioni per ottenere impegni e rassicurazioni sull’emissione dei fondi.
La Commissione europea vorrebbe intanto accelerare i tempi sull’imposizione delle nuove sanzioni e il blocco delle importazioni del petrolio russo. Le nuove misure erano state annunciate il 4 maggio scorso e da allora ci sono stati lenti progressi nel confronto tra i paesi europei, alla ricerca di un compromesso per raggiungere un voto unanime. La situazione si potrebbe sbloccare entro pochi giorni, ma non è ancora chiaro con quali concessioni per l’Ungheria.